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In che modo la prospettiva temporale influisce sulla vostra vita
Cosa accadrebbe se tutte le esperienze negative che avete vissuto nel corso della vostra esistenza – relazioni tossiche, situazioni disastrose, la paura di subire una perdita e il dolore che ne consegue, il malessere fisico, mentale ed emotivo che avete sopportato – venissero invertite? Che effetto avrebbe sperimentare la vera felicità e condurre una vita ricca di significato, liberi da pattern di pensiero distruttivi e reazioni che generano esperienze negative, lontani da persone “tossiche” e circostanze che vi bloccano o vi trattengono? Cosa succederebbe se doveste scoprire che, per anni, avete intrapreso la direzione sbagliata, voltandovi indietro di continuo per riflettere sugli eventi negativi del passato, piuttosto che guardare avanti, verso un futuro pieno di speranza? E se compiere un’operazione del genere fosse tanto semplice quanto cambiare il vostro mindset? Cosa accadrebbe se foste più consapevoli della vostra prospettiva temporale, del modo in cui vi ponete rispetto al passato, al presente e al futuro? Non vi piacerebbe influenzare positivamente ogni aspetto della vostra vita: dalle relazioni intime, familiari, lavorative o scolastiche, alle amicizie? Può avvenire modificando semplicemente la visione che avete del vostro mondo? È davvero possibile?
Ecco la domanda fondamentale da porvi: se disponeste delle conoscenze e delle abilità necessarie per compiere tale cambiamento, lo mettereste in atto? Se rispondete affermativamente allora siamo “soci in affari”; avete tra le mani il libro giusto e siamo pronti a “dar fuoco alle polveri”! Se non siete sicuri, o forse siete addirittura scettici, leggete solo questo capitolo, stabilendo in seguito se rimanere impantanati nella solita melma o scoprire cosa c’è di nuovo e attraente.
AVVERTENZA: quello che leggerete qui di seguito potrà rivelarsi sconvolgente, soprattutto per coloro che sono stati coinvolti, o lo sono attualmente, in una relazione tossica.
«Sei una scrofa grassa! Sembri una vacca! La casa è un porcile! Sei troppo pigra!»
Jennifer si sedette sul divano con la testa fra le mani, cercando di apparire sempre più piccola. Dopo un anno di convivenza con il suo ragazzo, Lee, si era lentamente abituata alle sue invettive. Ma, questa volta, era accaduto qualcosa di diverso. Mentre si ergeva su di lei, urlandole che era una buona a nulla, priva di ogni valore, pessima a letto, Jennifer iniziò a tremare in modo incontrollato. La ragazza decisa, sicura di sé e indipendente, che aveva attratto Lee all’inizio della loro relazione, si era trasformata nell’ombra spaventata e tremolante della persona che era stata. Temeva che la forte agitazione, percepita e subita ogni volta che Lee si scatenava, gli attacchi di panico e le manifestazioni associate all’ansia quotidiana, seguite dalla depressione le avrebbero causato danni psicologici permanenti o, ancora peggio, avrebbero provocato un ictus o un infarto, a dispetto della sua giovane età.
«Be’? Che cosa hai da dire in tua difesa?» la incalzò Lee. Jennifer alzò la testa e lo guardò in faccia: colse nei suoi occhi l’espressione di un pazzo, le vene sporgenti del collo, la schiuma che si formava agli angoli della bocca, come se avesse davanti a sé una “bestia impazzita”. «Ti sei dimenticato di darmi della puttana» disse con tono tranquillo. Quella risposta fece infuriare Lee ancora di più: «Brutta puttana!» le urlò contro. E, per la prima volta, fu violento nei suoi confronti. Afferrò i libri che lei aveva riposto su uno scaffale e glieli lanciò contro. Una parte della mente di Jennifer prese a vagare, allontanandosi in qualche modo dalla scena brutale che stava subendo, per rivolgersi al futuro: come avrebbe giustificato quei lividi di fronte ai colleghi di lavoro? Quali scuse si sarebbe inventata? Quando si alzò per uscire dalla stanza, Lee le afferrò un polso e le disse che non sarebbe andata da nessuna parte. Lei lo guardò negli occhi e non lo riconobbe. Jennifer si era trasformata in una vittima, ma anche l’uomo che pensava di amare si era trasfigurato in un individuo crudele e prepotente. Gli disse che doveva andare in bagno, a meno che non volesse obbligarla a fare pipì proprio lì, sul tappeto. Lee le lasciò il polso, ma la seguì lungo il corridoio.
Jennifer entrò in bagno e chiuse a chiave la porta. Trascorse la successiva mezz’ora seduta sul water, ad ascoltare Lee che prima scagliava oggetti per tutta la casa e poi batteva i pugni contro la porta del bagno gridandole di uscire. Sapeva che presto si sarebbe stancato e che, a quel punto, sarebbe uscito. Infine, Lee urlò con tono rauco che sarebbe andato a ubriacarsi. Solo allora, Jennifer si arrischiò ad aprire la porta, chiamò la sorella, preparò una valigia e imboccò il vicolo dove, dopo qualche minuto, incontrò la sorella che la strinse in un abbraccio.
