Rivista di Politica 4/2016
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Il potere appartiene al popolo? Governo rappresentativo vs democrazia diretta

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Il potere appartiene al popolo? Governo rappresentativo vs democrazia diretta

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IndiceI due corpi del popolo: potere costituente e democrazia - Pasquale PasquinoEtologia e scienze umane: per un'antropologia del "politico" - Damiano PalanoIl governo rappresentativo e la sfida del populismo democratico - Bernard ManinDopo Obama: le nuove sfide della presidenza americana - Alia K. NardiniIl contributo di Aaron Wildavsky alla scienza politica contemporanea - Davide Gianluca BianchiL'Italia spaccata dal referendum: cosa cambia dopo il voto del 4 dicembre? - Luigi Di GregorioDire la verità al potere: l'analisi delle Politiche pubbliche e la qualità della democrazia - Aaron Wildavsky

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788849850673
DOSSIER: IL POTERE
APPARTIENE AL
POPOLO?
Il potere del popolo: governo
rappresentativo vs democrazia
diretta?
Federico Brandmayr
Rui Pereira
Lucia Rubinelli
Benché le definizioni del concetto di democrazia siano molteplici e spesso divergenti, esse condividono l’idea secondo cui il potere politico appartiene al popolo. Tuttavia, già a partire dalle rivoluzioni francese e americana questo principio politico è stato oggetto di dibattito e contesa. In primo luogo, la definizione e l’identificazione del soggetto del potere, il popolo, è fin da subito apparsa problematica. Basti pensare all’acceso dibattito che nei primi anni della rivoluzione francese oppose i sostenitori dell’idea di sovranità nazionale ai teorici della sovranità popolare. Se i primi sostenevano che il soggetto del potere dovesse essere la nazione, la cui volontà era espressa tramite l’elezione di rappresentanti in parlamento e tramite il re, i secondi proponevano un’interpretazione più partecipativa del principio del potere popolare e riconoscevano nell’insieme dei cittadini, organizzati in assemblee distrettuali, l’unico detentore legittimo del potere politico. Simili problematiche si ritrovano oggi negli stati democratici occidentali. Non solo gli imponenti flussi migratori mettono in discussione il concetto stesso di cittadinanza, ma la globalizzazione e l’alto livello di interconnessione tra stati sembrano suggerire l’esistenza di comunità dotate di potere decisionale al di là e al di sopra della nazione e del popolo territorialmente definito.
In secondo luogo, l’idea astratta del potere del popolo solleva non poche difficoltà quando si tratta di capire i tipi, modi e tempi dell’esercizio del potere popolare. Come per il caso precedente, la questione è stata dibattuta in numerose occasioni, e regolarmente torna ad essere oggetto di contesa durante i processi di scrittura costituzionale. Sebbene la maggior parte delle costituzioni occidentali enunci, tra i primi articoli, il principio del potere del popolo, i regimi che noi chiamiamo democrazie accordano spesso un ruolo se non marginale, per lo meno indiretto ai cittadini. Già nel 1789 l’abate Sieyès derivò dall’assunto sociologico della divisione del lavoro il principio secondo il quale il potere del popolo si riduceva, per mancanza di educazione, tempo e conoscenze, al semplice processo elettorale. Questo ragionamento invitava a favorire un sistema di rappresentanza politica e a concepire l’esercizio del potere da parte del popolo non già come partecipazione diretta alle decisioni pubbliche bensì come valutazione e giudizio dell’operato dei rappresentanti. Successivamente, il potere popolare fu nuovamente ridefinito all’interno dei limiti dettati da costituzioni rigide tramite le quali, dalla seconda guerra mondiale in poi, vennero introdotte corti costituzionali non elette e pertanto non direttamente responsabili davanti alla volontà popolare. Oggigiorno, la diffusione delle tecnologie informatiche e dei media sembra suggerire un’ulteriore messa in discussione della forma e dei modi di esercizio del potere del popolo: se la partecipazione alle decisioni politiche aveva tradizionalmente costi elevati in termini di tempo speso ad informarsi e a partecipare, l’avvento delle nuove tecnologie informatiche contribuisce a ridurre questi costi e le barriere che ne derivano.
Infine, un terzo elemento che caratterizza il principio del potere popolare è il continuo processo di ridefinizione dell’equilibrio che, di volta in volta, si viene a creare tra la definizione del soggetto del potere, il popolo, e l’oggetto, il potere stesso. Nel corso degli ultimi due secoli e mezzo di politica democratica, varie sono state le strutture istituzionali attraverso cui il popolo è stato definito e il suo potere esercitato. Prese caso per caso, esse rappresentano il temporaneo equilibrio che, in un dato momento storico, è venuto a stabilirsi tra diverse e spesso opposte concezioni del potere del popolo. Come appena accennato, questi equilibri sono però precari, storicamente determinati e soggetti ad un continuo processo di ridefinizione. Riflettendo sul modo in cui queste diverse interpretazioni del principio del potere popolare sono teorizzate, applicate e concretizzate in strutture istituzionali, questa sezione della «Rivista di Politica» vorrebbe mettere in luce gli elementi alla base di questo equilibrio negli stati democratici contemporanei. Ponendo una domanda di ricerca ampia, questa sezione si limiterà a delineare alcune possibili risposte e percorsi di ricerca. Nel fare ciò, si propone di attirare l’attenzione su un’idea – il potere del popolo – che trova un consenso quasi universale quando enunciata come principio politico, ma che si scopre essere radicalmente polisemica, ambigua e contraddittoria quando esaminata analiticamente.
Partendo da prospettive e casi diversi, gli articoli presentati in questa sezione hanno l’obiettivo di analizzare vari meccanismi di realizzazione del potere popolare e, nel farlo, discutono come essi si relazionino ad uno o più modi di pensare il potere del popolo. I saggi di Pasquino, Müller e l’intervista a Manin affrontano in modo diretto la questione del soggetto del potere popolare.
