Il senso e il nulla
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Il senso e il nulla

Rispondere al nichilismo

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Il senso e il nulla

Rispondere al nichilismo

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La nostra epoca è posta di fronte ad un ineludibile problema: è ancora possibile parlare di un senso nell'età del nichilismo e del post-moderno? La presente opera intende rispondere affermativamente al quesito, ma a condizione di svincolare la sua prospettiva dalle ipoteche del Soggetto idealistico e dalle richieste dell'ontologia. Il progetto mira a rilevare come l'offerta del senso sia insieme posta e trovata. Questa duplicità è affidata ad un'interpretazione della filosofia come teoria generale delle relazioni, in cui si compendia la sfida dei nuovi tempi per uscire dalla stretta del nichilismo. Questo saggio vuole essere un contributo a quest'apertura che vale insieme da promessa e da speranza per un'innovativa ricerca filosofica. A tale fine, la prima parte del libro segue un profilo teorico, in cui la rilettura di Nietzsche occupa un posto centrale; la seconda, più propriamente storica, ruota intorno alla figura di Whitehead, la cui filosofia è stata ripresa, in una prospettiva rigorosamente relazionistica, sul solco delle proposte speculative di Enzo Paci che qui si riprendono, inserendole però in un quadro progettualmente innovativo.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788849848199

