La vita oltre l'Euro
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La vita oltre l'Euro

Esperienze e visioni di un economista pragmatico

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La vita oltre l'Euro

Esperienze e visioni di un economista pragmatico

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Perché da sette anni l'economia dell'Italia va a fondo? Perché alcuni Paesi dell'Unione Europea crescono, mentre altri sono sull'orlo del fallimento? Perché Francesi e Inglesi sono arrivati al punto di immaginare un referendum per liberarsi di quest'Europa? Sono le domande che i politici – italiani ed europei – sono stati costretti a porsi, quest'anno, subito dopo gli choccanti risultati delle elezioni europee. Molti di questi politici, soprattutto in Italia e in Francia, oggi pensano che l'Europa e l'euro debbano essere cambiati, oppure l'Unione rischia di implodere. Già cinque anni fa, però, un imprenditore aveva previsto quello che sta avvenendo oggi: Ernesto Preatoni. Le sue teorie, esposte sui principali quotidiani italiani – allora, quando la stragrande maggioranza di politici ed economisti tifavano per la moneta unica – avevano raccolto aspre critiche. Oggi le sue opinioni sulla moneta unica e sugli eurovincoli sono oggetto di valutazione tra i politici eletti a Bruxelles, oltre che tema di dibattito tra economisti e opinionisti in Italia. In una vivace conversazione con il direttore del Giorno, Giancarlo Mazzuca, Preatoni – con l'approccio dell'economista pragmatico, che sa unire la visione dell'imprenditore a quella dello studioso dei fenomeni economici – spiega perché quest'euro non può funzionare – e non ha mai funzionato – per l'Italia e per l'Europa, perché gli eurovincoli rischiano di farci affondare e perché anni fa autorevoli politici abbiano insistito per portare l'Italia in un'Unione sbagliata e oggi, anche di fronte all'evidenza – non vogliano rassegnarsi a cambiare idea. I "sacerdoti dell'euro", che allora – con una visione miope – portarono l'Italia nell'unione monetaria, oggi rischiano di trascinare l'Italia oltre il ciglio del baratro e di condannarla a un default paragonabile a quello argentino. Unica via di salvezza? Un ritorno ordinato alla lira. Perché c'è una vita fuori dall'euro (come dimostrano i Paesi europei che non hanno accettato di adottare la moneta unica) ed esiste una vita anche oltre all'euro, per chi deciderà – con coraggio – di abbandonare una valuta nata male e finita peggio

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788849843033
Argomento
Business

