Giovenale tra storia, poesia e ideologia
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Giovenale tra storia, poesia e ideologia

  1. 365 pagine
  2. Italian
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Giovenale tra storia, poesia e ideologia

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Juvenal's satire continues to fascinate his readers and to challenge scholars by the constant interplay of a strong poetical identity, a keen historical perception, and an irresoluble ideological tension. The essays collected in this volume pursue these three strands from different but complementary perspectives, aiming at a firmer assessment of the character, the oeuvre, and the background of Rome's last great satirical poet.

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Informazioni

Editore
De Gruyter
Anno
2016
ISBN
9783110484977
Andrea Cucchiarelli (Roma, Sapienza)

La Roma di Giovenale (e il nido della Concordia in 1, 116)

Desidero ringraziare per le loro osservazioni su vari punti di questo mio contributo Franco Bellandi, Giuseppe Dimatteo, Stefano Grazzini e Antonio Stramaglia. A Giulia Ammannati, Luigi Galasso ed Ernesto Stagni va la mia gratitudine per aver discusso con me la questione testuale di Sat. 1, 116. Ringrazio infine Elena Merli, cui devo molte utili indicazioni su Marziale, e, in particolare per l’aspetto archeologico, Paolo Carafa e Domenico Palombi, anche loro generosi di indicazioni e osservazioni sull’aedes Concordiae.
Nella comune percezione degli studi classici, in particolare di poesia latina, la Grande Città per come viene descritta da Giovenale è un’entità spropositata, caotica e colossale, abitata da viziosi d’ogni genere. Non si può dire, certo, che ciò sia sbagliato, ma quel che vorrei fare nelle pagine che seguono è cercare di approfondire e dettagliare tale concetto: vorrei cioè seguire lo sguardo del poeta nel suo volgersi a quella realtà tanto complessa che è la città di Roma.
La componente visuale, che si realizza nella capacità descrittiva ed evocativa, è una parte fondamentale della poesia antica, ben sfruttata dalle varie forme della poesia comica e satirica. Il poeta comico-satirico deve saper evocare delle immagini, che parlino, risultino vivide alla fantasia del lettore, e su di esse poi interviene con i consueti meccanismi dell’ironia e del sarcasmo; talvolta si tratta di una vera e propria demolizione dell’immagine (un oggetto, in particolare un monumento o una statua, viene posto di fronte agli occhi del lettore, ma giusto il tempo perché egli lo veda collassare e sbriciolarsi). Per quanto enorme e corrotta sia Roma, l’occhio di Giovenale, dunque, si posa su di essa con precisione, ne esplora le strade e gli edifici. Di fronte allo spettacolo del vizio l’indignatio non può non accendersi, ma lo sguardo del poeta resta lucido, esamina e descrive con precisione la realtà: in questo Giovenale mostra tutta la sua consuetudine con Roma, di cittadino che parla ai suoi concittadini, e sa cogliere l’essenza delle questioni, morali e ideologiche, anche sotto le apparenze. I grandi edifici del culto e del potere politico non sfuggono al suo sguardo penetrante. E quello sguardo ci proponiamo ora di seguire, nel suo muoversi instancabile tra le strade, i monumenti, la gente167.
Da un lato, attraverso il confronto con alcuni grandi testi della poesia ellenistica, cercheremo di comprendere come l’immagine di Roma si stesse modellando su quella delle grandi città ellenistiche (in primo luogo Alessandria, ma non solo): un fenomeno che è fonte di ambiguità e contraddizioni che riescono preziose all’invenzione satirica di Giovenale (chiamato, peraltro, a confrontarsi con la vivace cultura greca contemporanea, ben rappresentata, in particolare, da Dione di Prusa). Ma anche le testimonianze documentarie e archeologiche potranno esserci d’aiuto nel nostro tentativo di comprendere la Roma ‘vista’ da Giovenale e, almeno in un caso, ci permetteranno di gettare nuova luce su una celebre questione esegetica (le ‘cicogne’ di 1, 116).

