Il trust e il suo utilizzo nella famiglia e nell'impresa: caratteristiche, applicazioni e profili fiscali
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Il trust è argomento che negli ultimi anni richiama notevole attenzione da parte degli studiosi e degli operatori del diritto, anche in ragione del sempre più crescente utilizzo di tale strumento nell'ambito della famiglia e dell'impresa. Testimonianza evidente del numero, della complessità e dell'interdisciplinarietà delle questioni che l'istituto giuridico del trust è suscettibile di sollevare sono i contributi raccolti in questo volume, che rappresentano il risultato di una ricerca confluita, anche grazie all'apporto fondamentale di illustri colleghi, in un convegno di studi organizzato dal Centro Studi di Diritto Tributario (CST) della Facoltà di Economia dell'Università di Torino e svoltosi a Cuneo l'11 marzo 2011.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788849835281
Argomento
Diritto
FEDERICO RASI*

Trust e beneficiari individuati: l’art. 44, comma 1, lett. g-sexies), Tuir

1. Il contesto normativo di riferimento e le problematiche che esso solleva

Come è noto, con il comma 74 dell’articolo unico della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è stata dettata la disciplina fiscale del trust1, inserendolo fra i soggetti passivi ires (commerciali o non commerciali a seconda dell’oggetto dell’attività esercitata) e prevedendo che, nel caso in cui i beneficiari siano individuati, i redditi conseguiti dal trust siano a essi imputati. Per questa ipotesi, il successivo comma 75, introducendo all’art. 44, comma 1, Tuir la lettera g-sexies), ha previsto che «sono redditi di capitale […] i redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell’articolo 73, comma 2, anche se non residenti». Ai fini che qui interessano, la vigente normativa dispone:
1. la tassazione per trasparenza dei redditi prodotti da trust con beneficiari individuati;
2. la qualificazione di tali redditi quali redditi di capitale2.
L’effetto principale di tali modifiche è la previsione di una nuova ipotesi di trasparenza fiscale nell’ambito dell’ordinamento nazionale3 e, altresì, la riconduzione di un reddito imputato per trasparenza nel novero dei redditi di capitale. Questa scelta legislativa non appare priva di conseguenze di ordine pratico e sistematico sulle quali ci si intende soffermare.
La lettera g-sexies) dell’art. 44, comma 1, Tuir riconduce, infatti, il reddito imputato per trasparenza da un trust ai beneficiari individuati nel novero dei redditi di capitale. Si tratta di una novità nel sistema tributario italiano in quanto, fino a ora, elemento indefettibile e comune a tutti i regimi di trasparenza era (ed è nelle altre ipotesi di trasparenza previste dal Tuir) il fatto che la diretta imputazione del reddito dell’ente ai soggetti passivi non modifica la natura del reddito stesso, il quale resta classificato secondo la categoria in cui si inquadra la relativa fonte produttiva4. Ciò si verifica nell’ipotesi di cui all’art. 5 e di cui agli artt. 115 e 116 Tuir. In queste fattispecie il reddito, determinato in conformità all’attività svolta dalla società, è imputato come tale ai singoli soci per essere tassato presso di loro come componente del reddito globale di ciascuno di essi.
Questa impostazione non è, invece, seguita nel caso del trust il cui reddito, imputato per trasparenza, riceve in capo ai beneficiari una differente qualificazione giuridica, quella, appunto, di reddito di capitale.
La novella legislativa ha così creato un duplice conflitto:
1. tra norme di imputazione per trasparenza del reddito di partecipazione e norme di determinazione dei redditi di capitale;
2. tra norme di determinazione dei redditi di capitale e norme di determinazione delle altre categorie reddituali.

2. Il confronto tra norme di imputazione per trasparenza del reddito di partecipazione e norme di determinazione dei redditi di capitale

