Giardini, paesaggio e genio naturale
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Presso quasi tutte le civiltà, il giardino, come pure il pa­radiso, è sempre stato uno spazio chiuso, una fabbrica di paesaggio destinata a progettare e incarnare ideali di vita. Nel xx secolo, però, succede qualcosa di nuovo: il giardino esce dal recinto e annulla la sua separatezza. Nasce l'ecologia, e con essa, paradossalmente, una diversa forma di limite, ovvero la coscienza della finitezza del pianeta. Il giardino cambia scala e diventa planetario.Per preservare questo giardino, emancipandolo dalle inefficienti leggi del mercato e dal modello dello sviluppo illimitato, incompatibile con la logica della vita, il giardiniere ha urgente bisogno di un assistente preparato e insieme visionario: di un «nuovo economista», che valorizzi il vivente assecondando le sue naturali capacità di autoregolamentazione.Per tentare di elaborare una ragionevole previsione circa le future condizioni della vita sul pianeta, il giardiniere non deve dunque far altro che mettersi in ascolto di ciò che Gilles Clément chiama «genio naturale», cercando di comprendere prima di agire, e limitando così il suo intervento: fare il più possibile «con», il meno possibile «contro».Gilles Clément, docente presso l'École Na­tionale Supérieure de Paysage a Versailles e scrittore, ha influenzato con le proprie teorie e con le proprie realizzazioni (tra queste il Parc André-Citroën e il Musée du quai Branly, entrambi a Parigi) un'intera generazione di paesaggisti europei. Tra i suoi libri tradotti in italiano Il giardiniere planetario (22 publishing, 2008), Elogio delle vagabonde (DeriveApprodi, 2010) e Nuvole (ivi, 2011). Presso Quodlibet sono apparsi Manifesto del Terzo paesaggio, a cura di Filippo De Pieri (2005), Il giardino in movimento (2011) e Breve storia del giardino (2012).

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Informazioni

Editore
Quodlibet
Anno
2013
ISBN
9788874629169
Giardini, paesaggio e genio naturale




Parlare di giardino o di paesaggio al Collège de France significa considerare il giardino e il paesaggio come un insieme che può essere insegnato in forma di corso. Dal mio punto di vista il giardino non si insegna, è lui l’insegnante. Devo tutto quel che so al tempo trascorso nella pratica e nell’osservazione del giardino. A questo aggiungo i viaggi, ovvero la possibilità di confrontare i luoghi che l’uomo abita e nei quali ogni volta costruisce un rapporto con il mondo, una cosmologia, un giardino. Vi aggiungo anche gli incontri, la varietà dei pensieri, la sorpresa, il vacillare delle certezze. Tuttavia queste pratiche sul campo, alle quali devo tutto, poggiano su un alfabeto del sapere cui ciascuno di noi dovrebbe aver accesso. Ciò avviene tramite quelli che per l’appunto chiamiamo corsi, necessari per accedere all’esperienza.
Mi sono anche chiesto come si potesse dispensare, in una forma diversa da quella del laboratorio, un sapere nato quasi interamente dal confronto con la pratica. Il laboratorio: un insieme di energie incrociate, nel quale gli insegnanti, «insegnati» dagli studenti e dalla stessa pratica, si limitano a correggere le traiettorie della potenza creativa per rafforzare la coerenza e la chiarezza del pensiero. Devo dunque ringraziare il Collège de France, e in particolare Philippe Descola, per avermi invitato a svolgere un esercizio nuovo: consegnare il patrimonio dei nostri dubbi a chi, venuto da studente, potrebbe alla fine scoprirsi giardiniere.
Parlo di giardinieri, e non di paesaggisti o di tecnici dell’ambiente, sebbene le funzioni corrispondenti a questi profili siano legate fra loro. Componendo un giardino, il giardiniere crea un paesaggio; accompagnandolo nel tempo, ricorre alle tecniche di manutenzione orticole e ambientali. Egli riassume in sé la complessità di funzioni svolte separatamente dal paesaggista e dal tecnico, ma prima di tutto si occupa del vivente. Questo singolare incarico lo distingue da tutti gli attori dello spazio pubblico: dagli architetti, dagli urbanisti, dagli artisti, dai diversi tipi di arredatori, e, naturalmente, dai paesaggisti. Forse non è necessario chiamare in causa il vivente per costruire un paesaggio, ma è impensabile farne a meno in un giardino. Utilizzerò quindi il termine giardiniere più spesso del termine paesaggista, per un motivo facile a intendersi: il paesaggista regola la mutevole estetica del giardino (o del paesaggio), mentre il giardiniere interpreta ogni giorno le invenzioni della vita; è un mago.
L’uno completa l’altro, e tuttavia, per ragioni storiche recenti che capovolgono il rapporto dell’umanità con il suo habitat, non è possibile concepire il ruolo del paesaggista relegandolo alla mera costruzione formale o funzionale dello spazio e facendo astrazione dalla dimensione biologica, a meno di non volerlo trasformare in un semplice designer, ciò che egli non è.
Tre definizioni