Parte seconda
Profilo storico

6.
Esperienza e metafisica in William James

I. L’esperienza e i suoi confini

Nell’orizzonte della modernità, è stato merito dell’empirismo l’aver posto al centro dell’attenzione filosofica il problema dell’esperienza. Codesta linea di pensiero, dall’originaria impronta lockiana sino agli esiti estremi del neopositivismo, assume significati diversi. Nel suo decorso, un particolare rilievo assume l’indirizzo, che, non interpretando univocamente l’esperienza, vi coglie una diversificazione di piani. La caratteristica primaria di quest’orientamento, inaugurato da William James, consiste nell’avere spostato l’interesse conoscitivo dal dato empiricamente circoscritto al flusso di coscienza che lo costituisce e l’inserisce in una definita continuità temporale. In questa struttura coesa e tuttavia dinamicamente aperta, ciascun momento coscienziale rappresenta, rispetto ai precedenti, una formazione di nuovo genere. Posta al centro di questa progressione, la coscienza comprende i vari livelli della costituzione – «materiale», «spirituale» e «sociale» – dell’io. Codesti piani non sono separati, ma si raccolgono intorno all’unità personale, il cui statuto poggia su un presupposto metafisico1. Tuttavia, James non ne ha rigorosamente precisato la connessione con le linee portanti della sua psicologia. L’aspetto che qui però interessa non è rappresentato dagli spunti metafisici della teoria jamesiana, ma dalla configurazione relazionale che egli ha attribuito all’esperienza. In riferimento al nostro tema, quest’approccio, anche se in James è appena abbozzato, ha un rilievo propedeutico alla costituzione del senso.
James ha assunto la struttura della conoscenza non nei termini di rispecchiamento della realtà nella mente, com’è ancora in Spencer, ma secondo il profilo funzionale di un «adjustement of inner to outer relations». Quest’indirizzo speculativo approda a una forma di «interazionismo», che, discostandosi dal parallelismo psico-fisico, non comprime la realtà nei limiti di dati verificabili dalle ristrette procedure conoscitive. In quest’allargamento tematico, la funzione del tempo è essenziale. Come le relazioni coscienziali non sono deducibili dai puri fatti esterni, così gli specifici contenuti empirici non sono condizionati esclusivamente dal potere di determinazione del passato (come tendenzialmente è nell’empirismo classico), ma valgono da anticipazione del futuro, l’autentico garante del télos della conoscenza in generale e della formazione dei concetti in particolare. Questa pluralità di piani attribuisce all’esperienza un coefficiente d’imprevedibilità, che ne decide insieme la direzione. L’obiettivo polemico è il monismo deterministico, il cui difetto fondamentale consiste nella negazione della libertà, che, al contrario, è dotata della capacità, non solo dal punto di vista pratico, ma ancor prima sotto il profilo conoscitivo, di far sorgere indipendenti sistemi d’idee. Solo una filosofia indeterministica e pluralistica – che rispetti l’istanza irrinunciabile della spontaneità, il cui centro proiettivo è rappresentato dal carattere individuale della libertà – è in grado di giustificare siffatta funzione. Il credere, proponendosi da criterio-guida del sentire come del pensare, n’è il motore. All’interno della sua tipologia, prende stanza il sentimento religioso, che, sostenendosi sulla forza attiva della speranza, avanza la «credenza in un ordine invisibile». È però da precisare che James ha compiuto questo passo in nome di un empirismo radicale, vale a dire di una teoria che rende conto dell’estesa conformazione relazionale dell’esperienza. L’universo appare così (a differenza delle tesi di Hume, per il quale l’esperienza è una molteplicità non connessa) una «struttura concatenata e continua», al cui interno può trovare ospitalità anche ciò che non appartiene alla diretta visibilità del mondo2.
Kant aveva cercato, mediante la scoperta dell’Io trascendentale, di garantire l’oggettività delle formazioni fenomeniche. James ha seguito una strada diversa: se in ogni conoscenza empirica s’ammette l’incidenza di un’organizzazione relazionale, che mostra come l’esperienza non si presenti aprioristicamente modellata sulle esclusive operazioni mentali, il ricorso ad apparati trascendentali diventa superfluo e inutilmente macchinoso. Si tratta, semmai, di ricercare funzioni originarie, che appaiono analoghe a quelle che Husserl considererà proprie del «mondo della vita». James non ha però sviluppato questo spunto, ma s’è limitato a rilevare l’esistenza d’elementi «neutri» ultimi, che, nella loro natura fisica o mentale, costituiscono i caratteri fondamentali del reale. Le cose sono e nello stesso tempo sono conosciute. Non esiste così una coscienza pura, separata dalle sue effettive relazioni con la realtà: gli elementi che compongono quest’ultima sono omologhi ai contenuti mentali. Intervenendo a formare diversi stati di cose, l’esperienza è, nella sua originarietà, «neutra»: non essendo unilateralmente né fisica né mentale, la sua qualificazione sarà decisa dalle relazioni che valgono per le forme mediate dei concetti come per quelle immediate delle percezioni. In uno specifico contesto, il complesso delle relazioni in gioco presenta un carattere concettuale, mentre, in un altro, è occupato dalla pura ricezione dei dati esterni: i medesimi elementi entrano in gioco, sia pure con differenti modalità, nella costituzione dei costrutti mentali e in quella della natura fisica. La coscienza presenta, allo stesso modo della realtà, una struttura relazionale temporalmente interconnessa. In entrambi i campi, il «che» (that), come fatto ultimo, entra a definire, secondo un isomorfismo di fondo, le cose allo stesso titolo della coscienza.
Questa complessa configurazione risponde a un’esigenza metafisica: è lo sbocco di un itinerario speculativo che prende avvio dall’orizzonte originario dell’esperienza, da James analizzata secondo un registro rigorosamente psicologico. Gli spunti metafisici, derivanti da questa premessa, non sono però, al fine della nostra ricerca, decisivi. Importa piuttosto rilevare il percorso che ha condotto James ad ammetterli. Assume così pieno rilievo il tentativo di trarre, da puntuali osservazioni psicologiche, principi filosofici generali che consentono di rilevare la connessione tra l’aspetto relazionale dell’esperienza, interna ed esterna, e la sua struttura temporale. In questa direzione, i Principles of Psychology contengono rilievi autenticamente filosofici che consentono di fondare una psicologia dinamica e antintellettualistica. L’indagine jamesiana non s’è però fermata a questa considerazione. Il frutto maturo delle sue implicazioni filosofiche è offerto dalle indagini di The will to believe che aprono l’indagine ai temi propriamente etico-religiosi. Il loro emergere è tracciato dalla presenza di un significato di verità, che, volgendo l’operare in vista del meglio, si sostiene sull’inesauribile fonte d’energia della vita psichica. Al suo interno, l’esercizio del pensiero trova la propria legittima motivazione. In The Varieties of Religious Experience, è presentato come un metodo d’attitudini spontaneamente attive, non restrittivamente riducibili al sapere scientifico. Garantire i risultati delle procedure scientifiche è indubbiamente un compito essenziale; ma, allo stesso titolo, sussiste la necessità di procedere oltre per poter esaurientemente soddisfare la complessità dell’esperienza che il metodo strettamente scientifico lascia ancora insoddisfatta. Questo programma è anticipato dai Principi di psicologia, in cui si sostiene, contro ogni riduzionismo, un particolare empirismo, capace di rendere conto del rapporto tra la coscienza e la realtà. Tale presupposto s’evolve, conformemente all’indicazione antintellettualistica della Volontà di credere, nella direzione di un pragmatismo religioso. Sempre in The Varieties of Religious Experience, la fedeltà all’empirismo non viene meno, perché i sentimenti religiosi entrano di diritto nell’orizzonte dell’esperienza: il metodo sperimentale, anziché contrapporsi all’inconoscibile, ne riconosce la realtà misteriosa, ma solo per trarvi nuove occasioni di ricerca. In questa traslazione, il dato originario delle indicazioni sensoriali entra a formare organizzazioni psichiche sempre più complesse. Se il fondamento fisiologico di siffatto empirismo è interamente occupato dall’attenzione all’universo sensibile, l’indagine psicologica s’amplia a comprendere l’orizzonte delle emozioni, va a dire le autentiche idee-forza della vita psichica. Nel loro ambito, trova ospitalità l’esperienza religiosa. Nel suo ambito, l’idea di Dio è la credenza primaria che organizza la vita morale, e, ancora più in generale, si propone come un persuasivo télos, che, assecondando il desiderio di una giustificata felicità, guida la vita interiore al suo adeguato compimento. Il presupposto di quest’itinerario non è da ricercarsi nella contemplazione, ma nell’azione. Solo che (questo punto è da approfondire, più di quanto James abbia fatto) l’agire non è solo positivamente un progetto volto al conseguimento di fini specifici, ma è segnato, nel suo rovescio negativo, da un ineliminabile fattore d’entropia che attesta come, in ogni produzione, sia presente un inevitabile consumo d’energia produttiva. James ha sorvolato quest’aspetto. L’ottimismo pragmatico l’ha indotto ad esaltare l’azione, per la sua capacità di mobilitare sempre nuove forze che si rinnovano e s’incrementano, a mano a mano che il fare amplia i propri obiettivi. Non s’è però soffermato a considerare gli elementi entropici che velano, con una nuance chiaroscurale, il successo degli scopi pragmatici. La sua attenzione s’è piuttosto focalizzata intorno all’attività psichica, che, traendo nutrimento dalle occasioni della realtà, cresce costantemente su se stessa. Questo processo è regolato da un sottinteso tema etico-religioso, che sfugge alla presa immediata delle procedure strettamente conoscitive. La sua legittimità è provata dalle stesse relazioni psichiche, che, nella loro libera spontaneità, non sono riducibili a rapporti logicamente trasparenti. Tutelato da questo presupposto, l’’«energetismo» pragmatico, originariamente fisiologico, addita un «inconoscibile» che sorge allusivamente dalle multiple combinazioni dell’esperienza. Da tale direzione, peraltro non logicamente enunciabile in modo ultimativo, prende avvio l’aspirazione all’infinito3.

