Storie di magliari
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Storie di magliari

Mestieranti napoletani sulle strade d'Europa. L'arte del commercio e il genio dell'imbroglio.

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Storie di magliari

Mestieranti napoletani sulle strade d'Europa. L'arte del commercio e il genio dell'imbroglio.

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Giovani che per sottrarsi alla miseria e alla precarietà esistenziale provavano ad ascendere la gerarchia sociale attraverso una pratica del commercio senza fissa dimora che li trasformava in piccoli imprenditori cosmopoliti: questo erano i magliari. Si trattava di un modo d'arrangiarsi fattosi mestiere, un mestiere pressoché scomparso nel breve volgere di mezzo secolo. I primi magliari, soprattutto napoletani, avevano avuto l'orizzonte del Sud America, poi era stata la volta dell'Europa industriale del secondo dopoguerra, soprattutto l'area industriale e mineraria compresa tra Belgio, Francia e Repubblica federale tedesca, sulle orme dei flussi migratori degli operai italiani. La storia dei magliari è infatti strettamente intrecciata a quella della migrazione italiana in Europa nel secondo dopoguerra, nonché a quella della mutazione antropologica che ha traghettato le società occidentali verso una trasformazione della culturale materiale e l'avvento del consumo di massa. Per ricostruire pratiche e itinerari di un mestiere informale, senza sedi e traiettorie ufficiali, tutto affidato all'abilità commerciale dei singoli e alla loro fulminea capacità di adattamento, i due autori ne hanno ripercorso le orme tra Italia e Germania, registrando le loro narrazioni in presa diretta. Come in un romanzo, da queste testimonianze emergono la fisionomia, i tic, le manie, i percorsi e i contesti di una categoria di «venditori» che facevano del proprio mestiere uno stile di vita, di cui curavano in modo ossessivo ogni dettaglio: l'abito faceva il magliaro, che non conosceva sciatteria nell'aspetto e nell'eloquio. Attraverso un sapiente montaggio narrativo, gli autori ci presentano personaggi con soprannomi pittoreschi – Mezzalingua, Bella 'Mbriana, Merdazzella –, chiudendo la loro ricognizione con una testimonianza del regista Francesco Rosi, autore nel 1959 di un memorabile film che immortalò il magliaro nei panni di un irresistibile Alberto Sordi.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788868437176
Categoria
Sociology

1. Il mestiere

In principio
Mezzalingua: «I magliari si chiamano magliari perché c’era un’epoca dove uscivano con gli zaini dietro le spalle con dentro delle magliette di lana che si chiamavano le “carabiniere”. Avevano il colore della lana e invece poi, quando i compratori le mettevano nell’acqua per lavarle, scoprivano in fretta che non era lana. Camminavano con una dozzina di carabiniere in mano e dicevano: “Io sono marittimo, ho queste maglie che mi avanzano, vengono dall’estero…”.
Ci chiamano i magliari perché vendevamo le maglie. Si girava in città nella zona del Rettifilo, dove proprio alle spalle c’erano i negozianti che vendevano le carabiniere. Si andava dentro, si pigliavano le magliette, si mettevano nello zaino, si usciva sul Corso e si vendevano, poi, finite le magliette, si faceva un’altra volta il carico.
Di magliaro ci sono tante qualità, c’è quello onesto che guadagna bene ed è quello che lo sa fare veramente, e c’è quello che invece è più truffaldino; ci sono quelli di antico tempo e quelli di ultimo. I veri magliari erano quelli di antico tempo, quelli che andavano per i paesi di montagna con il tamburo: buberbumerbum, e con una bella voce dicevano: “Sta arrivando ’O ’Mericano con la carrozzella”, e uscivano tutti fuori dalle case per vedere che cosa esponevano, che cosa si vendeva».
Onofrietti: «Non so se l’origine del mestiere sia molto antica, sicuramente erano i genovesi che migravano lungo le coste del Sud della Francia vendendo lana, cotone o chincaglierie, per lo meno a Napoli si diceva così».
Un’arte spregiudicata
Il Soldato: «Può mai essere che se qualcuno mi guarda resta deluso? Io sto vestito elegante e ci sto vestito sempre, questo è uno dei fattori più importanti del mestiere perché non è vero che l’abito non fa il monaco. L’abito lo fa il monaco! Il taglio di capelli fa il monaco, la barba fatta tutti i giorni fa il monaco, il colletto inamidato fa il monaco.
