Per una scienza nuova del governo della città
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La nostra epoca è condizionata da complessità e continui mutamenti, i cui effetti si avvertono nel governo delle città, trasformate ormai in megalopoli di difficile gestione. Si impone, come urgenza indifferibile, la necessità di studiare per il territorio urbano nuove teorie organizzative, di dar vita a una nuova disciplina, a una «scienza nuova» del governo della città. Per definire l'ambito e il metodo di questo ramo del sapere, un valido punto di riferimento è costituito dalle dottrine organizzative e manageriali. L'obiettivo è infatti quello di fornire gli strumenti culturali necessari a formare – in innovative city school (simili alle business school sorte nel Novecento) – nuove figure professionali, i manager urbani, in grado di contrastare i drammatici fenomeni di degrado fisico e sociale che caratterizzano le metropoli contemporanee. Ciò tuttavia non basta: per affrontare questa sfida straordinaria e proiettarci, ben equipaggiati, nel futuro, è fondamentale fare un passo indietro, alla ricerca delle radici che hanno alimentato tutte le discipline moderne: la scienza, l'economia, lo stesso studio del management non sono altro che frutti della filosofia. È qui che occorre volgere lo sguardo, per recuperare la linfa che consentirà alla novella disciplina di fiorire e portare i frutti sperati alla città di oggi. Ed è qui che volge lo sguardo Gianfranco Dioguardi, ripercorrendo con agile passo la strada che, a partire dai Greci, ha compiuto il pensiero – filosofico dapprima, ma anche scientifico, economico, manageriale. Una ricchezza vitale, dalla quale la nuova disciplina che si appresta a fiorire non può prescindere.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788868437107
Argomento
Historia
Parte prima
Lezioni dalla Storia

I. Filosofia all’alba della civiltà

«Filosofia»: etimologicamente amore della «sapienza», ovvero attività conoscitiva che diviene sistematica intorno ai problemi fondamentali della realtà e dell’esistenza con propensione a costruire disegni e finalità universali sia oggettivi sia soggettivi, avendo come riferimento l’unità del sapere. Filosofia, quindi, significa conoscenza nel senso più ampio e assoluto del termine, generalizzata e fine a se stessa. Comprende e precede le scienze particolari e può perciò essere considerata la scienza di tutte le scienze.
All’alba della civiltà l’Homo Sapiens, essere pensante, incominciò ad avere dubbi e a porsi domande le cui risposte dettero origine al sapere, «aurora» di quella conoscenza poi sistematizzata in filosofia «come una forma di riflessione dello spirito umano sul mondo che lo circonda e su se medesimo»1.
In Occidente nacque il sapere filosofico, la grande filosofia greca, che subito si sviluppò nei più svariati ambiti della realtà, e il cui inizio si fa risalire a Talete (624-546 a.C.), vissuto nella città di Mileto.
«La misura dell’originalità greca ci è data dalla forza espansiva e progressiva del pensiero greco. Questo interno impulso è del tutto mancato agli orientali»2 – così spiega Guido De Ruggiero nella sua monumentale Storia della filosofia3; poi, sulla molteplicità degli interessi culturali in quella nazione precisa: «Per filosofia i greci hanno inteso cose assai diverse nei diversi tempi della loro evoluzione mentale. Nell’età presocratica, essa è principalmente un’indagine sui princìpi del mondo fisico, non troppo dissimile da ciò che oggi chiamiamo scienza naturale; coi sofisti e con Socrate, essa sposta il centro del suo interesse dalla fisica all’antropologia; con Platone e Aristotele si sforza di creare una superiore alleanza dei due mondi e, quindi, delle due filosofie precedenti. Più tardi, gli stoici, gli epicurei, e, in qualche misura, gli scettici, pongono al primo piano dell’interesse filosofico i problemi della vita morale […]. E in una fase ancora più tardiva, col neoplatonismo, la filosofia acquista il significato di una preparazione alla santità, e quasi di un anelito alla vita divina, che rischia di confondersi con l’esperienza religiosa»4.
La filosofia greca si è dunque interessata all’intero scibile umano, studiando anche i prodromi della politica, delle scienze naturali, della medicina e ancora di altre discipline, fornendo un compendio di premesse nei diversi rami della conoscenza, la cui espressione in termini così globali e coordinati si ripresenterà soltanto nel Settecento nella grande Encyclopédie di Diderot e d’Alembert. Con una differenza fondamentale, tuttavia, come precisa Umberto Eco: «Non ci sono enciclopedie greche. I Greci sono più interessati a costituire un nuovo sapere che a sintetizzare quello precedente»5.