II. La struttura temporale dell’esperienza

La coscienza è in continuo movimento. Il programma speculativo jamesiano ha posto una particolare attenzione all’inclusione delle esperienze passate in quelle presenti, che, a loro volta, hanno la funzione d’anticipare quelle future. Così scandita, la vita psichica, come in un caleidoscopio, produce trasformazioni lente o rapide. Il riferimento a un oggetto semplice e stabile provoca l’immediatezza della sensazione; diversamente, la formazione delle immagini si presenta più rallentata. Seguendo questa linea di crescente complessità, si formano le percezioni e i pensieri. In tutte queste fasi, l’«io», come risultato di tutto ciò che è «proprio», presenta una struttura variegata, di volta in volta definita dalla materialità, dalla spiritualità e dalla socialità. Si tratta di profili distinti, legati però da relazioni temporali che rendono solidale l’io attuale, immediatamente reale, a quello remoto o potenziale. Questo movimento è innescato dall’insorgenza di un interesse specifico, inizialmente sollecitato da impulsi egoistici primari che derivano dalla dimensione originaria della corporeità. Chiuso in quest’ambito ristretto, l’io «materiale» non può spiegare, di per sé solo, l’identità personale, la cui comparsa richiede un’investitura propriamente «spirituale». Con quest’intervento, alla variabilità del me corrisponde la costanza dell’io in senso stretto: la prima è rappresentata dalla decorrente individualità empirica; la seconda vale da principio delle formazioni superiori del pensiero.
Nella sua unità, il flusso della coscienza, in rapporto alla complessità della costituzione egologica, delinea una progressione: dall’«io materiale», costituito dal corpo proprio, s’approda – attraverso le attitudini mobilitate dall’«io spirituale», che è l’autentico «possessore» degli stati psichici – all’«io sociale». La costituzione temporale interna dell’«io spirituale» attribuisce ad ogni dato della coscienza l’eredità di quelli passati; simmetricamente, ogni emergere coscienziale rappresenta una novità rispetto alle condizioni anteriori. In tutte le direzioni, la corrente psichica non è composta di stati isolati: ad ogni passo, si rapporta all’orizzonte che la circonda e da cui trae costante alimento. Con codesto presupposto, ricollegandosi a Spencer, James interpreta in modo originale la reciprocità dei dati interni e di quelli esterni. Da questo punto di vista, la teoria spenceriana dell’azione-reazione con l’ambiente gli è ancora apparsa chiusa nei limiti ristretti del puro «rispecchiamento». Nella prospettiva jamesiana, invece, la mente non è puramente spettatrice, ma è in sé attiva, perché oltre ad accogliere i fenomeni dell’esperienza, interviene a modificarli con mirati interventi. Così orientata, la sfida all’ambiente si pone oltre ogni pura e semplice spectator theory. È la premessa del formarsi della conoscenza. Al suo interno, James distingue quella immediata (knowledge by acquaintance) da quella mediata o concettuale (knowledge about)4. Quest’ultima, che presiede all’organizzazione dei progetti e dei fini, caratterizza la natura simbolica del pensiero. Se però l’attività mentale è in sé spontanea, la conoscenza propriamente concettuale non è il risultato di una costruzione aprioristica, ma è caratterizzata da un ideale assetto normativo. Al riguardo, James nota come il kantismo, codificando le procedure conoscitive secondo il criterio dell’a priori, abbia sorvolato quest’aspetto. Dal riempimento di codesto vuoto, occorre trarre tutti i suggerimenti possibili (senza però cadere nelle tentazioni riduzionistiche dell’empirismo classico), per procedere a delineare la soluzione del difficile rapporto tra il piano dell’idealità, che include in sé l’intero orizzonte dei possibili, e quello della realtà, comprensivo di ciò che s’offre nella sua immediata verificabilità. Rispettando questa duplice esigenza, il pensiero segue un andamento analitico e astrattivo; ma, per dimostrarsi feconde, le sue ipotesi procedurali devono sottoporsi alla prova decisiva della testimonianza empirica. Per il filosofo pragmatista, tale condizione s’identifica col criterio dell’utilità. La sua richiesta permette di stabilire una fruttuosa relazione tra le verità ideali e le verità di fatto5. Questa complessa mobilitazione amplia la nozione stessa dell’esperienza. Tale allargamento è motivato dalla sussistenza di un campo di conoscenze virtuali che si pongono accanto a quelle attuali. In questo modo, l’apparato propriamente analitico-conoscitivo ricopre solo una parte, sia pure insostituibile, dell’esperienza, il cui orizzonte, oltre a comprendere i dati obiettivi, deve poter includere anche quelli ideali.