Per il mestiere ci voleva eleganza. Chi fa questo mestiere non deve portare nemmeno le scarpe con i lacci, deve portare i mocassini, deve essere elegante, ben sbarbato, i capelli corti, deve avere un bel viso e deve essere un gentiluomo. Deve andare alla scuola di portamento, essere profumato, bello fresco».
Mezzalingua: «Il magliaro non si fa capire, non si deve far capire. Devi parlare sempre con la mezza lingua in modo che, se sbagli, ti puoi riprendere subito… Ti incammini su un’altra strada e la persona resta sempre là a parlare con te».
Il Persuasore: «Il fatto è che i magliari una giacca di pelle falsa, la fanno diventare di pelle vera. La gente dice: “questa è pelle” e pensa che sta avendo un buon prezzo. Una giacca di pelle che in un negozio gli sarebbe costata duecento marchi, i magliari gliela vendevano per cento: a loro sembrava che già avevano guadagnato. È questo il trucco. La gente di Napoli e della provincia vende chiacchiere e coloro che comprano, comprano chiacchiere, questo è il mestiere. Chiamiamolo mestiere ma non è un mestiere, è imbrogliare.
Alcuni dicono il mestiere… ma quale mestiere? Mestiere è quando uno impara a fare il meccanico, il saldatore elettrico, ma il magliaro mestiere non è. Ci vuole la parlantina e a volte si fanno delle brutte figure: quando si entra in un appartamento, una figlia ti può cacciare fuori, oppure ci può essere un figlio che fa il poliziotto, insomma si va incontro a tante e tante di quelle cose, che non si sa mai».
Il Magliaro evangelico: «Il mestiere del magliaro bisogna farlo con una certa intelligenza, certo nell’ambiente si mischiano tanti delinquenti che fanno dozzine di bidoni, oppure il giovane che non ha lavoro e si butta anche lui nel mestiere, perché noi napoletani non aspettiamo la grazia dal cielo o ci mettiamo ad ammirare dove spunta il sole; noi vediamo quello che dobbiamo fare per portare un po’ di soldi a casa. Il mestiere si può fare anche onestamente, sempre commercialmente parlando.
Certamente le bugie si dicono. Onestamente vendevamo i tappeti di lana che, tra parentesi, il tappeto di lana si può benissimo avvicinare a quello persiano, quindi è la stessa cosa. I veri bidoni si fanno vendendo i tappeti di plastica anziché di lana. Il tappeto di plastica venduto per persiano è un bidone, una truffa. Quindi, la differenza che c’è tra i nuovi e i vecchi magliari è che prima il trenta, il quaranta o il cinquanta per cento lavorava con una certa serietà, una certa benevolenza. Oggi, al novantanove per cento lavorano tutti in modo da togliere i soldi dalla tasca della gente. Si approfitta di quella persona che ti stende la mano e non è una cosa buona, anzi è una cosa cattiva. E qui che ritorna la nostra maledizione perché, ripeto, è un mestiere che si può fare anche bene ma sarebbe stato meglio se non fosse diventato un mestiere così diffuso – che poi oggi non sono magliari, sono venditori truffaldini senza un minimo di mestiere. Se restavamo in pochi forse, l’avremmo fatto in un modo più decoroso».
Il Persuasore: «Non sempre si riesce a fare il magliaro, c’è tanta gente che non è riuscita. A Karlsruhe c’è uno che per tanti anni ha cercato di fare il magliaro. Trentuno anni fa quest’uomo parlava con me e quasi piangeva, allora gli dissi: “Se per me questo mestiere non andasse più, io e mia moglie cercheremmo di andare a lavorare per vivere. Se per te questo mestiere non va, perché non vai a lavorare?”. Quest’uomo mi ascoltò e si mise a lavorare, e ancora oggi, quando lo incontro, mi ringrazia del consiglio che gli ho dato, mi ringrazia perché lui non riusciva vendere mentre oggi possiede una bella macchina nuova, un bell’appartamento ed è contento.
C’è stata anche tanta gente morta in miseria. Magari qualcuno aveva la donna in Germania, ha fatto la dolce vita qua, viveva come un pascià e all’ultimo voleva tornarsene in Italia. Chiaramente la famiglia in Italia non l’ha voluto più, i figli non hanno voluto più saperne, perché aveva lasciato la famiglia. A Karlsruhe ci sono cinque o sei di questi uomini e quando sono morti, noi antichi colleghi, gli abbiamo fatto il funerale e ora sono sotterrati abbandonati in Germania».