Rifacendosi agli scritti di Sieyès, Pasquino suggerisce di pensare il detentore del potere come se avesse, alla Kantorowicz, un doppio corpo: da un lato il popolo è un corpo elettorale che agisce nella normalità della vita istituzionale democratica, dall’altro esso è il detentore assente del potere, che non può quindi essere incarnato da alcun organo statale. Il popolo diviene così, negli stati costituzionali, un principio di limitazione del potere: degli eletti, in quanto può revocare loro il mandato, e degli organi statali, che non possono incarnarlo mai completamente.
Il popolo nella sua dimensione elettorale è anche l’oggetto dell’intervento di Manin, che sottolinea i criteri che regolano la relazione tra quest’ultimo e i rappresentanti politici. I rappresentanti, sostiene Manin, non sono da pensarsi come un popolo alternativo a quello elettorale, una classe politica separata dalla base e usurpatrice del suo potere. Al contrario, essi sono portavoce di cause politiche generali e permettono agli elettori di pensare in termini di interessi collettivi e non solo di interessi individuali. Al tempo stesso, secondo Manin, i rappresentanti non sono e non devono essere lo specchio diretto della società: da qui il suo atteggiamento critico verso il sistema delle quote elettorali.
Müller, invece, pone il problema di quali siano le caratteristiche normative alla base della selezione e definizione della nozione di popolo negli stati democratici. Nell’affrontare questo tema, egli esamina criticamente il pensiero di John Rawls: se per quest’ultimo il popolo coincide con l’individuo liberale e secolare capace di agire indipendentemente dalle proprie credenze, Müller indica i meriti di una visione più olistica del soggetto popolare, che includa le credenze religiose degli individui e dei gruppi che lo compongono.
In secondo luogo, gli articoli presentati in questa sezione affrontano tutti, da punti di vista differenti, vari meccanismi di espressione del potere del popolo. Manin propone una riflessione sul valore della rappresentanza, in cui sostiene che il governo rappresentativo sia un modo di realizzare il potere del popolo preferibile alla democrazia diretta. Questo, afferma lo studioso francese, non si giustifica solo in relazione all’impossibilità materiale di riunire i cittadini in assemblee deliberative, ma anche e soprattutto in base ai valori caratterizzanti il governo rappresentativo. Esso infatti rispetterebbe meglio il principio dell’eguale potere politico del popolo. In modo simile, Pasquino affronta il tema dell’esercizio del potere popolare nei processi costituzionali: che cosa implica concretamente l’espressione ‘potere costituente del popolo’? Essa significa, afferma Pasquino, che il popolo autorizza la costituzione ma non è direttamente coinvolto nella sua scrittura, ossia non ne è l’artefice effettivo. Il lavoro di redazione costituente è quindi frutto del potere popolare solo in chiave indiretta e mediata.
A questo dibattito si collega l’intervento di Caitucoli, che analizza, per la prima volta dalla loro apertura, gli archivi del Conseil Constitutionnel francese e ricostruisce come i membri di questo organo creato nel 1958 abbiano interpretato il loro ruolo e la loro legittimità alla luce del principio del potere del popolo.
Da ultimo, il saggio di Blanc ricostruisce come i costituenti americani e francesi del diciottesimo secolo abbiano pensato di rendere esercitabile il potere del popolo in caso di guerra. Nonostante le situazioni di pericolo per la comunità statale richiedano l’intervento del governo, i costituenti francesi e americani decisero di dare all’assemblea legislativa un importante potere di controllo sull’uso della forza militare.
La presente raccolta di articoli si pone inoltre un ultimo obiettivo: quello di riflettere sull’equilibrio raggiunto, nelle democrazie contemporanee, tra differenti interpretazioni del popolo come soggetto del potere e i meccanismi istituzionali in cui questo è realizzato. Manin affronta quindi il complesso tema delle rivendicazioni avanzate dalla società civile per garantire una più ampia partecipazione popolare all’esercizio del potere. Le quote, i referendum e i forum deliberativi, sostiene Manin, sono sicuramente interessanti strumenti di partecipazione ma non devono e non possono sostituirsi alla rappresentanza politica. Solo all’interno delle logiche rappresentative si trova secondo Manin il giusto equilibrio tra il principio del potere del popolo e la sua realizzazione. Pasquino, d’altro canto, sostiene che la relazione tra potere del popolo e il suo esercizio si regga ancora su un modello di equilibrio hobbesiano, intendendo con questa espressione l’idea secondo cui il popolo esercita il suo potere autorizzando un sovrano, in questo caso il parlamento, e controllando periodicamente il suo operato. Questa sembra essere anche la logica alla base della decisione di situare i poteri di guerra nel parlamento che, secondo Blanc, offre ai membri dell’Assemblea un modo per controllare l’esercizio dei poteri di guerra. Diversa sembra invece essere la logica alla base dell’operato delle corti costituzionali. Questa, nell’interpretazione di Caitucoli del caso francese, sembra essere intrappolata tra due istanze di espressione e legittimazione del potere popolare: da un lato la costituzione, dall’altro le decisioni, spesso contrastanti tra loro e con la costituzione, del parlamento e del governo. Infine, Müller propone una critica dell’equilibrio attuale tra potere del popolo e suo esercizio: non solo la definizione del popolo è esclusiva di aspetti fondamentali della vita dei cittadini, ma anche l’esercizio del potere è limitato dalle conseguenze di questa esclusività.
* Si ringraziano per la collaborazione alla realizzazione del dossier Serena Rubinelli, Beatrice Brandmayr e Monica Esposito.
DOSSIER: IL POTERE
APPARTIENE AL
POPOLO?
Costituzione e potere costituente: i due corpi del popolo
Pasquale Pasquino1
Esiste una cultura della “vergogna del potere” che storicamente deve essere considerata il punto di partenza di tutte quelle dottrine che dall’antichità ad oggi hanno cercato di offrire una giustificazione teorica (ovvero un fondamento di legittimità) a coloro (il sovrano assoluto, i pochi) che esercitano il potere e il governo. Ciò vale per il passato, quando l’assolutismo regio veniva giustificato attraverso il richiamo alla volontà onnipotente di Dio, ma anche per l’età contemporanea, come dimostrano le evoluzioni del costituzionalismo e le diverse elaborazioni dottrinarie sul potere costituente del popolo: anch’esse una forma di giustificazione di quello che definiamo il governo rappresentativo basato sulla delega o sul mandato popolare.