Come si esce dall’euro

Torniamo a soffermarci sul modo migliore per uscire dall’euro. La soluzione migliore sarebbe, ovviamente, un’uscita ordinata. Ma come la mettiamo con le istituzioni che ci sono creditrici?
Lei vuole sapere come ripagheremo il debito pubblico il giorno in cui tornassimo alla lira? Sicuramente ripagheremo i debiti in lire. E le dirò di più, a voler essere pragmatici, questa sarebbe un’ottima opportunità per l’Italia: perché, dopo aver avuto un accesso privilegiato ai mercati per più di dieci anni proprio grazie alla fiducia degli operatori, potremo svalutare, d’un sol colpo, il nostro debito, con ricadute relativamente poco scioccanti per l’economia.
Non è un po’ cinico?
Non direi. Il ragionamento cinico, scusi, è piuttosto quello della Germania che, negli ultimi anni, ha praticamente collettivizzato il default greco – per salvare le proprie banche che avevano la pancia piena di bond ellenici – facendo pagare a noi, e a tutti gli altri Stati dell’Unione già sull’orlo del collasso, il conto del salvataggio. Ora che la barca sta affondando, decidiamo di ristrutturare il nostro debito secondo le regole di mercato. Non è una furbata, si tratta di una misura necessaria e un Paese ha il potere di imporre certe decisioni.
In un suo articolo, qualche mese fa, è arrivato a sostenere che i tedeschi continuano a difendere l’unità monetaria perché hanno paura di cosa potrebbe accadere se noi o loro uscissimo dall’euro.
Sì. Ammettiamo pure che Berlino sia sempre animata da buone intenzioni e abbia l’obiettivo di tenere assieme l’Europa, tuttavia, dietro a qualsiasi comportamento dei tedeschi, c’è sempre la paura di perdere competitività di fronte a un default, nostro o loro. Come scrive Giulio Tremonti nel suo ultimo libro, già prima dell’Unione monetaria erano stati proprio gli industriali tedeschi, durante un vertice sul lago di Costanza, a imporre l’ingresso della lira nella moneta unica. Temevano la concorrenza del made in Italy, sia per l’eccellenza delle nostre produzioni, sia per la debolezza del cambio. Qualche mese fa, l’eurodeputata progressista Franziska Keller, durante la sua partecipazione alla trasmissione Ballarò, è stata ancora più esplicita: «Per la Germania sarebbe folle andar via dall’euro», ha detto. E ha aggiunto: «Lasciando l’euro creeremo solo un grande caos, una paurosa crisi economica». E sa perché? Non perché tra i partiti progressisti d’oltrebrennero ci sia maggior attenzione verso gli squilibri che la moneta unica sta provocando in Europa, ma per la semplice ragione che, secondo la Keller, se Berlino uscisse dall’euro, perderebbe tantissimi posti di lavoro, non essendo più competitivi i prodotti made in Germany.
Però, come lei stesso ammette, uscendo dall’euro, tradiremmo la fiducia dei mercati che, a questo punto, potrebbero farcela pagare cara.
È vero, ma guardi che sui mercati non esistono questioni personali, è solo un problema di pragmatismo. L’Italia aveva uno spread che sfiorava i 600 punti, oggi è sotto quota 150. Abbiamo qualche merito noi? No, nessuno. Ha avuto qualche merito Monti? Letta ha fatto qualcosa di significativo per abbassare il differenziale? Renzi ha inciso in qualche modo sullo stesso? Le rispondo per tre volte di no, non abbiamo fatto niente di veramente concreto che possa essere stato interpretato dai mercati o dagli analisti come un segnale di risanamento o di ripresa significativa dell’economia, tant’è vero che il debito pubblico è aumentato.
Cosa significa tutto ciò?
Significa che lo spread scende non perché il Paese migliora, ma perché i gestori dei portafogli dei grandi fondi internazionali tra un titolo tedesco che rende l’1% e un titolo italiano al 4%, mediamente, scelgono il titolo italiano, perché il suo rendimento giustifica le commissioni che percepiscono per gestire quel denaro. E poiché in questo momento c’è, di fatto, un eccesso di liquidità sui mercati, il gestore ha denaro che deve necessariamente investire. Quest’eccesso di liquidità continuerà a esserci, sia che l’Italia esca dall’euro, sia che resti nella moneta unica. Anzi, probabilmente in Europa, se tornassimo alla lira, l’eccesso di liquidità sarebbe ancora maggiore perché noi, a nostra volta, stamperemmo valuta.