Una Questione di stile: «La parola mestierante dice tutto: un soggetto fatto in un certo modo, prendere o lasciare. Ce n’è di diverse classi: quelli che vendevano ai tedeschi e quelli che vendevano agli italiani, però venivano principalmente per vendere agli stranieri, non ai tedeschi. Per un motivo semplice: se io non sto completamente a posto con i documenti e viene un venditore a darmi una giacca e mi dice che è di pelle, quando mi accorgo che questo mi ha imbrogliato, io dove vado? Loro su questo giocavano, che non ci potesse essere una reazione dopo. Invece vendendo ad un tedesco, per la legge c’è la truffa, soprattutto se a denunciare è un tedesco, mentre un italiano forse non riesce neanche a spiegarsi bene se va alla questura, non può neanche fare una denuncia circostanziata.
I magliari quindi vendevano a tutti gli stranieri, ai greci, agli spagnoli, ai portoghesi, agli slavi, visto che prima turchi, indiani o cinesi ne trovavi pochissimi. Questi mestieranti si muovevano tra le fabbriche e le baracche, erano degli spregiudicati e sfruttavano la miseria. Un mestierante che non è spregiudicato vende molto poco. C’erano quelli specializzati nella vendita, e ognuno aveva un suo sistema, ma alla base di tutto c’era la spregiudicatezza: “Morte ai Saraceni”, si dice a Napoli. In un modo o in un altro il fine era quello: prendersi i soldi e darti la bidonata».
Merdazzella: «Il nostro era un ambiente particolare, in mezzo a noi non ci sono mai stati i lavoratori, è capitato che qualche Gastarbeiter si è menato appresso a noi e ha imparato il mestiere ma era raro, qualche catanese, qualche pescarese, ma roba da poco. A Dortmund c’era un ragazzo di nome Paolo, era tedesco ma parlava il napoletano meglio di me, faceva l’autista per noi mestieranti. Un giorno se lo portarono a Napoli e iniziò a vendere gli Omega a carretta1, anche se era tedesco imparò proprio bene perché un napoletano o un italiano si fidavano di più di un venditore tedesco, per lo meno a quei tempi».
Bella ’Mbriana: «A Dortmund c’erano quattro o cinque grossi commercianti. C’era uno chiamato Giovanni Rocco, c’era Marino, un mio cugino, c’erano i Festa che davano la roba, e allora tu potevi prendere la roba da uno, da due, da tre. Si prendeva da grossisti diversi perché, soprattutto quando arrivavi, si aveva bisogno di merce. Allora, mettiamo che un commerciante non ti poteva dare tutti e mille e te ne dava solo cinquecento, uno si industriava e andava da un altro e si prendeva gli altri cinquecento, insomma si comprava cinque di qua e cinque di là. Se poi iniziavi ad andare da uno solo, riuscivi a metterti meglio d’accordo sul prezzo. Io andavo a comprare tutto nel magazzino dei Festa che c’avevano primo e secondo piano, avevano un intero palazzo a disposizione dove era possibile scaricare il camion col rimorchio direttamente dentro l’androne. Erano sempre pieni, ogni volta che mancava la roba si rifornivano subito. Vendevano a tutti quanti: italiani, jugoslavi, greci, spagnoli, però quelli a cui vendevano di più erano i turchi. Io mi appoggiavo al magazzino Festa perché erano più assortiti di roba. E là prendevo proprio di tutto: tappeti, arazzi, gingilli, tante di quelle cose, orologi. Come più di un bazar. Purtroppo poi con gli anni hanno avuto problemi con la finanza e so gghiute miez’ a via. Molti grossisti e commercianti pagavano meno tasse di quanto dovevano e visto che la finanza controllava tutti quanti quattro o cinque giorni a settimana, quando ti trovavano in difetto o pagavi o ti rinchiudevano.
Anche gli ebrei tenevano i negozi. Erano pochi quelli che vendevano, tenevano i negozi perché l’ebreo vuole la sede ricchissima, che così usa fra di loro e si aiutano pure a vicenda. Per esempio, se andava male un negozio ebreo, un altro ebreo sovvenzionava senza chiedere niente in cambio, senza scopo e senza rischio, perché io sono ricco e tu sei povero, ma domani non si sa. Si aiutano fra di loro, commerciante e commerciante. Con loro, però, noi non abbiamo mai avuto molto a che fare, era gente che vendeva per fatti loro anche se, certamente, vendevano gli orologi e la stoffa differenti da quelli che vendevamo noi».
