Rivista di Politica 2/2016
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Il malessere della Francia tra politica, storia e memoria

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Il malessere della Francia tra politica, storia e memoria

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Tra riconoscimento e sorveglianza: la difficile gestione pubblica dell'Islam in Francia Philippe PortierScenari geopolitici: la debolezza dell'Europa e il disordine del mondo Giuseppe RomeoIl realismo storico di David Hume: liberale e/o conservatore? Spartaco PupoSi può ridurre l'attività politica alla difesa dei diritti umani? Una polemica filosofica Giulio De LigioIl modello semi-presidenziale francese in una prospettiva sistemica Sofia VenturaLa necessità della dimensione teologico-politica nelle democrazie liberali contemporanee Bernard BourdinIslam e democrazia: l'idea di nazione come strumento di integrazione politico-sociale per gli immigrati Pierre ManentLa popolosità delle nazioni antiche: un esercizio di "demografia storica" David Hume

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788849849370
Biblioteca di politica
diretta da Alessandro Campi
Collana Saggi Rubbettino
ARCHIVIO
DEL REALISMO
POLITICO
Il conservatorismo politico
di David Hume
Spartaco Pupo
Diversamente dalla storiografia di area anglosassone, che da tempo tende ormai a considerare David Hume come uno dei primi e più coerenti esponenti del conservatorismo politico (una sorta di Burke ante litteram), per la critica italiana una simile collocazione intellettuale e ideologica continua a risultare ostica e problematica. Si ammette, al massimo, che il suo sia stato un conservatorismo “incidentale”, se non del tutto incoerente con le premesse del suo pensiero morale e filosofico. In realtà, è sufficiente l’analisi degli scritti politici di Hume, di recente riproposti in traduzione italiana, per scoprire come le sue riflessioni sulla società e il potere fossero in effetti caratterizzate, non solo da una vena scettica di matrice storico-realista, ma anche da una visione fortemente critica nei confronti del radicalismo politico, del razionalismo filosofico e dell’idea che sia possibile costruire, a partire da una natura umana improntata all’altruismo, un ordine civile stabile e perfetto.