Quanto al primo problema, si ricorda che l’ordinamento nazionale (con la sola eccezione dell’ipotesi del trust) prevede, in caso di applicazione dell’istituto della trasparenza, che il soggetto cui sono imputati i redditi dell’ente partecipato dichiari «redditi di partecipazione». Come noto, con questa espressione non si vuole indicare una categoria reddituale autonoma, ma esclusivamente un criterio mediante il quale un elemento reddituale entra a far parte del reddito complessivo di un contribuente. Il reddito di partecipazione è, infatti, mera ripartizione del reddito prodotto dal soggetto partecipato e riconducibile a una delle categorie reddituali di cui all’art. 6 Tuir. Si tratta, in altri termini, di una nozione che assume valenza esclusivamente procedimentale e descrittiva: i quadri allegati alla dichiarazione dei redditi, in cui i proventi derivanti dalla partecipazione in enti trasparenti vengono denominati «redditi di partecipazione», hanno meri fini di comodità espositiva, ma non identificano un’ulteriore categoria reddituale5. Ne è prova il fatto che non si rinvengono nel Tuir regole autonome che disciplinano le modalità di determinazione di tale categoria reddituale; sono solo previste all’art. 5 Tuir regole che riguardano la ripartizione dello stesso tra i membri degli enti collettivi cui si applica tale modello impositivo.
Questo assetto determina, in relazione al trust, le conseguenze di cui si dirà nel paragrafo che segue. Per ora preme soffermarsi sul fatto che l’unica regola autonoma che è prevista con riferimento ai redditi di partecipazione è quella che disciplina la loro imputazione, che avviene indipendentemente dall’effettiva percezione. Con riferimento all’imputazione temporale di tali redditi risulta, quindi, che per essi è testualmente esclusa l’applicazione del principio di cassa. Essi concorrono alla determinazione del reddito complessivo del contribuente secondo un principio analogo a quello di competenza, ovverosia alla maturazione di un reddito (positivo o negativo) da parte dell’ente trasparente. Ai sensi dell’art. 5 Tuir, i soci hanno diritto di vedersi attribuiti pro quota gli utili e le perdite delle società cui partecipano per il solo fatto che la società ha prodotto un reddito imponibile nel corso del periodo di imposta.
I redditi di capitale, invece, costituiscono una specifica categoria reddituale ai sensi dell’art. 6 Tuir che ricomprende fattispecie differenti, accumunate dalla circostanza di rappresentare ipotesi di reddito prodotto derivanti dall’impiego statico di un capitale e che concorrono alla determinazione del reddito complessivo secondo il principio di cassa, ovverosia al momento dell’effettiva percezione.
Risulta così evidente una prima distonia nelle scelte del Legislatore: con l’introduzione della lettera g-sexies) nel corpo dell’art. 44, comma 1, Tuir è stata introdotta una deviazione rispetto alle regole di imputazione temporale dei redditi di capitale. Tale categoria non risulta più integralmente governata dal principio di cassa.
Non bastano a superare questa problematica le indicazioni che derivano dalla prassi dell’Amministrazione finanziaria6 secondo cui sussiste un trust trasparente solo nei casi in cui sia certo il diritto del beneficiario a ricevere delle somme dal trust con cadenza annuale. Dal momento che l’Agenzia delle entrate non richiede, né potrebbe farlo, la prova della materiale apprensione di tali somme, è possibile che siano assoggettati a tassazione i beneficiari individuati di un trust anche nell’ipotesi in cui nel corso del periodo di imposta essi maturino solo il diritto a ricevere le somme, ma che a ciò non faccia seguito la materiale corresponsione delle stesse per inadempimento da parte del trustee.
Applicando le regole tradizionali che governano la categoria dei redditi di capitale, in questa ipotesi il contribuente non avrebbe integrato alcun presupposto di imposta. Tale conseguenza è, invece, coerente con le regole che presiedono i redditi di partecipazione7 in cui è fisiologica la tassazione dei soci di società di persone a prescindere dalla materiale distribuzione dell’utile. L’impostazione prescelta per il trust genera quindi un’alterazione nella sistematica dei redditi di capitale.
La scelta del Legislatore di ricondurre al novero dei redditi di capitale il reddito imputato produce un ulteriore effetto. Nella categoria dei redditi di capitale assumono rilievo solo redditi di segno positivo, non già quelli di segno negativo8. L’interpretazione letterale della normativa in esame dovrebbe portare a ritenere che eventuali perdite prodotte dal trust non possano essere trasferite ai beneficiari. Tale conclusione non appare condivisibile. Similmente alle altre ipotesi di trasparenza conosciute dall’ordinamento nazionale, non si vedono ragioni per escludere dall’imputazione del reddito anche le perdite. Questa appare una conseguenza eccessiva e non coerente con l’istituto della trasparenza cui il Legislatore ha voluto, invece, fare ricorso. La trasmissione sia degli utili sia delle perdite è, invece, proprio la principale conseguenza di tale meccanismo impositivo.
Il fatto che anche nel caso del trust il Legislatore non abbia voluto escludere che si proceda all’imputazione delle perdite si può argomentare dal tenore letterale dell’art. 73, comma 2, Tuir che afferma che «nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione». L’utilizzo del termine redditi (quindi di segno sia positivo che negativo), in luogo del termine utili, evidenzia la volontà del Legislatore di consentire anche il trasferimento delle perdite ai beneficiari individuati.
L’introduzione della lett. g-sexies) nell’art. 44, comma 1, Tuir produce altri conflitti sul piano dei rapporti transnazionali cui si può solo accennare in quanto esulano dall’oggetto del presente intervento. Taluni di essi, tuttavia, meritano di essere menzionati nei limiti in cui evidenziano con particolare chiarezza le ambiguità della scelta del Legislatore e l’artificiosità della ricostruzioni dell’Agenzia delle entrate.
Tra gli altri, si è posto il problema di verificare la sussistenza della potestà impositiva dello Stato italiano sui redditi imputati per trasparenza ex art. 73, comma 2, Tuir e qualificati quali redditi di capitale ex art. 44, comma 1, lett. g-sexies), Tuir a un beneficiario individuato non residente.
L’Amministrazione finanziaria ha ritenuto sussistente la potestà impositiva italiana ai sensi dell’art. 23, comma 1, lett. b), Tuir che riguarda i redditi di capitale corrisposti da soggetti residenti9. Facendo riferimento all’art. 23, comma 1, lett. b), Tuir, l’Agenzia delle entrate sembrerebbe allora condizionare la tassazione dei non residenti alla circostanza dell’effettiva corresponsione dei redditi ai beneficiari da parte del trust. Tale conclusione sarebbe quella imposta dalla qualificazione di tali redditi quali redditi di capitale. L’Agenzia così crea una evidente disparità di trattamento. Per le due categorie di beneficiari (residenti e non residenti) opererebbero differenti momenti di rilevanza temporale: per il beneficiario non residente quello in cui apprende il reddito secondo un rigido criterio di cassa, mentre per il beneficiario residente quello dell’imputazione secondo le regole della trasparenza10.
Nella prassi successiva11 l’Amministrazione finanziaria si è avveduta dell’erroneità di tali conclusioni e ha ritenuto che il criterio dell’imputazione prevalga su quello della corresponsione e che, quindi, anche i redditi imputati da trust residenti a beneficiari non residenti siano tassabili a prescindere dalla loro effettiva corresponsione.
Questa conclusione è certamente l’unica possibile per evitare disparità di trattamento, ma dimostra come sia erronea la scelta di ricondurre nel novero dei redditi di capitale quelli imputati dai trust. Con questi interventi la stessa Agenzia delle entrate dimostra di essersi avveduta delle contraddittorietà della scelta legislativa.
Viste le difficoltà interpretative e operative che scaturiscono dalle norme, pare che il Legislatore meglio avrebbe fatto a ricondurre il reddito imputato per trasparenza ai beneficiari individuati non residenti di un trust nel novero dei redditi di partecipazione cui si applica la lett. g-sexies), dell’art. 23 Tuir. Quest’ultima disposizione appare infatti quella sistematicamente più corretta ad individuare il criterio di collegamento operante in caso di redditi imputati per trasparenza. Applicando questa disposizione, alla quale l’Amministrazione finanziaria è potuta pervenire solo «forzando» le regole del diritto positivo, si sarebbe, infatti, recuperata una completa omogeneità nel sistema nazionale.
Se quelli menzionati costituiscono indici che rendono criticabile la scelta del Legislatore, altri ancora se ne possono rinvenire passando all’analisi delle concrete regole di determinazione del reddito che il trust deve imputare ai beneficiari individuati affinché venga tassato in capo agli stessi come reddito di capitale.