La speculazione filosofica è inizialmente rivolta all’indagine sulla natura ed è svolta in particolare dalla scuola presocratica, nella quale svetta Eraclito (535-475 a.C.) con la sua attualissima intuizione del «panta rei» ovvero del tutto scorre, del tutto diviene, interpretando così il mondo come cambiamento continuo. L’attenzione si rivolgerà poi all’essere umano con il socratico «conosci te stesso». Quindi nascono i grandi sistemi della conoscenza sviluppati da Platone e da Aristotele, mentre la successiva filosofia ellenistico-romana e neoplatonica approfondirà gli studi sul comportamento, sulla morale e sui relativi problemi etici e religiosi.
Platone (ca. 427-347 a.C.) creò un vero e proprio sistema filosofico, fondato sulle Idee. In tre delle sue opere – il Politico, la Repubblica e le Leggi – affronta in particolare anche temi di economia e di analisi sull’organizzazione delle comunità quali la città e lo Stato ideale. La sua indagine è rivolta all’essere umano come soggetto sociale tendente a riunirsi in comunità e quindi a costruire lo Stato come forma più elevata di associazione umana, che il filosofo idealizza in termini anche classificatori (in particolare nel Politico) in un modello astratto di organizzazione comunitaria, in cui è negata l’importanza del singolo individuo e quindi anche della famiglia, per attribuire una priorità alla ricerca di un bene comune che possa sostituirsi al bene individuale. Passarono molti anni prima che concetti nuovi sulla relativa libertà individuale venissero formalizzati così come fecero i legislatori e codificatori del diritto romano.
L’attenzione platonica è anche rivolta, sia pure in termini ancora embrionali, al concetto di gerarchia, alla divisione del lavoro, all’analisi della classe dei produttori e, soprattutto, alla scelta dei governanti, compito al quale erano destinati i filosofi in quanto possessori del sapere come principio ideale dal quale far discendere ogni organizzazione pratica.
Quasi contemporaneo di Platone fu Senofonte (ca. 430-355 a.C.), vissuto prevalentemente nell’ambiente militare, discepolo e amico di Socrate (ca. 470-399 a.C.), scrittore prolifico e versatile di opere storiografiche (Anabasi, Elleniche e altre), di ispirazione socratica (fra le quali Apologia di Socrate, Simposio, Economico), politiche (Ciropedia, una sorta di romanzo storico su Ciro il Grande: e poi la Costituzione di Sparta) e a carattere metodologico. Nella sua opera Economico sottolinea, in contrasto con le idee platoniche, l’importanza della famiglia come primo nucleo sociale e ne analizza l’organizzazione estendendo lo studio anche ad altre collettività (esercito, Stato, agricoltura), in particolare soffermandosi sul concetto di economia, parola appunto derivante dal greco «casa», anche nel significato di «bene di famiglia», e anticipando il modello di divisione del lavoro che applicò all’agricoltura al fine di incrementarne la produttività.
Nel IV secolo trionfa il pensiero di Aristotele (ca. 383/382-322 a.C.), che sviluppò l’indagine filosofica ampliandola a tutto lo scibile umano e trattò temi di organizzazione sociale nel suo Politica, in cui vi sono molti riferimenti ad argomentazioni già espresse nella Repubblica di Platone.
Per Aristotele l’essere umano è un «animale essenzialmente politico», portato a unirsi ai propri simili con l’obiettivo di costituire comunità in grado di meglio perseguire un benessere non solo collettivo, ma anche e soprattutto individuale. Aristotele affermava che non poteva esistere comunità che non mirasse al conseguimento di un certo bene; sosteneva pertanto l’idea di famiglia come primo esempio di società la cui naturale propensione è quella di riunirsi con altre famiglie per dare origine allo Stato che dovrebbe rappresentare la società perfetta. Traeva così conclusioni generali sulla natura umana, affermando che «spinge istintivamente gli uomini alla associazione politica»6 dove il «cittadino è il singolo non in quanto uomo; ma in quanto appartenente a una determinata comunità politica»7. Sosteneva, in contrasto con Platone, che «la famiglia forma un momento della gerarchia morale dell’universo, e un primo addentellato delle più alte forme di organizzazione umana»8.