Le certezze storiografiche angloamericane

Che David Hume sia stato un pensatore politico dall’inequivocabile orientamento conservatore, nell’area angloamericana è, ormai da molto tempo, una certezza.
Già agli inizi dell’800, il liberalsocialista John Stuart Mill, che non a caso considerava i conservatori come degli «stupidi»1, additava Hume come «il più profondo pensatore negativo che sia mai esistito»2 e ne deprecava il romanticismo e lo scetticismo con queste parole: «Hume possiede poteri di un ordine davvero superiore, ma il riguardo per la verità non fa proprio parte del suo carattere. Egli ragiona con sorprendente acutezza, ma l’obiettivo del suo ragionamento non è quello di ottenere la verità, bensì di dimostrare che è irraggiungibile. La sua mente, inoltre, è completamente asservita a un gusto eccessivo per la letteratura, non quel genere di letteratura che insegna all’umanità di conoscere le cause della sua felicità e miseria, l’una da ricercare e l’altra da evitare, ma quella che, senza riguardo alcuno per la verità o l’utilità, cerca solo di eccitare l’emozione»3.
Ancora prima di Mill, nel periodo in cui Hume era nel pieno della notorietà, grazie all’ampia diffusione della sua Storia d’Inghilterra (1754-62), in assoluto una delle opere più lette al mondo, tra i suoi contemporanei c’era chi, come Catharine Macaulay, lo accusava di essere «più un avvocato che uno storico», e nell’epoca degli storici whigs alla Froude, Green e Gardiner, la sua opera era generalmente denigrata come «una storia vecchio stile, Tory»4. Un biografo di Hume, Ernest C. Mossner, ha scritto che «fu l’era della supremazia whig a stabilire che egli fosse per lo meno un tory, etichetta affibbiatagli ancora oggi»5. Non a caso la stessa Macaualy dichiarò di aver scritto la sua Storia d’Inghilterra (1763-1782) proprio per sovvertire l’interpretazione «antirepubblicana» che aveva dato della rivoluzione puritana Hume, il quale pure cercò inutilmente di spiegarle la netta differenza tra quelle che sono le riforme necessarie e indifferibili nei processi politici e le pretese ideologiche di trasformazione radicale del mondo: «Mi illudo – scrisse alla Macaulay – che ci differenziamo meno nei fatti che nella loro interpretazione e ricostruzione. Forse anche la sfortuna che ho di essere diverso da voi in quanto ad alcuni principi originari non aiuterà a sanare il nostro rapporto»6. La risposta della Macaulay non si fece attendere e confermò tutto il peso del pregiudizio ideologico nei confronti dello Hume tory e del suo attaccamento alla auctoritas: «Temo che la vostra posizione per cui ogni governo stabilito dalla consuetudine e dall’autorità implichi l’obbligo di sottomissione e fedeltà sia inevitabilmente un atto di accusa per tutti i riformatori, dal momento che l’opposizione all’errore deliberato è necessariamente opposizione all’autorità»7. Fu sempre la Macaulay, qualche tempo dopo, per le medesime ragioni che l’avevano spinta a controbattere all’interpretazione tory della storia di Hume, a pubblicare un opuscolo8 per difendere la Rivoluzione francese dalle pesanti critiche di Edmund Burke, l’autore delle Riflessioni sulla rivoluzione francese (1790), per cui quest’autore venne incoronato padre del conservatorismo politico.
Dalla fine dell’800 in poi, e in continuità con questo genere di giudizi, l’identificazione di Hume con il conservatorismo – inteso come conseguenza ovvia del suo scetticismo e del suo empirismo politico – divenne un fatto assodato, seppure scarsamente esplorato nelle sue concettualizzazioni e ragioni di fondo. Se, tanto per fare alcuni esempi tra quelli più illustri, per un Leslie Stephen, autorità indiscussa nella critica storico-filosofica inglese, «la traduzione dello scetticismo eretico di Hume in politica» non è stato altro che un superficiale, antistorico e «cinico conservatorismo»9, per William A. Knight, insigne accademico scozzese, Hume era un conservatore perché, al pari di tutti i conservatori moderni, «detestava i fanatici di ogni età (e ovviamente li condannava), e aveva meno simpatia per le lotte del popolo, una volta conseguita la libertà costituzionale, che per la fedele obbedienza al potere esistente»10.
Nel ’900, fu l’americano George H. Sabine, nel tentativo di assegnare a Hume una collocazione precisa nella storia delle dottrine politiche, ad accostarlo per la prima volta a Edmund Burke e a elevarlo a primo, vero oppositore del razionalismo politico del diciottesimo del secolo. Burke, secondo Sabine, non fece altro che raccogliere in eredità, per lasciarla a sua volta ai posteri conservatori, «la reazione che ha fatto seguito alla distruzione, da parte di Hume, delle verità eterne della ragione e della legge naturale. Il sentimento, la tradizione e l’idealizzazione della storia intervennero per colmare il vuoto lasciato dalla soppressione dei diritti»11.