1Dal tufo al marmo: Roma nuova Alessandria

L’orgoglio per la nuova Roma imperiale è forse rappresentato al meglio da una celebre frase che sarebbe stata pronunziata da Augusto in persona: la città che egli aveva trovato di mattoni, la lasciava di marmo (Suet. Aug. 28, 3 marmoream se relinquere, quam latericiam accepisset)168. Il marmo, che agli occhi dei Romani da sempre doveva rappresentare il prezioso materiale tipico delle città greche, ormai rivestiva Roma e la metteva alla pari dei grandi centri urbanistici della Grecia e dell’Oriente. Eppure proprio nel marmo Giovenale riconosce un segno di degenerazione.
Al di fuori delle porte di Roma il poeta nella terza satira trova un luogo di antico culto, che lo riporta ai tempi del re pio, Numa: certo, nel linguaggio del satirico Egeria è presentata come la nocturna amica, cui il re era solito dare appuntamento (12 constituebat); ma pure si percepisce l’emozione di un rimpianto, quando Giovenale guarda a quelle grotte che sono così alterate rispetto a come, di per sé, dovrebbero essere (18 dissimiles veris): quanto praesentius esset / numen aquis, viridi si margine clauderet undas / herba nec ingenuum violarent marmora tofum! (18–20)169. La presenza divina è un concetto cruciale del lessico religioso, che era stato assai valorizzato in relazione alla sovranità ellenistica e ben recepito dall’ideologia imperiale: Roma, come i grandi centri ellenistici, era abitata da ‘dèi’, quelli tradizionali e quelli del nuovo culto dinastico. E invece in quel santuario alle porte di Roma la presenza della divinità, stando a Giovenale, era compromessa da una violazione: il marmo aveva sostituito l’antico, originario tufo. Il tipico argomento moralistico che vede nella ricchezza dei materiali il segno di una decadenza, civile e morale, qui si riempie di intensa nostalgia. Già Eschilo, stando a una tradizione biografica, avrebbe osservato che i simulacri moderni, con tutta la loro eccellente fattura, di materiali e di tecnica, non rendono quel senso di comunione con il divino che invece le antiche statue, realizzate con semplicità, sanno evocare (Porph. Abst. 2, 18 = T 114 Radt2)170. La splendida Roma, su cui i vari imperatori avevano sparso la propria magnificenza da Augusto in poi, con tutti i suoi marmi, rischiava di apparire a Giovenale come una grande città senza più dèi ‘presenti’.
In un archetipo della poesia augustea, l’Ecl. 1 di Virgilio, magnificenza e presenza divina, invece, si armonizzavano, collaboravano all’eccezionalità di Roma: incommensurabile rispetto alle piccole città di provincia, soltanto nell’Urbe poteva Titiro incontrare gli dèi in terra (24–25 haec tantum alias inter caput extulit urbes / quantum lenta solent inter viburna cupressi; 41 nec tam praesentis alibi cognoscere divos). Da questo particolare punto di vista, si può dire che Virgilio, ‘Teocrito romano’, dava di Roma un’immagine analoga a quella che lo stesso Teocrito (non, però, in un idillio propriamente bucolico) aveva dato di Alessandria. Nelle Siracusane le due protagoniste, Gorgò e Prassinoa, sperimentano il caos di folla che, in occasione delle feste per Adone, riempie la città dei Tolemei. Con gusto mimico Teocrito indugia sulle lamentele, in particolare di Prassinoa, quella delle due che si è stabilita ad Alessandria con il marito (Id. 15, 8–10), ma anche Gorgò dice di essere riuscita a stento a sopravvivere alla grande calca (4–7). Eppure quel che risalta nel vivace dialogo è l’entusiasmo per la Grande Città in cui i sovrani successori di Alessandro riuniscono enormi folle per celebrare feste ed eventi pubblici. Il contatto tra le diverse etnie greche non passa inosservato e le due stesse donne vengono apostrofate in maniera non proprio gentile da un passante che ne ha riconosciuto, dalla parlata, la provenienza allogena (Prassinoa, del resto, sa come difendersi e reagisce orgogliosamente, rivendicando