1. Tradizione del testo e genesi della raccolta
Fra le sensazionali scoperte che Giorgio Galbiate, amanuense dello storico Giorgio Merula, fece alla fine del 1493, nel monastero di San Colombano a Bobbio1, figurano anche settanta componimenti, ora noti come Epigrammata Bobiensia. La morte di Merula frenò ben presto ogni entusiasmo: solo una parte dei codici venne pubblicata, i rimanenti andarono perduti o videro la luce parzialmente, raccolti in opere di altri autori; anche il codice contenente i Bobiensia scomparve, tanto che si finì per dubitare della sua esistenza. Di questi rinvenimenti, con i quali, secondo una felice definizione di Remigio Sabbadini2, si chiuse «l’età eroica delle scoperte», si possiedono alcune testimonianze interessanti. Diedero notizia dei ritrovamenti due elenchi3 che, fino a pochi anni fa, si conoscevano solo per testimonianza indiretta: il primo è quello che Merula allegò alla lettera scritta a Ludovico il Moro il 31 dicembre del 1493 (nomina scriptorum ad te mitto), annunciando la felice scoperta. Questo elenco aveva carattere strettamente privato e dovette rimanere gelosamente rinchiuso nell’archivio sforzesco; il secondo, ufficiale, è menzionato dallo stesso filologo che, nel rispondere alle accuse rivoltegli dal Poliziano, di voler nascondere ai dotti le opere rinvenute, dichiarò (epist. 11, 5): publicavi auctorum nomina et operum titulos. Entrambe le liste, però, sembravano perdute, finché nel 1983, in un saggio dedicato al milieu culturale nella Milano di Ludovico il Moro4, Marina Valori ha pubblicato il regesto di un documento (una lettera del Moro in cui si menzionavano le scoperte di Bobbio) con allegato l’elenco dei codici di Bobbio annunciati dal Merula. Tale documento, vergato dalla mano di Galbiate e forse identificabile, secondo Giuseppe Morelli5, con la lista annessa alla lettera inviata al Moro, è comunque autentico. A noi sono giunte anche due copie di questi elenchi: la prima di Raffaele Maffei da Volterra, pubblicata nei Commentarii urbani nel 15066, la seconda di Giacomo Aurelio Questenberg7, contenuta nel cod. XLII 1845 (ff. 111v–112r) della Niedersächsische Landesbibliothek di Hannover, risalente non oltre il 1503. L’aspetto interessante di queste tre liste in nostro possesso è che, pur presentando caratteri diversi, omissioni e in molti casi un ordine sparso delle opere, concordano tutte nel suggerire l’accostamento di tre scritti poetici distinti e coevi: il De reditu suo di Rutilio Namaziano, la Sulpiciae conquestio e gli Epigrammata Bobiensia. Va aggiunto che la lista del Questenberg è molto più ricca di particolari, non limitandosi al mero elenco dei titoli, ma offrendo una descrizione analitica delle opere al fine di evidenziare l’importanza e la consistenza delle stesse: venne, quindi, necessariamente compilata in presenza degli originali o delle copie e coincide, forse, con l’elenco ufficiale di cui parla Merula in risposta al Poliziano, volto ad amplificare l’importanza delle scoperte8. Qui infatti leggiamo, a proposito di Rutilio Namaziano: reditum ab urbe Roma in Gallias maritimamque oram et hominum mores recenset versu elego; della Sulpicia il filologo evidenzia il legame con Marziale (heroicum Sulpiciae carmen de temporibus Domitiani et statu reipublicae conquerentis. Puellam Martialis commendat); infine, degli Epigrammata si notifica l’anonimato (LXX epigrammata. Auctoris nomen non extat). A queste testimonianze se ne aggiunge un’altra, ad opera di Giorgio Sommariva, politico veronese, morto nel 1501, trascritta al f. 11r–v del cod. 1657 della Biblioteca Comunale di Verona e scoperta da Augusto Campana9. Il carattere scarno ed essenziale dell’elenco, nonché la presenza di alcuni errori, poi corretti nelle liste successive, ha fatto pensare che derivasse da un originale vergato dal Galbiate proprio a Bobbio10 come promemoria, poiché non tutti i codici furono da lui immediatamente portati a Milano all’indomani del ritrovamento: anche in questo caso il primo autore menzionato è Rutilio Namaziano, seguito dalla Sulpicia e dai Bobiensia. Le liste, quindi, pur avendo provenienza e tempi di stesura eterogenei, concordano su due punti particolarmente interessanti per la storia della tradizione del testo bobbiese: la ricorrente vicinanza delle tre opere poetiche e la distinzione della Sulpiciae conquestio dai Septuaginta epigrammata. Quanto al primo punto, sembra interessante riprendere un’ipotesi che formulò Mirella Ferrari negli anni ’7011: la studiosa, infatti, sostenne che l’accostamento delle tre opere nelle due copie del Maffei e del Questenberg, allora le uniche conosciute, fosse un chiaro indizio che esse si trovassero nello stesso codice. L’ipotesi è avallata dal reperimento delle liste di Galbiate e del Sommariva, in cui gli scritti si ritrovavano ancora una volta nello stesso ordine. Oltre alla contiguità negli elenchi, ad avvalorare la tesi dell’esistenza di un originale tardoantico contenente le tre opere si aggiunge la considerazione che esse vennero prodotte nello stesso entourage, fra il IV e il V secolo. Anche la Sulpiciae conquestio sarebbe un falso tardo-antico, per la presenza di elementi linguistici che suggeriscono questa datazione, per il procedimento imitativo che la caratterizza, tipico di un ambiente retorico-letterario qual era quello tardoantico, e la predilezione per i classici in auge in questo periodo12. Non mancano, inoltre, le allusioni a Claudiano, Prudenzio e Rutilio Namaziano, che si inseriscono in un clima culturale comune. Una miscellanea, dunque, di matrice esclusivamente pagana: questa connotazione spinge la Ferrari a formulare un’ipotesi più azzardata. La studiosa, infatti, ritiene, sulla base di un’attenta analisi testuale e paleografica, che questa raccolta di scritti poetici, proprio perché di ridotte dimensioni (al massimo 30 fogli), fosse inserita all’interno di un manoscritto più ampio, che la Ferrari identifica con il Torin. A II 2, nel quale erano contenute le Res gestae divi Alexandri di Giulio Valerio, considerato, in epoca tardoantica, promotore della cultura pagana reazionaria. Per quanto quest’ultima supposizione sia alquanto audace, non sembra, d’altra parte, inverosimile l’ipotesi di un archetipo messo insieme da un editore tardoromano, in considerazione dell’omogeneità di fondo delle tre opere e la tradizione dei loro tituli, tanto più che, almeno per quanto riguarda la Sulpicia e gli Epigrammata, si può riconoscere un ulteriore elemento di affinità, ovvero la comune matrice scolastica13.