Il Soldato: «Noi abbiamo avuto sempre un certo successo con le donne, perché avevamo più possibilità di spendere. Gli operai ci invidiavano perché pensavano che tutto quello che facevamo era una truffa. Pensavano che eravamo dei banditi, dei delinquenti; un velo di verità ci può anche stare perché la merce che vendevamo era tutta merce fasulla. Il napoletano è furbo, vuole lavorare poco e guadagnare tanto, bisogna essere realisti nella vita, accettare la verità anche se ci sono cose non piacevoli in questo mestiere. Lasciare la famiglia, la moglie giovane, andare in questi paesi freddi, aprire la finestra e trovare la nebbia e non il sole… però queste cose qui si risolvono guadagnando i soldi. E uno che non si droga, non si ubriaca e non ha il vizio del giuoco deve per forza conservarsi una cosa di soldi. Molti, troppi si sono rovinati con i cavalli e il guadagno facile. A Dortmund c’era don Vincenzo ’O Lione che aveva sposato la sorella di Adenauer e noi ogni tanto ci rivolgevamo a lui e lui diceva: “andate via che mi fate andare in galera”.
E comunque se mi trovo in questo mestiere è perché lo amo, è la mia vita, e vorrei che tutti lo facessero come lo faccio io. Il mestiere è un’arte, una tradizione e una fatica».
L’affare
Il Magliaro evangelico: «Il magliaro è un mestiere spregiudicato. C’è l’uomo cosciente che lavora di più e non imbroglia nessuno, e c’è il magliaro incosciente che non ha principi ed è pronto ad imbrogliare anche la madre.
Il magliaro fa un lavoro abbastanzamente onesto perché è il commercio che non può essere chiamato onesto del tutto, proprio perché ci deve essere sempre qualcosa sotto il guadagno, anche se limitatamente. La maledizione dei mestieranti esiste non perché facciamo gli imbrogli, perché poi stoffa vendiamo, ma perché aggiungiamo qualche sciocchezza per far sì che i clienti comprino.
Bisogna pensare che chi compra crede di fare un affare; anche durante qualche causa che ho avuto per truffa, il giudice diceva al compratore: “Ma tu il giubbino di renna te lo sei comprato a centocinquantamila lire? Non hai avuto qualche dubbio da dove veniva?”.
Noi, in realtà, ci prendiamo solo il guadagno che riusciamo a fare, che poi è un venti, un venticinque per cento del prezzo. Una sola volta ho fatto un bidone con una coperta e oggi che sono passati più di quarant’anni tengo sempre a mente quella persona. Se lo incontrassi per strada, pigliass’ una cinquantamila lire e gli direi: “Senti io ti ho venduto una coperta di cinquemila lire per cinquantamila lire. Qua stanno le cinquantamila”. Farei così perché mi è rimasto un marchio nell’intimità, e io sono una persona che si sente onesta».
Bella ’Mbriana: «Il mestiere esiste da sempre perché si deve trovare sempre il più fesso, se non trovi il fesso e siamo tutti furbi, e come si fa a vendere? A qualsiasi parte vai si deve trovare sempre quello là che ascolta e si prende la tua parola, la fiducia che tu gli hai dato. Alla fine si è preso da te tutte quelle fesserie che gli hai detto».
L’Invidioso: «In fin dei conti è l’alibi del magliaro: è il compratore che vuole fare l’affare. Comunque ci sono anche quelli che si sono beccati i giravite dietro le spalle quando tiravano fuori i coltelli, era raro però. Quando uno scopre di essere imbrogliato il magliaro ormai è già lontano, è scomparso e dove lo si piglia più? Quelli non sono mai nello stesso posto, girano di continuo. Come il mercato settimanale in ogni paese d’Italia che va una volta qui, una volta lì, i venditori conoscono i loro punti di vendita e fanno il giro.
Un truffatore non si può cercarlo neanche tramite polizia, la finanza; mica rilasciano una ricevuta, il conto. Uno che compra, compra a scatola chiusa sempre credendo di aver fatto l’affare. Quelli che comprano, alla fine dei conti, cercano di fregare quello che vende, praticamente diventiamo noi gli strozzini, gli usurai, questo è il morale della storia. Si frega per non farsi fregare, senza sapere che tutti vengono fregati».
