I
Storia del concetto di politica: dall’antichità a Machiavelli
1.
Agli albori della riflessione politica
1. Mondo Egizio
Nel mondo orientale non si può parlare di una riflessione politica a prescindere da uno stretto legame con la religione1: «Uno dei tratti più caratteristici di tutte le grandi civiltà dell’antico vicino Oriente è certamente la mancanza di una netta separazione tra la sfera “sacra” e quella “profana”, tra la sfera “divina” e quella “umana”»2.
I testi che ci sono stati tramandati attestano l’origine divina della monarchia (Dio ha creato l’uomo «sovrano dell’uovo», come testimonia un papiro3) e segnano la continuità della stirpe. Si diventa re grazie all’incoronazione, la quale assume una funzione decisiva nel coniugare il divino e l’umano. Solo il re infatti può intrattenere rapporti con gli dèi4.
Gli antichi Egizi lasciano ai figli precetti sull’arte di governare saggiamente. Basti citare quelli attribuiti al re Khety VII della X Dinastia (2160-2040 a.C.5) per il figlio Merikara, una sorta di manuale per la gestione della difficile arte di governo. Si legge ad esempio:
e ancora:
Decisamente pessimisti i precetti attribuiti al faraone Amenemhat I (...-1964 a.C. XII dinastia7): L’insegnamento di Amenemhat per il figlio Sesostri I. Si suggeriscono comportamenti pratici del tipo: «Diffida dei tuoi sottoposti, non avere fiducia in un fratello, non conoscere un amico, non crearti degli intimi […] l’uomo non ha amici nel giorno della disgrazia»8. In effetti Sesostri I viene a sapere della congiura contro il padre a regicidio avvenuto, il che fa pensare che questi insegnamenti siano da attribuire a qualche grande funzionario, se non a Sesostri stesso, che ricorda la grandezza del padre Amenemhat e diffida dei sudditi, tutti potenziali traditori, come la sua amara esperienza conferma9.
2. Cina Antica
L’indicazione di norme di comportamento di taglio più morale e religioso che politico, proviene dalla Cina antica10.
2.1 LaoZi: il non agire
Nel periodo Zhou, il pensiero filosofico risale a Lao Zi (604-529 a.C.)11. A Lao Zi la tradizione attribuisce “il non agire (wuwei)”, non far nulla contro i soprusi subiti, i massacri, le tirannidi, con la motivazione che «in natura come nel mondo umano, il male si ritorce sempre sulla fonte che lo ha commesso»12. Una vittoria sapiente scaturisce dalla capacità di non agire e non reagire, interrompendo la spirale della violenza. Lao Zi viene considerato anche il padre del Taoismo, che predica la rinuncia al mondo e il ritorno alla semplicità e all’ordine naturale delle cose13.
2.2 Confucio. Politica e morale
La domanda di fondo da cui parte Confucio (551-479 a.C.) e a cui egli stesso e i successivi filosofi cercano di rispondere è: «Qual è, in origine, la natura dell’uomo? È buona o cattiva, eccellente o detestabile?»14. Tenendo presente sia l’accentuazione individualistica cinese sia l’animismo che la connota, si comprende come il problema politico rientri in quello morale: «L’unico problema è quello della bontà o meno dei governanti». Il Confucianesimo ha una connotazione marcatamente politica nell’enunciare i principi atti a ristabilire l’ordine rispetto alla frammentazione della società15. «Come Socrate – scrive E. Opocher – Confucio arrivò a porre in rilievo, anzi al centro della problematica morale e politica, due principi fondamentali: il principio della razionalità, cioè il metodo razionale per cui i problemi vanno affrontati non in base alla tradizione o all’autorità, ma in base alla ragione; e il primato di quello che oggi si direbbe il “dover essere”, cioè il primato della coscienza morale»16. Confucio stimolò i cinesi a capire la ragione delle leggi politiche, economiche e morali, svegliandoli dal sonno del conformismo e del formalismo, che caratterizzavano la cultura e la tradizione precedenti. Per questo si suole avvicinare Confucio e Socrate, cultura orientale e cultura occidentale. Altro principio messo in evidenza da Confucio è il “giusto mezzo” (che sarà di Aristotele): è bene per l’uomo politico evitare le posizioni estreme17.
I discepoli di Confucio hanno accentuato due atteggiamenti circa la supposta malvagità o bontà umana: “pessimistico” e “ottimistico”, favorendo così la nascita di due scuole che si possono paragonare a quelle greche dei cirenaici e dei cinici, anche se con un impianto concettuale meno ricco. Giustificare la malvagità di un governante perché la sua natura è malvagia, oppure affermare che l’uomo non deve fare alcuna fatica per seguire la via del giusto mezzo, se da una parte può risultare ingenuo, è anche il primo abbozzo del fondamentale problema politico: la giustificazione del potere.
