Capitolo secondo
Tempo d’acqua
1.
Piove da ieri sera. La grondaia butta in una pozza. Non s’era mai messe le mutande lunghe, buffe ma tengono caldo: due paia; quando uno vada alla lavandaia, indossa l’altro. Lana pesante, quindi asciugano lentamente. Tutto immaginava meno letto e lenzuola. Il materasso in crine è compatto ed elastico: le foglie invece crepitano; in campagna fungono da imbottitura. Acque buie mandano sonno. «Fare l’osso», metafora delle dormite oziose. Sono fredde come capelli morti le barbe del granturco. Le pannocchie vestono arcate dell’aia. Appena i rigagnoli siano gonfi, sale un rombo. Se continua così, il mondo diventa palude: serpenti alati la trasvolano, pigri ed eleganti; nugoli d’uccelli neri dal collo nudo planano in tondo; anfibi squamosi li azzannano come i cani quando prendono a volo una mosca con lo scatto delle mascelle. Imperversa la catena alimentare dai dinosauri al microbo. Il mondo asciutto contiene meno pericoli dell’acquatico.
Il Comando somiglia alla casa in montagna, luogo d’influssi cattivi. Bort dormiva da solo all’ultimo piano, meno infestato non essendovi morto nessuno: morti covate a lungo impregnano i muri; il fegato secco è meno tormentoso del cuore, i cui malati soffrono freddo d’estate, sudori, un affanno che taglia il fiato. Erano belli i giorni d’autunno, quando nei prati esposti a mezzanotte fioriscono campanule rosa venute fuori d’un colpo, come i funghi intorno alla cupola. Vivendo chiuso in testa, imparava più che avesse passato l’estate al mare. Non sapeva ancora nuotare: un mattino ha visto dei granchi schierati sul molo; poi gli è venuta la febbre; aveva placche in gola e rintocchi in testa. L’ultima tonsillite risale a otto anni fa. Pallottole nel collo offendono le corde vocali, quando non tronchino l’arteria. Il materassaio muto cardava lana nel cortile: l’indomani cuciva sotto la tettoia con lunghi aghi; gli avevano offerto bottiglia e bicchiere; «grazie, non bevo sul lavoro», ha scritto. Ricordi tristi ma ormai tiene testa al diavolo. Chissà quanto sale l’Idia e romba l’Issopo nella Caldaia.
I muri vanno sbiancandosi. Evolio e Lansa dormono; questo granaio può contenere venti letti: diviso in tre, viene una sala a testa. Se torna il sogno delle gambe amputate, lo smaschera alla prima scena; forse era segno premonitorio ipotetico: “dati x e y, ecco cosa capiterebbe; se puoi, cambia lo scenario”. L’avvertimento valeva sulla Sella Rossa. Gli avvenimenti possibili compongono un numero chiuso, altissimo ma chiuso, tutti abortiti meno uno. Va male ai gheppi: sotto quest’ira Dei non beccano nemmeno un lombrico; nessun uccello resiste a lungo nella pioggia fitta; volava tra gli ontani l’unico che abbia visto. Appena esca il sole, fanno strage dei topi e bisce saliti a scaldarsi. Niente prova che l’ancora vivo fosse il più idoneo: spesso era fortuna, ma ai naturalisti non importano i casi singoli: considerano la specie; e qui vale la teoria dei più o meno adatti. Ante omnia, ci vuole tanta paura. Gli animali meno paurosi soccombono prima, finché abbiano sviluppato congrue difese. Rintanandosi Grif corre minori rischi d’Evolio. Anche Arete passa incolume nel fuoco, quindi le cellule nervose non v’influiscono: è nato idiota; e cade al secondo passo nella contesa dove vinca chi vede e capisce prima. Qui influiscono gl’insegnamenti: massime virtuose costano care a chi le segue; il fatto è che camminiamo a passi legati, essendo prestabilito il cerchio delle cause. Solo Iside lo rompe.
La giberna ha nove caricatori: centotrentacinque colpi tengono lontane due o tre pattuglie blu finché venga buio; ogni tanto ne cade uno, a botta sicura; i feriti piagnucolano, latrano, invocano i santi. Pistole automatiche fanno solo baccano, mentre la carabina è micidiale a mille passi, ma essendo poche le munizioni, e sia lodato l’Intendente, qui nessuno impara: Grif non colpisce nemmeno un pagliaio; l’inesperto è come avesse l’arma finta. Morale, gli abitanti sputano sui soldi del governo. Loco era tentato dal canale: i bambini giocano con la morte; Bort s’arrampicava sfidando le vertigini. Eusebio racconta favole. Appena le arrivino sotto, Chero capitola: in lingua eufemistica, avendo resistito eroicamente, stipula patti onorevoli; l’eroismo consiste nello stare acquattati; il n...