La cultura politica della vergogna

Nella cultura politica classica (in Grecia – sulla quale Sieyès ha riflettuto a lungo – e in parte anche a Roma, durante la Repubblica), l’esercizio dell’autorità politica aveva la sua giustificazione e, come si dirà in seguito, la sua legittimità grazie agli attori che esercitavano direttamente il potere: i cittadini, cioè i membri, riconosciuti come tali, della comunità politica (la polis o la respublica). In particolare: la maggioranza dei cittadini (il demos, cioè le classi medio-basse), nel caso della demokratia ateniese, o un numero più ristretto degli stessi, in grado di escludere i poveri dal governo della città (come nelle oligarchie2), o ancora quelli che si assumeva fossero dotati di qualità naturali superiori, come la capacità di governare in funzione non dell’interesse personale ma di quello comune (così nel caso dei regimi detti aristocratici3).
È soprattutto a partire dal Medioevo4 che il re, titolare del potere politico, cominciò a sostenere che la sua autorità politica non derivasse da sé stesso, ma trovava la sua origine o il suo fondamento al di fuori della sua persona, in un altrove: quello della volontà onnipotente di Dio. Appare qui, a differenza che nell’antichità classica, e per utilizzare un’espressione del grande antichista Eric Dodds, quella che potremmo definire come una cultura della vergogna5, una cultura nella quale l’esercizio del potere sugli altri (i sudditi o i cittadini) è in certo senso fonte di vergogna e richiede di essere giustificato facendo ricorso ad ...

Indice dei contenuti

  1. Rivista di Politica Ottobre-Dicembre 2016
  2. Colophon
  3. Indice
  4. Numero 4 Ottobre-Dicembre 2016
  5. Dossier: il potere appartiene al popolo?
  6. Archivio del realismo politico
  7. Politiche pubbliche, potere e democrazia: il contributo di aaron wildavsky
  8. Notizie sugli autori
  9. Abstracts