l’origine corinzia propria e dell’amica: 89–93). Ma quel che resta, seppure attraverso il bozzetto delle due donne, nella loro semplicità fatta di luoghi comuni e pregiudizi, è che Alessandria, nonostante le sue enormi dimensioni e la mescolanza dei popoli che vi confluiscono, è una città sicura: l’encomio per Tolemeo si compatta attorno all’idea che l’elemento autoctono, infido e pericoloso, sia stato neutralizzato171. Così, dunque, si esprime la stessa Prassinoa: «Tolemeo, molte belle azioni sono state fatte / da quando il tuo genitore è tra gli immortali: nessun malfattore / ti striscia accanto e ti molesta, alla maniera egizia, mentre cammini, / come prima, quando uomini fatti di inganno ti facevano brutti scherzi, / tutti uguali tra loro, imbroglioni e maledetti» (46–50).
Il testo di Teocrito è ben rappresentativo di un atteggiamento che sembra essere piuttosto tipico della letteratura alessandrina incentrata sulla stessa Alessandria. Molto può dipendere dalla selezione, anche casuale, della documentazione in nostro possesso e certo è evidente, come nel luogo citato delle Siracusane, un chiaro impulso encomiastico: ma nell’insieme il cittadino di Alessandria sembra essere animato soprattutto dall’entusiasmo per una grande città panellenica, in cui le varie componenti etniche greche (seppure, come abbiamo visto, con qualche ovvia frizione) si armonizzano ai danni di una dimensione originaria ma sottomessa, che è quella egizia. Dunque, Alessandria, concentrato del mondo conosciuto, punto d’arrivo di oggetti, individui, culture i più disparati e al tempo stesso punto di partenza per l’esplorazione dei vari ‘luoghi d’origine’, tutti immaginati come facilmente accessibili172. È proprio in riferimento all’Alessandria dei Tolemei che Eronda, in un celebre luogo di Mim. 1, elenca attraverso la voce – si noti – dell’anziana mezzana (ancora una figura femminile) le varie e disparate meraviglie dell’Egitto, sorta di inesauribile contenitore di tutto quel che si possa desiderare (spec. 26–32)173.
Che Roma, nel suo crescente processo di ellenizzazione e ammodernamento, avesse tra i suoi modelli Alessandria è un dato di fatto innegabile, che si fa particolarmente evidente nel I sec. a. C. e poi in età imperiale174. La battaglia di Azio e la successiva occupazione di Alessandria furono il momento drammatico di un processo di assimilazione che lo stesso Augusto proseguì costantemente e di cui gli esempi più chiari sono il grande Mausoleo nel Campo Marzio e il complesso monumentale del Palatino, attraverso cui il principe volle evidentemente portare Roma al livello delle grandi città ellenistiche175. Se l’esaltazione di Roma come Grande Città è già tutta, in nuce, nella prima ecloga, sarà soprattutto, almeno ai nostri occhi (cioè considerata la perdita di tanta poesia d’età imperiale, in pa...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Titolo Pagina
  3. Diritto d'autore
  4. Premessa
  5. Sommario
  6. Introduzione
  7. Cronologia e ideologia politica nelle satire di Giovenale
  8. La Roma di Giovenale (e il nido della Concordia in 1, 116)
  9. In medio venenum: una tipologia di parentesi in Giovenale
  10. Il ms. Cambridge, King’s College, 52 e la tradizione del testo di Giovenale
  11. Poetica e ideologia nella terza satira di Giovenale
  12. Umbricius, the Sybil and Evander: Vergilian voices in Juvenal, Satire 3
  13. Tradizione satirica e memoria letteraria: Luciano lettore di Giovenale?
  14. Il fragmentum Antinoense e la fortuna di Giovenale nel mondo grecofono
  15. Libri e percorsi tardoantichi delle satire di Giovenale (e di Persio)
  16. Prejudice and obstinacy in brackets: Juvenal, Satire 6 and the Oxford fragment(
  17. Juvenal and declamatory inventio
  18. Proprietà terriere e metodi ‘mafiosi’: Iuv. 14, 138–151
  19. Indice dei luoghi antichi
  20. Indice dei nomi e delle cose notevoli
  21. Note finali