L’indipendenza
Bella ’Mbriana: «Io ho fatto questo mestiere per cent’anni e so che tutti quelli che vendono dicono fesserie. Il magliaro, il mestierante, il venditore – così come lo vogliamo chiamare –, è buffone in sé stesso. In origine sono tutti quanti buffoni. C’è quello che dice: “Io abbusco2 cinquecento lire al giorno”, quell’altro abbusca cinquemila lire e quell’altro ancora s’abbusca cinquecentomila lire, ognuno c’ha la sua. È capace che chi racconta queste cose non sa neanche come sono fatte cinquecentomila lire e dice solo una fesseria per far vedere che lui è più bravo degli altri. Poi magari chi sta zitto zitto, abbusca veramente i milioni e uno neanche se ne accorge.
Comunque quello che si dice sulle regole del mestiere non sempre corrisponde a verità, in realtà non ci stava nisciuno rigore. Il vero mestierante è stato sempre indipendente, anche se poi le figure a cui dovevi tenere conto erano assai: c’era di stare sotto ai grossisti, ai commercianti, alla polizia e così via».
Il Persuasore: «Questo è un mestiere che dà soddisfazione perché si è liberi e indipendenti, ma naturalmente avevamo tutti una licenza per vendere e il libretto della finanza. La gente va dicendo che il mestiere è finito, ma non è vero. Questo è un mestiere che esiste da mille anni e non finirà mai. I magliari, tra l’altro, non sono tutti uguali, c’è sempre la distinzione. È come succede tra un cantante bravo e la mezzacalzetta che esce oggi: c’è sempre la distinzione. Cioè, uno che esce per vendere senza quella parlantina, quel coraggio, quella presenza non potrà mai guadagnare soldi. Il magliaro è il mestierante che ha un’imponenza e sa parlare, si sa esprimere in una posteggia3. C’è quello che guadagna molti soldi con tranquillità e lavora poco, ma anche quello che si mette sulla macchina dalla mattina alla sera solo p’acchiappà ’na manciata ’e fasule4. C’è una distinzione anche tra le nuove e le vecchie generazioni. Ormai è tutto cambiato, oggi i magazzini vendono tutto, dalla A alla Z, adesso si deve vendere roba nuova e moderna mentre negli anni addietro la gente comprava più facilmente, non c’erano negozi dappertutto ed era più facile vendere qualcosa. Al giorno d’oggi ci vuole veramente una grande abilità nel parlare, nel discutere, visto che in ogni magazzino si trovano oggetti di pelle, servizi d’argenteria, coperte, tappeti, c’è tutto! Quindi, oggi come oggi, è davvero difficile convincere una persona che la pelle è pelle mentre invece non lo è».
’O Nirone: «Io quasi non sono magliaro, sono un mezzo bastardo. Io non ho mai fatto troppi soldi, però ho vissuto bene, nessuno mi ha mai chiesto niente, non davo nessun soldo a casa, era come una droga il denaro per me, e i soldi si spendono quando si fatica facile».
Una Questione di stile: «Il novantanove per cento dei magliari è morto in miseria perché il mestiere del magliaro quello è: guadagnare mille lire e spenderne mille e cento, era come avere la paga di soldato e vivere da generale, altrimenti non sarebbe stato un magliaro. Si viveva alla grande: albergo, ristorante, anche oggi un ragazzo che parte per fare il magliaro, innanzitutto ha bisogno di albergo e ristorante (le spese vive), poi deve girare e c’è la macchina da affittare (non può girare con quella italiana) e poi i vizi… C’erano persone che sotto Natale avevano risparmiato, magari avevano messo molto da parte per la famiglia ma poi hanno giocato, hanno perso tutto e hanno dovuto fare debiti per poter tornare a casa. È la loro mentalità: non ci fai niente. È come quando si fa una rapina col morto, diventa un marchio e dimostra una mentalità, per questo tipo di rapinatori la vita umana non vale niente, l’importante è ottenere subito quello che vogliono. Tra i magliari c’era un’unica mentalità uguale per tutti: cercare il godimento, lavorare in proprio e non stare sotto padrone».
Il Cumpariello: «Adesso si vive solamente, non si fa i...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. A mo’ di introduzione
  6. 1. Il mestiere
  7. 2. Partenze e arrivi
  8. 3. Genealogia di un mestiere
  9. Intermezzo I. La donna del magliaro
  10. 4. Germania! Germania!
  11. 5. Persuasori (non) occulti
  12. 6. Un dialogo tra vittime e carnefici
  13. Intermezzo II. La Mina
  14. 7. Il Belpaese
  15. 8. L’ultimo eldorado (real)socialista
  16. Variazione. Il Saraceno
  17. A mo’ di conclusione. I magliari di celluloide
  18. Elenco dei testimoni