Giardino, paesaggio, ambiente: tre termini del linguaggio comune che esigono precisione.
Paesaggio, secondo me, indica ciò che si trova alla portata del nostro sguardo. Per i nonvedenti, si tratta di ciò che si trova alla portata di tutti gli altri sensi. Alla domanda «cos’è il paesaggio?», possiamo rispondere così: ciò che conserviamo nella memoria dopo aver smesso di guardare; ciò che conserviamo nella memoria dopo aver smesso di esercitare i nostri sensi all’interno di uno spazio investito dal corpo. Non c’è scala, nel paesaggio, può presentarsi nell’immenso e nel minuscolo, si presta a ogni tipo di materia – vivente o inerte –, a tutti i luoghi, illimitati o privi di orizzonte: possiamo parlare di paesaggio persino qui, nel Collège de France, in questa sala dotata di forme, di luci, di rilievi e, per terra, di un’aiuola tappezzata di umani...
Trattandosi di una percezione (e della sua trascrizione, per esempio in un dipinto: i primi paesaggisti sono pittori, non arredatori), il paesaggio sembra essenzialmente soggettivo. Viene letto attraverso un potente filtro, fatto di vissuto personale e di armatura culturale. La Beauce, che i francesi considerano un vuoto monotono, sembrerà una meravigliosa pianura a un giapponese, il cui paese non beneficia di un simile spazio.
Tali constatazioni fanno del paesaggio un oggetto irriducibile a una definizione universale. In teoria, per ogni luogo, vi sono tanti paesaggi quanti sono gli individui che lo interpretano. In realtà esistono situazioni di condivisione: quando per esempio la bellezza drammatica o serena di un paesaggio tocca allo stesso modo un gruppo di persone riunite nello stesso istante, sotto la stessa luce e di fronte allo stesso spettacolo, a condizione che tale gruppo condivida le stesse chiavi di lettura, la stessa cultura. Nessuno però saprà mai quale emozione intima animi ciscun individuo del medesimo gruppo. È questo il volto irrimediabilmente nascosto del paesaggio.
Ambiente è l’esatto opposto di paesaggio, nella misura in cui tenta di dare una lettura oggettiva di quanto ci circonda. È anche il versante condivisibile del paesaggio: una lettura scientifica trasmessa da strumenti di analisi che chiunque, quale che sia la sua cultura, può comprendere e valutare in modo comparabile. E difatti la misura dell’acidità o basicità di un suolo (il pH) viene rilevata allo stesso modo, e con gli stessi apparecchi, in Europa, in Asia o in Africa, ed è espressa nello stesso linguaggio. Il valore sonoro di un luogo, l’emissione di radiazioni di una roccia, la percentuale di ossido di carbonio nell’atmosfera, il tasso di inquinamento di un corso d’acqua ecc., si stabiliscono in modo comparabile e rigoroso sull’intero pianeta, dando luogo a un «esperanto tecnico» finalizzato a una lettura scientifica del milieu in cui viviamo.
Il termine francese environnement, che abbiamo ricalcato – senza prenderci la briga di tradurlo – dall’inglese environment, designa un insieme quasi inafferrabile composto da una moltitudine di parametri fluttuanti, i qu...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il libro
  3. Autore
  4. Frontespizio
  5. Colophon
  6. Nota al testo
  7. Giardini, paesaggio e genio naturale
  8. Crediti fotografici