In tutti gli elenchi, inoltre, la Sulpicia compare sempre come opera a sé stante14, peculiarità confermata anche dalle prime edizioni parziali dei carmina e della stessa Sulpicia. In epoca umanistica gli Epigrammata furono editi solo in parte e fra gli scritti ausoniani: nell’editio Veneta3 (M), curata nel 1496 da Girolamo Avanzi, vennero pubblicati in appendice 18 epigrammi15; a questa edizione seguì la Parmensis (V) di Taddeo Ugoleto (1499) con ulteriori sette epigrammi16, preceduti dalla Sulpiciae conquestio, e la Veneta4 del 1507 (A), sempre ad opera dell’Avanzi, in cui, per la prima volta, fu pubblicato l’epigramma 3917. Scevola Mariotti ha dimostrato che la disposizione dei carmina presuppone che tutte le edizioni di Ausonio provengano da uno stesso esemplare del manoscritto di Bobbio, che presentava in incipit il carme 3718. Anche la Sulpicia ebbe una storia piuttosto travagliata: dopo l’editio princeps nel 1498, venne inserita nell’edizione ausoniana di Ugoleto del 1499, ma successivamente si ritenne opportuno assimilarla al genere satirico e per questo seguì, per un certo periodo, la storia di questi testi19.
I dubbi e le incertezze degli studiosi sulla reale esistenza del manoscritto, andato perduto subito dopo il rinvenimento, ebbero parziale risposta grazie alla scoperta di Augusto Campana, che nel 1950 trovò nel codice Vat. Lat. 2836 (ff. 268r–278v), all’interno di una miscellanea umanistica proveniente dalla biblioteca di Angelo Colocci, una copia del bobbiese. Si tratta, con buona probabilità, di un apografo del manoscritto perduto, molto vicino all’originale; Munari ne sostiene l’assoluta fedeltà. Lo dimostrerebbero la precisione con cui vengono lasciate le lacune già presenti nel modello, le false divisioni delle parole, alcune lezioni palesemente corrotte, che neppure un copista incolto avrebbe trascurato, se non per volontà di mera trascrizione. Fra le corruttele si possono menzionare l’inversione dei versi20 e alcuni errori paleografici21. Campana pensa ad una corrispondenza di pagina a pagina22. Il codice bobbiese sembrerebbe, dunque, ricostruibile attraverso questa copia, che presenta la Sulpicia al centro della raccolta23 e 44 epigrammi nuovi. Rispetto alle edizioni umanistiche, che tentano di migliorare il senso del testo con congetture, correzioni, aggiunte, sembra, dunque, essere la versione più vicina all’originale e fededegna. La mancanza di un incipit e del lemma del primo componimento ha fatto supporre che la raccolta fosse mutila24.
Da quando sono tornati a disposizione della comunità scientifica, gli Epigrammata Bobiensia non hanno smesso di sollevare interrogativi di natura testuale e interpretativa, dando vita a una serie di contributi di carattere eminentemente filologico-letterario. Rimangono tuttora incertezze su questioni fondamentali, in particolare sull’identità degli autori di molti testi, sulla struttura originaria della silloge e sulla disposizione stessa degli epigrammi. Il loro studio complessivo, però, sembrerebbe fornire alcune indicazioni utili alla formulazione di un’ipotesi sulla genesi della raccolta. Essa, infatti, ha tutto l’aspetto di un florilegio: in primo luogo raccoglie componimenti di epoche diverse (si pensi ai carmina di Domizio Marso); le poesie adespote, molto eterogenee, non sembrano attribuibili allo stesso autore, come vorrebbe Munari25, quanto, piuttosto, a poeti che mostrano differenti capacità di rielaborazione poetica. Il supposto raccoglitore e lemmatista, che non può essere vissuto più di una o due generazioni dopo i poeti e i protagonisti della raccolta, perché dimostra di possedere informazioni non autoschediastiche, sembra essere stato animato dall’intenzione di documentare tutti i vari tipi di epigrammi: ne troviamo, infatti, di ecfrastici, scoptici, gnomici, funerari, erotici, i sottogeneri d’età ellenistica e imperiale, con una certa predilezione per lo scommatico, così come si era standardizzato in epoca neroniana26. A parte, invece, va considerata la Sulpiciae conquestio che, come dimostrano le edizioni umanistiche, era riconosciuta opera autonoma. La stessa disposizione dei carmina incoraggia a sostenere l’idea...