Quindi, in ultima analisi, per noi non cambierebbe poi molto, dentro o fuori dall’euro?
Come ho detto, certamente si verificherebbe un fenomeno inflattivo, che non giudico negativo. Supponiamo di avere un’inflazione del 10%: io scommetto che ci sarebbero i mercati pronti a sottoscrivere dei bond in lire al 9% e, quindi, con un interesse negativo dell’1% quando noi, oggi, scontiamo un interesse positivo di tre punti, tre punti e mezzo.
Lei si rende conto del fatto che sta ipotizzando un’inflazione al 10%? Praticamente, vuol far pagare la crescita a chi lavora.
No, guardi, come dicevo prima, questa è una panzana che ci hanno rifilato per anni quelli che hanno una rendita da difendere. L’inflazione, oggi, sarebbe di sinistra, non certo un fenomeno dalla parte dei ricchi. Contrariamente a quello che può essere accaduto nel passato, l’inflazione oggi aiuterebbe i ceti meno abbienti.
Perché dice questo?
Perché le classi meno abbienti dovrebbero avere, innanzitutto, un lavoro, mentre adesso lo scenario occupazionale è desolante – soprattutto per i giovani – e pericolosissimo per la stabilità sociale. E ciò dovrebbe essere tenuto in massima considerazione da chi sta a Roma. Invece, quando qualcuno propone una soluzione come l’uscita dall’euro, la prima risposta che ti senti dare è che vuoi far pagare la crisi a chi ha un salario. Torno a ripetere per l’ennesima volta: prima di spostare la discussione su quel piano, iniziamo a creare lavoro, poi vedremo come salvaguardare il potere d’acquisto dei salari collegati ai posti di lavoro che avremo creato.
Insomma, il governo dovrebbe porre diversamente il problema di superare la crisi...
Se noi uscissimo dall’euro, riprenderemmo finalmente a crescere a ritmi sostenuti. È quello che è accaduto in tutti i Paesi che hanno dichiarato bancarotta. Peraltro, uscire dall’euro sarebbe un modo intelligente per ristrutturare il nostro debito. Pagheremmo i creditori in lire, stabilendo la parità tra la nuova lira e un euro. Sarebbero poi i mercati a svalutare la lira.
La svalutazione farebbe da motore per l’inflazione. Davvero non la spaventa un 10% di costo della vita?
Sono certo che l’inflazione alta comporterebbe – oltre a chiari vantaggi – anche certe difficoltà, ma, tra far morire di inedia il Paese e affrontare un fenomeno del genere, io scelgo sicuramente la seconda ipotesi. Lei, forse, ricorderà gli anni Settanta: abbiamo convissuto con un’inflazione al 20-25%, però la gente sopravviveva molto meglio di oggi. Ora non c’è inflazione, si parla addirittura di deflazione, ma la disoccupazione è a livelli elevatissimi e le tensioni sociali sono molto sentite. Ovviamente, la soluzione che propongo non è la pietra filosofale, ma una scelta tra due mali.
Il male minore, dunque. Vorrei capire: perché dice che l’allarme che ci viene lanciato sull’inflazione è una bugia sfruttata da chi ha rendite da difendere?
Perché è una verità: lo ha scritto anche Paul Krugman in un articolo apparso ad aprile 2014 sul Sole 24 Ore. Nei periodi di grande crisi – come accadde durante la crisi del ’29, ma non solo – le élite ricche, quelle che hanno vantaggi di posizione legati alle rendite, spingono (agitando il fantasma dell’inflazione) perché si porti avanti una politica monetaria restrittiva. In tal modo, si innesca una spirale deflattiva che comprime sempre di più i consumi. La soluzione sarebbe invece utilizzare la leva del costo della vita per far ripartire i consumi e gli investimenti. Oggi ci continuano a dire che la Germania difende l’euro forte perché i tedeschi hanno, nella loro memoria, il ricordo della Repubblica di Weimar. Questa spiegazione potrà anche essere vera, ma se qualcosa non cambia, noi rischiamo di dover uscire in maniera disordinata dalla moneta unica e allora vedrà che lo scenario della Repubblica di Weimar ce lo ritroveremo in casa nostra.