3. Il conflitto tra norme di determinazione dei redditi di capitale e norme di determinazione delle altre categorie reddituali

Come si è detto non sussistono regole di determinazione proprie della categoria dei redditi di partecipazione. Questi sono una mera ripartizione del reddito prodotto dall’ente trasparente sicché la qualificazione del reddito avviene in capo all’ente stesso, con l’effetto che il reddito di partecipazione del membro dell’ente collettivo sarà una frazione del reddito prodotto dall’ente e dovrà essere determinato in capo a quest’ultimo secondo le regole tradizionali.
L’Agenzia delle entrate condivide questa ricostruzione nella circolare 6 agosto 2007, n. 48/E, laddove, con riguardo alle modalità di determinazione della base imponibile del trust, precisa che occorre procedere unitariamente alla determinazione del reddito prodotto dal trust (cosiddetta «base imponibile uniforme») quale che sia la configurazione civilistica dello stesso e, quindi, ribadisce che «dopo aver determinato il reddito del trust, il trustee indicherà la parte di esso attribuito al trust – sulla quale il trust stesso assolverà l’ires – nonché la parte imputata per trasparenza ai beneficiari – su cui questi ultimi assolveranno le imposte sul reddito –». Conformemente a quanto avviene nei modelli di trasparenza esistenti nell’ordinamento nazionale, la determinazione della base imponibile avviene a livello dell’ente trasparente su...

Indice dei contenuti

  1. Il trust e il suo utilizzo nella famiglia e nell’impresa: caratteristiche, applicazioni e profili fiscali
  2. Colophon
  3. Indice
  4. Introduzione di Claudio Sacchetto
  5. I trust in Italia: la Convenzione de L’Aja e la giurisprudenza sui trust interni di Alberto Gianola
  6. Il trust: le tipologie e gli istituti giuridici affini di Giovanni Cristofaro
  7. Il trust nel passaggio intergenerazionale della ricchezza di Alberto Gallarati
  8. Trust e fiducia (romanistica e germanistica) di Fabio Marchetti 55
  9. Trust e beneficiari individuati: l’art. 44, comma 1, lett. g-sexies), Tuir di Federico Rasi
  10. La fiscalità dei trust interni: le imposte indirette e recenti profili giurisprudenziali di Alessandro Terzuolo
  11. La Circolare n. 61/E del 2010: gli orientamenti dell’Agenzia delle entrate in materia di interposizione e inesistenza di trust di Alberto Franco
  12. La fiscalità diretta dei trust di interesse familiare: confronto con strumenti alternativi di Massimo Antonini e Giovanni Cristofaro