Aristotele differenziò il comportamento morale da quello politico: «l’etica è la dottrina della moralità individuale, la politica la dottrina della moralità sociale. Lo stato è un organismo morale, condizione e complemento dell’attività morale degli individui»9. Guido De Ruggiero così espone il pensiero politico del filosofo greco: «Aristotele accetta la comune tripartizione delle forme di governo – come governo di uno solo, di pochi e di molti [monarchia, aristocrazia, politeia] – e delle rispettive degenerazioni storiche [tirannide, oligarchia, democrazia]»10, e precisa che comunque la scelta deve essere sempre consona ai luoghi e ai tempi e alle circostanze, per cui «non bisogna generalizzare troppo, ma sempre tener presenti le condizioni speciali dei popoli. Vi sono infatti popoli che hanno bisogno per natura di essere governati da un despota, altri da un re legittimo, altri di avere un governo libero, ed è giusto e giovevole a ciascuno di essi di avere questi governi»11. Ancora De Ruggiero commenta la Politica aristotelica: «vi si trova una fenomenologia delle forme di governo, condotta con una penetrazione politica di cui non v’è altro esempio nella storia del pensiero»12.
Aristotele sosteneva fra l’altro che si dovesse perseguire l’educazione generalizzata dei cittadini e riteneva che il compito spettasse esclusivamente allo Stato. Potremmo far risalire addirittura al suo pensiero quella che oggi viene chiamata best practice o buona pratica: attualmente adottata a livello aziendale nella gestione dei processi produttivi, per Aristotele costituiva un insieme di pratiche e analisi preliminari da utilizzare in ambito politico, nel governo della città. E sempre nella sua filosofia, oltre all’indagine sull’origine e la natura dello scambio economico e le diverse funzioni della moneta, possiamo rintracciare i primi germogli che porteranno al concetto di funzione pubblica, con le relative procedure esecutive e di delega.
Le successive scuole filosofiche dell’antica Grecia focalizzarono le indagini su problemi etici e religiosi influenzando anche l’epoca dell’egemonia politica di Roma imperiale con una corrente di pensiero che prese appunto il nome di «filosofia ellenistico-romana».
La filosofia medievale fu segnata profondamente dal cristianesimo e dalla patristica, ovvero dal pensiero degli antichi Padri della Chiesa (I-VIII secolo) confluito poi nella grande sintesi di sant’Agostino (354-430). Subentrò quindi la filosofia scolastica, così chiamata dalle scholae istituite da Carlo Magno nel 788 per avviare la ripresa degli studi classici. Questo fervore culturale, di cui furono attori i monaci benedettini e che ebbe tra i principali propugnatori san Tommaso d’Aquino (1225-1274), si basava sull’insegnamento delle «arti» del «trivio» (le materie letterarie divise in «grammatica», «retorica» e «dialettica») e del «quadrivio» (le materie a carattere scientifico: «aritmetica», «geometria», «astronomia», «musica»); fu questa una vera e propria rivoluzione del sistema scolastico, che si estese da Aquisgrana – dove fu fondata la Schola palatina, un cenacolo intellettuale, un «centro di studi» ante litteram – a tutto l’Impero.
La Scolastica si chiude con una figura di grande rilievo intellettuale, Guglielmo di Ockham (1285-1347), un francescano che fu uno dei principali sostenitori del volontarismo e teorizzò il principio detto del «rasoio», secondo la formula «Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem», ovvero «non aggiungere elementi quando non servono»: uno straordinario metodo di ragionamento che induce a privilegiare, tra le spiegazioni di un dato fenomeno, quella che ricorre a un numero minore di ipotesi esplicative o che introduce un numero minore di entità al fine di verificare i propri enunciati. Un metodo che oggi andrebbe recuperato e applicato in particolare nel campo della conoscenza e della politica dove, già allora, il monaco francescano impiegava il suo «rasoio»: «frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora» («si fa inutilmente con molte cose ciò che si può fare con poche»). È singolare come oggi questi concetti non vengano riesumati, studiati, riproposti come meriterebbero per la loro chiarezza, trasparenza ed efficacia di sintesi.