La tesi di Hume come precursore di Burke trovò una discreta fortuna nella storiografia politica angloamericana. Harvey C. Mansfield, professore di teoria politica alla Harvard University, affermò che a legare sensibilmente Burke a Hume era soprattutto la «teoria della prescrizione», con cui entrambi hanno affrontato il problema della fondazione del governo e della funzione «della storia come indagine sulle origini o sul funzionamento dei princìpi originari». Il governo senza fondazione razionale teorizzato da Burke è, per Mansfield, «compatibile soltanto con storie come la Storia d’Inghilterra di Hume, il cui scopo è esattamente quello di mostrare le schizofrenie di una tale indagine»12.
La linea interpretativa tracciata da Mansfield ha trovato proseliti fino a tempi relativamente recenti. Burleigh T. Wilkins, dell’Università della California, esperto del pensiero politico di Burke, ha osservato che, sebbene Hume sia un epicureo e Burke uno stoico, il primo «aiuta a illuminare il lato scettico» del secondo che, insieme a quello della «certezza», costituiscono i «due poli di pensiero» sempre presenti nel conservatorismo13. Paul Lucas, della Washington University, dopo aver smentito la distinzione tra «diritto naturale» e «legge naturale», per cui alcuni autori vengono spesso associati a Burke, rileva che l’origine storica della reazione di quest’ultimo al razionalismo filosofico e politico del suo tempo, che porta avanti in nome della triade storia-cambiamento-prescrizione, è da ricercare nella tradizione britannica della filosofia empirista, di cui Hume è l’esponente più illustre14. E se il filosofo inglese Antony Flew non può fare a meno di ammette che Hume è «il progenitore della moderna tradizione intellettuale conservatrice»15, l’omologo canadese Neil McArthur, lo vede come interprete di un «conservatorismo precauzionale»16, le cui espressioni sarebbero «determinate dalle preoccupazioni prudenziali circa le conseguenze dei cambiamenti che spesso ci portano ad ignorare i nostri princìpi rispetto a ciò che è ideale o addirittura legittimo»17. Jeffrey Hart, firma autorevole della «National Review», rivista americana di orientamento conservatore18, scrive che «Hume appartiene a una tradizione conservatrice che non può dirsi meramente compatibile con lo scetticismo, ma che è scettica alla radice, è conservatrice proprio perché scettica. Hume era troppo scettico perché possa considerarsi uno di quei philosophes radicali e devoti al millenarismo materialista. Hume, come pensatore politico, tra gli scrittori precedenti ha affinità con Montaigne e con Dryden (benché fossero dei cristiani)»19.
Valorizzando gli aspetti salienti della dottrina politica di Hume come possibile fonte di ispirazioni per alcuni importanti filoni di pensiero politico della modernità, alcuni autorevoli studiosi americani hanno condotto analisi approfondite sul presunto conservatorismo di Hume, giungendo a un risultato sorprendente: tutte le opere del filosofo scozzese denotano la sua innegabile inclinazione conservatrice.
La prima, seria indagine sui fondamenti teorici del conservatorismo politico di Hume è stata condotta da Donald W. Livingston, della Emory University20. Considerando del tutto inattendibili le interpretazioni circa il presunto liberalismo o l’utilitarismo o il positivismo che, a seconda delle diverse angolazioni critiche, emergerebbero dalle opere di Hume, Livingston rileva che in realtà il pensatore scozzese si distingue nel panorama politico contemporaneo come figura cardine del movimento intellettuale conservatore. Se per i suoi più influenti esponenti il conservatorismo è essenzialmente una «critica» all’«ideologia politica» e al «razionalismo politico», mossa da una incondizionata fiducia in una «società politica normale, sana, fondata sul godimento di tradizioni e pratiche ereditate» e da una visione della politica come «arte» della «preservazione» dell’ordine necessario, allora Hume non solo è a tutti gli effetti un conservatore, ma, avendo inaugurato un metodo affidabile per il superamento delle ideologie che già ai suoi tempi si apprestavano a rivoluzionare le abitudini degli uomini, è anche l’iniziatore del «conservatorismo laico moderno». Se i...

Indice dei contenuti

  1. Rivista di Politica Gennaio-Marzo 2016
  2. Colophon
  3. Indice
  4. Numero 2 Aprile-Giugno 2016
  5. Archivio del realismo politico
  6. C’era una volta la francia: la paura, la speranza
  7. Politica e verità: ragioni e azioni comuni
  8. Notizie sugli Autori
  9. Abstracts