È consapevole del fatto che un’inflazione al 10% sarebbe un vero problema politico e sociale?
Perché non è un problema politico e sociale quello che stiamo vivendo oggi, con la gente che non ha più un posto di lavoro e che non riesce a tirare a fine mese? Con un milione di persone senza stipendio e, probabilmente, con una disoccupazione che crescerà al 20%, con punte del 50% per quella giovanile? È chiaro che sarebbe un problema anche politico, quindi bisognerà studiare adeguati ammortizzatori sociali, in modo che quelli che producono siano davvero messi nella condizione di rivalutare i propri salari in linea con l’inflazione.
Scusi, ma una misura simile non colpirebbe soprattutto i dipendenti pubblici, dato che lo Stato oggi non ha certo risorse per iniettare denaro nella Pubblica Amministrazione?
Mi serve questa domanda su un piatto d’argento: se lei va a vedere come è stata trattata la Pubblica Amministrazione negli ultimi dieci anni, scoprirà che i dipendenti pubblici sono trattati meglio di quelli delle aziende private.
In che senso meglio?
Nella P.A., storicamente, gli stipendi dei dipendenti sono stati rivalutati in misura superiore rispetto a quanto non sia accaduto a quelli privati. Ora, con maggiore inflazione, potremmo ottenere due effetti: lo Stato potrebbe sfruttare tale leva per ripianare il divario con il sistema privato, rivalutando più lentamente i salari, mentre gli imprenditori potrebbero premiare i dipendenti più meritevoli, rivedendo i loro stipendi al rialzo. Einaudi, che di economia sicuramente s’intendeva, disse che fino a quando i dipendenti pubblici avessero tirato la cinghia, non ci sarebbero stati grandi problemi sociali, né economici. Purtroppo, è avvenuto l’inverso e lui aveva perfettamente ragione.
L’inflazione come «la livella»?
Sicuramente: come le ho detto, l’inflazione oggi è un concetto di sinistra. Certo, è un meccanismo che può funzionare solo se i nostri governanti non cadono nella tentazione di una nuova scala mobile. A quel punto, la spirale dell’inflazione incontrollabile sarebbe un rischio concreto.
Come vivrebbe, appunto, oggi l’Italia se non avesse abbandonato la lira?
Come abbiamo visto, rischiamo un fenomeno fortemente inflattivo uscendo adesso dall’euro. Non credo che avremmo avuto un’inflazione molto elevata se avessimo seguito l’esempio dello “splendido isolamento” inglese, magari avremmo avuto un’inflazione al 3-4%. Uscendo oggi, inizialmente sconteremmo un’inflazione molto più alta: è come una molla che abbiamo caricato per 14 anni. Liberando il fermo, la molla scatterebbe.
Perché la Germania ha tanta paura che l’Italia paghi i propri debiti in lire?
La paura più grande dei tedeschi oggi è di restare col cerino acceso in mano sul fronte degli scambi commerciali.
Intende i crediti verso le altre Nazioni europee?
Sì, perché, vede in Europa vige un sistema – denominato Target 2 – per regolare gli scambi commerciali tra i Paesi, ovvero la bilancia commerciale. Se la Germania – come in effetti avviene – esporta in Italia più di quello che esportiamo noi verso Berlino, la bilancia commerciale italiana e, in generale, la bilancia dei pagamenti sarà fortemente deficitaria nei confronti della Germania. Stando ai trattati, entro 24 ore questo deficit dovrebbe essere saldato.
In che modo?
Tutte le transazioni, teoricamente, dovrebbero avvenire tramite le banche centrali. Quindi la Banca d’Italia dovrebbe pagare la Bundesbank. Nella realtà, la compensazione avviene tramite un sistema chiamato Target 2. Non sono riuscito a sa...

Indice dei contenuti

  1. La vita oltre l’Euro
  2. Colophon
  3. Prefazione di Paolo Savona
  4. I sintomi dell’euromorbo
  5. Il tabù dell’euro
  6. Spettri finti (l’inflazione) e mostri reali (il Pil che non cresce): i sacerdoti dell’Euro
  7. Le origini dell’euroentusiasmo (e degli eurovincoli)
  8. Una vita fuori dall’euro
  9. Come si esce dall’euro
  10. Una vita oltre l’euro
  11. L’euro: non un salvagente ma una zavorra
  12. Il futuro nella visione pragmatica del Pioniere
  13. Indice