I secoli spesso considerati bui furono tuttavia caratterizzati da profonde meditazioni sulla storia e sul sapere accumulato nel passato. In particolare i monaci benedettini, nel chiuso dei conventi, interpretavano e trascrivevano in magnifici manoscritti gli antichi testi per trasmetterli ai posteri. Fu quindi una sorta di «incubazione» che consentì, nel XIV secolo, lo schiudersi dell’umanesimo che porterà poi al grande risveglio rinascimentale con l’uomo ricollocato al centro della storia, e successivamente alla «filosofia moderna». Vennero poste le basi per una straordinaria evoluzione della conoscenza che in quattro magici secoli – dal Quattrocento al Settecento – fecero rinascere il pensiero scientifico con il germogliare delle nuove scienze della natura, il trionfo delle matematiche, le grandi scoperte geografiche delle Americhe, la rivoluzionaria invenzione della stampa di Johannes Gutenberg (ca. 1394/99-1468) che consentì di trasformare la rarità degli incunaboli nell’ampia divulgazione del libro, che diventa così il massimo simbolo di libertà. Una libertà peraltro non gradita dalla Chiesa che, interferendo con gli ambiti civili, cercherà di controllarne la diffusione con la creazione, nel 1558, dell’Index Librorum Prohibitorum. Ma la libertà di pensiero seppe trionfare grazie appunto alla grande diffusione dei libri e ai fondamentali contributi di Bacon, Galilei, Newton, Descartes, e all’introduzione sistematica del concetto di «metodo» nel modo di pensare e di affrontare la conoscenza.
Le nuove idee germogliate nel Rinascimento troveranno il loro supporto nella rinnovata attenzione per l’esperienza e per l’esperimento mentre con l’Illuminismo settecentesco si affermerà l’indagine storiografica, in particolare grazie al grande disegno storico che Giambattista Vico espose nella sua Scienza Nuova, la sistematizzazione della filosofia ad opera di Immanuel Kant, la definizione di società civile nella rinnovata attenzione per il bello che Alexander Gottlieb Baumgarten (1714-1762) proporrà, suggerendo la parola «estetica» per salutare la nascita e lo sviluppo della «scienza del bello», con la pubblicazione in latino nel 1750 del suo libro intitolato appunto Aesthetica – un trattato che si apre definendo la nuova scienza: «L’estetica (ovvero la teoria delle arti liberali, gnoseologia inferiore, arte del pensare bello, arte dell’analogo della ragione) è la scienza della conoscenza sensitiva». Ma già l’umanesimo del Trecento aveva manifestato un risveglio del pensiero politico, con riflessioni innovative che vennero poi sviluppati nel Rinascimento. Espresse fra l’altro anche fermenti rivoluzionari in campo ecclesiastico e religioso che si esternarono nella Riforma e poi furono in minima parte recepiti ma per lo più soffocati nel 1545 dalla successiva Controriforma.
Il nuovo modo di pensare influì in forma sostanziale sui contenuti e sugli sviluppi della filosofia. Emersero nel suo ambito nuove discipline che successivamente diventarono vere e proprie dottrine e scienze autonome. Il fertile processo di gemmazione diede infatti origine alle scienze della natura propriamente dette e più tardi, nel Settecento, genererà l’«economia» dalla quale, nel Novecento, trassero origine le discipline dell’organizzazione e del management.
Grande rilievo assume lo studio della politica, in particolare nell’analisi di due pensatori fiorentini, Machiavelli e Guicciardini.
Niccolò Machiavelli (1469-1527), meditando sulle problematiche del comportamento individuale e della virtù come azione, nel suo scritto più famoso – il piccolo grande saggio Il Principe (1532) – analizzò il governo della cosa pubblica come espressione della ragione di Stato. Di Francesco Guicciardini (1483-1540), l’opera più importante è la Historia d’Italia (1561) nella quale assume rilevanza «il bene particulare», cioè l’interesse personale, ma concepito nel senso più alto come realizzazione del proprio talento e delle proprie capacità, che in quanto tale produce un beneficio a livello generale, per la collettività, in grado di condizionare le situazioni generali, inducendo a pensare la virtù come calcolo da sviluppare con l’arte della prudenza. Intanto il londinese Thomas More (1478-1535) scriveva Utopia (1516), in cui, contrapponendo la città perfetta di Utopia alla città reale, ne tracciava le linee organizzative basate sull’abolizione della proprietà privata e sulla famiglia ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Per una scienza nuova del governo della città
  6. Prologo
  7. Parte prima. Lezioni dalla Storia
  8. Parte seconda. Lezioni dal sapere
  9. Parte terza. Verso il futuro
  10. Epilogo
  11. Appendice
  12. Frammenti di storia
  13. Lista di eventi significativi sul percorso per fondare una «Scienza nuova del governo della città» da diffondere in apposite city school
  14. Ringraziamenti