Jennifer aveva toccato il fondo. Voleva smetterla con quelle relazioni malate che si ripetevano di continuo nella sua vita, e desiderava ciò che si era illusa potesse offrirle il rapporto con Lee: un po’ di autentica felicità. Sua sorella, che aveva frequentato il nostro studio di psicologia clinica, le disse di come avesse acquisito una visione differente del tempo grazie alla Terapia della Prospettiva Temporale (TPT), che avevamo sviluppato, e di come tale approccio si fosse rivelato utile per superare il Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD), di cui aveva sofferto dopo un incidente automobilistico. La sorella di Jennifer le suggerì di farsi assistere dal nostro studio. Nel corso della terapia, Jennifer raccontò di essere la più giovane di tre sorelle, tutte cresciute in una famiglia abusante. I suoi genitori litigavano costantemente; suo padre, di tanto in tanto, era violento nei confronti di sua madre e, non appena le figlie divennero adulte, iniziò a picchiare anche loro. Le sorelle di Jennifer finirono quindi per abbandonare molto presto la casa paterna, e lei dovette arrangiarsi da sola.
Jennifer aveva 13 anni, quando conobbe il suo primo fidanzatino. Lui ne aveva 17. Frequentare un ragazzo più grande la faceva sentire speciale e forte: in fondo aveva scelto lei, tra tutte le sue amiche, e doveva essere accaduto perché sicuramente la considerava più matura e attraente. E forse l’avrebbe perfino protetta dalla collera di suo padre. Ma, dopo poche settimane, il fidanzato di Jennifer l’aggredì verbalmente. Jennifer accettò tale atteggiamento, reputando normale essere insultate e accusate per qualcosa che non aveva neppure commesso. Soltanto quando un’amica le raccontò che lui la stava prendendo in giro – frequentando diverse ragazze alle sue spalle –, Jennifer mise in discussione il comportamento di quel ragazzo. Affrontò la questione, ma lui interruppe subito la loro relazione, replicando che il mondo era pieno di ragazze interessate a lui, e che non aveva alcuna intenzione di sopportare le lamentele di Jennifer.
Questo fu il primo di una lunga serie di relazioni tossiche, di rapporti “avvelenati” che hanno costellato la vita di Jennifer: l’ultimo dei quali con Lee. Ma, dopo avere esaminato insieme le esperienze descritte, Jennifer ha compreso che, in realtà, la prima relazione tossica di cui ha realmente avuto esperienza è stata quella tra i suoi genitori, tanto da rappresentare il suo unico punto di riferimento in ambito sentimentale. Ormai invischiata nella palude delle sue passate esperienze negative, Jennifer ricreava di continuo le dinamiche di quelle relazioni in cui poteva identificarsi. Di fatto, le relazioni tossiche l’avevano costretta a vivere una vita caratterizzata da stress cronico, ansia e depressione. Immaginava che il suo destino sarebbe stato per sempre connotato dalla tristezza e dall’assenza di amore. Tuttavia, in un periodo relativamente breve, grazie all’esperienza della terapia della prospettiva temporale, Jennifer ha imparato a sostituire i ricordi negativi della sua vita con quelli positivi; in un certo qual modo, è riuscita a “voltarsi” di 180° e confrontarsi con l’avvenire anziché pensare al passato, per costruire un futuro più luminoso, più positivo, e godere nel presente del bene insito in sé stessa.
LE PIETRE ANGOLARI DELLA NEGATIVITÀ
Durante la nostra esistenza sperimentiamo vari gradi di stress, di ansia e perfino alcune condizioni depressive. Sono queste le pietre angolari che definiscono la negatività nella nostra vita. Fin dalla più tenera età, accade qualcosa che determina la nostra originaria esperienza stressante. Per esempio, le “prime volte”: il primo giorno di scuola materna, la prima visita dal dentista, la prima vaccinazione. E che dire del primo discorso in pubblico, del primo appuntamento, della prima esperienza sessuale? Se poi ci spostiamo ancora più indietro nel tempo, forse la nostra originaria condizione stressante era un bambino che piangeva per ricevere cibo o coccole. Impariamo dai genitori, dagli amici e da noi stessi come affrontare le situazioni stressanti, con modalità a volte sane altre volte meno. Con il tempo, se siamo fortunati, diventiamo tolleranti allo stress ma, se non lo siamo, possiamo sviluppare un’ansia cronica oppure la depressione. Per capire meglio noi stessi, in quanto esseri umani, diamo un’“occhiata” a una breve storia che illustra come lo stress, l’ansia e la depressione si siano diffusi, aumentando, nel corso dei millenni.