III. Il pensiero e le emozioni

La realtà non s’offre unicamente sotto l’esclusivo profilo della conoscenza, perché coinvolge l’incidenza delle emozioni. Appare così effettivamente sussistente anche ciò che non cade sotto l’esclusiva presa diretta delle sensazioni e della loro conseguente codificazione concettuale. In ogni atteggiamento coscienziale è riscontrabile un residuo di senso, inassimilabile al piano propriamente conoscitivo. Da quest’eccedenza deriva una varietà di temi condivisi dall’etica, dall’estetica e dalla metafisica. In tutti questi esiti, il campo della sensibilità e della sua traduzione nelle forme superiori del pensiero non esaurisce il senso complessivo della realtà. Attento all’unità della vita – di cui la certezza sensibile e la consapevolezza coscienziale occupano solo una parte, sia pure rilevante – James ha rilevato l’intima cooperazione dell’istinto e della ragione. La sua teoria delle emozioni (omologa a quella di Lange, che era giunto, in modo indipendente, ad analoghi risultati) mantiene il loro fondamento empirico. L’emozione si forma in virtù delle modificazioni fisiche, suscitate da una definita eccitazione corporea. Uno stato emozionale non è dunque, secondo un nesso rigidamente causale, il prodotto di un altro, ma è indotto da una modificazione organica. Questa teoria periferica e somatica delle emozioni si contrappone a quella centralista, che le fa dipendere esclusivamente dal sistema nervoso. La tesi ha sollevato varie obiezioni. Ai suoi contestatori, James ha risposto che, se non avvengono mutamenti fisici, non si possono produrre le corrispondenti emozioni. Vi sono indubbiamente sentimenti spirituali, ma anch’essi sono l’effetto di una reazione corporea: non sussistono emozioni incorporee. La teoria chiama in causa la relazione tra l’attività volontaria e quella involontaria. Le abitudini si formano alla loro confluenza. Muovendo da questa premessa e indicando nella volontà il principio della relazione fra la mente e le idee, che s’incarnano sempre nel concreto agire, James ha proposto una generale teoria «ideo-motoria» che si svilup...

Indice dei contenuti

  1. Il senso e il nulla
  2. Colophon
  3. Prefazione di Girolamo Cotroneo
  4. Presentazione
  5. Introduzione
  6. Parte prima Il profilo teorico
  7. Parte seconda Profilo storico
  8. Conclusioni
  9. Indice