Il confucianesimo politico da qualche anno ha registrato un risveglio in Cina. Come scriveva nel 2009 il professor Wang Rui-Chang dell’Università Centrale di Economia e Commercio: «Il Confucianesimo Politico è una nuova scuola di pensiero che si occupa di riforme politiche e sociali nella Cina continentale. Esso si pone come una sfida al movimento democratico attualmente prevalente, sia all’interno che all’esterno della Cina, che propone un governo legittimato unicamente dal voto popolare. Al contrario, il Confucianesimo Politico fa appello alla saggezza della “centralità e armonia” della tradizione confuciana e in particolare della Scuola Gongyang, che fiorì in Cina sotto le dinastie Han e Qing. Esso mira a rivitalizzare il Confucianesimo e a ristabilire la politica della Via Regale nel moderno contesto globale»18. Parecchi scrittori e blogger leggono tale risveglio in un’ottica “machiavellica”: si tratterebbe di una tattica adottata dal Partito Comunista al potere per risolvere i problemi sociali, mantenendo al contempo il controllo politico19.
2.3 Mencio: il potere da Dio attraverso il popolo
Un discepolo di Confucio, Mencio (390-305 a.C.), ha sviluppato in senso politico le dottrine morali di Confucio, cercando di cogliere, al di là dell’accentuazione pessimistica o ottimistica, il nucleo dell’insegnamento del maestro. A suo avviso«il potere è attribuito agli uomini per volontà divina»20, che si manifesta attraverso la voce del popolo: «La maggioranza esprime attraverso la sua volontà anche la volontà divina e il principe deve conformarsi alla volontà della maggioranza se vuole conformarsi a quella degli dèi»21. Come ciascun uomo può essere buono o cattivo, a seconda che segua o meno il suo «dover essere morale», così pure i governanti possono governare bene o male in relazione alle loro qualità morali e alla capacità di seguire la volontà popolare. Il popolo può opporsi ad un sovrano che governa male? Un aneddoto indica che per Mencio un principe malvagio va considerato un privato cittadino e in quanto tale eliminato come un qualsiasi uomo dalla condotta perversa22. Conferma Fitzgerald che se un principe non possiede le virtú della giustizia, della carità e della sincerità, significa che è stato privato del mandato celeste e pertanto la ribellione non è da considerare un crimine23.
Altri princìpi su cui insiste Mencio sono quelli della vita privata e della proprietà, che il principe deve rispettare senza far pesare la sua ingerenza. I caratteri fondamentali della riflessione politica cinese antica portano a identificare il problema politico con quello morale, non senza una sorprendente affinità di alcune tesi con quelle tipicamente occidentali, come la sovranità popolare e il tirannicidio24.
3. Il pensiero indiano
Il pensiero indiano antico ha formulato un concetto teocratico della politica, collegabile all’immanentismo religioso che domina la dottrina del brahamanesimo25. Essendo Brahama lo spirito che pervade il mondo e in esso rimane, gli uomini sono più o meno perfetti a seconda della loro partecipazione a tale spirito26. La stessa divisione in caste vi trova giustificazione: la classe dei brahamini, secondo la leggenda, è uscita dalla testa di Brahama ed è destinata al comando, la classe dei guerrieri è uscita dal braccio, la classe degli artigiani e dei lavoratori dalla coscia, la classe dei paria dai piedi. Tale organicismo politico fa il parallelo con la concezione organica di Platone.
3.1 Buddha: la rivoluzione morale
Vissuto nell’India nord-orientale nel V secolo a. C. (all’incirca contemporaneo di Socrate) Buddha punta pure sulla rivoluzione morale. Nel confronto con Brahama E. Gombrich nota: «Il loro stile e il contesto in cui agirono sono molto diversi, ma entrambi si possono considerare fondatori – lo affermo con assoluta certezza – delle due più grandi tradizioni filosofiche del mondo. Ciò che mi preme dimostrare è che il Buddha fu il primo pensatore indiano pienamente padrone del pensiero concettuale astratto, una conquista precoce e irreversibile»27. La rivoluzione morale di Buddha non comporta una significativa novità sul piano politico, ma svilisce la rigida divisione tra le caste affermando l’eguaglianza morale di tutti gli uomini:
3.2 Cānakya (o Kautilya): l’arte di dirigere
Un prima formulazione del concetto di politica si trova negli scritti di Cānakya, discepolo di Braham...