STRESS: IL PADRE DEI NOSTRI DISTURBI
Nell’antichità i nostri antenati vivevano, dal giorno della loro nascita fino a quello della loro morte, in un profondo stato di tensione causato dalla paura. In ogni momento potevano finire sbranati, mentre dormivano, da una tigre dai denti a sciabola, o calpestati da un mammut lanoso, mentre cercavano di rifocillarsi; oppure essere infilzati dalla lancia di un altro membro della tribù, contrariato dal fatto che la sua giovane compagna aveva ricevuto delle attenzioni inopportune; o, ancora, congelati in una tempesta di ghiaccio, e in seguito ritrovati dalla futura progenie decine di migliaia di anni dopo. La vita era caratterizzata da un continuo stato di attacco o fuga, che a sua volta generava una perenne agitazione, alimentata da secrezioni di adrenalina, quasi fossero state spruzzate da una manichetta antincendio. Allo stesso tempo, imparare ad adattarsi allo stress associato agli ambienti pericolosi ha spinto i nostri antenati a innovare ogni aspetto della loro vita: l’uso di pelli di animali e di fibre vegetali per ripararsi e vestirsi, l’invenzione dell’allevamento, il perfezionamento degli strumenti e delle tecniche di pesca, la costruzione di armi, sempre più evolute ed efficaci, per procurarsi il cibo, proteggersi dai predatori, difendersi dai membri delle altre tribù, e ancora la coltivazione di vegetali per produrre cibo nei terreni più vicini; sono questi i progressi evolutivi che, in seguito, hanno portato allo sviluppo della civiltà. Sfortunatamente, di pari passo con l’evoluzione umana, anche lo stress si è adattato e si è “riprodotto”.
ANSIA: LA FIGLIA DELLO STRESS
Mano a mano che gli uomini e le culture si evolvevano, la popolazione aumenta, diffondendosi attraverso i continenti, e il nostro modo di vivere diveniva sempre più complesso. Le regole tribali condivise si trasformarono in leggi, un’innovazione che impose, alle istituzioni deputate al governo e a quelle dedite a mantenere l’ordine sociale, di garantire il rispetto comune di tali “editti”. La nostra auto-consapevolezza si sviluppò fino al punto di chiederci cosa accade all’anima di una persona dopo la morte. La spiritualità, la morale e l’etica generarono quelle riflessioni speculative che poi si tramutarono in credenze, dando così origine ai vari culti religiosi, i quali, a loro volta, demandarono l’applicazione di ulteriori leggi e di una struttura gerarchica, affinché potessero essere diffusi e condivisi. Nell’approfondire ulteriormente la conoscenza dell’ambiente circostante e delle pratiche già adottate dagli uomini, come per esempio la cura delle piante e degli animali per nutrirsi, la medicina, le tecniche per la produzione di vestiario o la costruzione di abitazioni, le differenti mansioni divennero sempre più specialistiche e alcuni individui assursero al ruolo di esperti in ambiti specifici. Furono ideati muri di pietra e recinti di legno per suddividere la terra, nonché tracciati confini invisibili per separare popolazioni limitrofe. Il nostro desiderio per ciò che gli altri possedevano (terre vergini o migliori, animali più grassi, o più veloci per favorire gli spostamenti, femmine maggiormente desiderabili) e, al contempo, il nostro bisogno di proteggere e difendere ciò di cui disponevamo richiedevano una “dimostrazione di forza”. Alcuni buoni lottatori si trasformarono in legioni di guerrieri, organizzate poi in eserciti, a loro volta controllati da una catena di comando che faceva capo ai governanti, coloro che si occupavano di controllare e sorvegliare i possedimenti terrieri e che, tra l’altro, diventavano sempre più ricchi e potenti. Questa incredibile crescita ed espansione ha creato condizioni di vita e problemi molto complessi, i quali hanno determinato nuove e diverse forme di stress di livello superiore.
Per 2500 anni, i medici occidentali (a differenza di quelli orientali che praticano le loro antiche arti curative da circa 5000 anni) seguirono gli insegnamenti di Ippocrate di Cos, il padre della medicina occidentale, colui che è considerato uno dei più grandi pensatori di tutti i tempi. Ippocrate fondò, infatti, una sua scuola di medicina e viene ricordato non solo per aver concepito l’arte medica come una professione, ma anche per aver formulato quel giuramento che porta il suo nome e che viene recitato anche al giorno d’oggi dagli operatori sanitari, quando devono promettere solennemente che impronteranno il loro agire nel rispetto dell’etica e dell’onestà. Ippocrate riteneva che la tristezza (depressione) e la paura (ansia) fossero caratteristiche della “melanconia”, una condizione che si distingue per un turbamento profondo e la presenza di sentimenti cupi (si pensi, per esempio, a Ih-Oh, l’asinello di pezza amico di Winnie the Pooh).
Ansia
L’ansia, per dirla in parole povere, è un’intensa paura o preoccupazione che qualcosa di negativo accadrà nel futuro; questa connotazione temporale può essere molto estesa: può riferirsi ai prossimi secondi o minuti, oppure dispiegarsi in maniera più ampia lungo il percorso esistenziale di un essere umano. Ecco la definizione riportata dal sito Merriam-Webster.com:
1. a. Uno stato di disagio della mente che genera dolore o preoccupazione di solito riguardante un pericolo imminente o anticipato.
b. Preoccupazi...