Discriminazioni in una regione del Mezzogiorno
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I risultati di una ricerca in Calabria

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Informazioni sul libro

I contributi raccolti in questo volume si fondano su prospettive e metodi di analisi diversi, offrendo uno sguardo d'insieme sul fenomeno della discriminazione in Calabria. Il percorso di ricerca si è concentrato su due assi: la percezione dei calabresi sull'esistenza di fenomeni discriminatori e le forme che questi assumono rispetto a comunicazione, sanità, religione, scuola e lavoro. Il primo filone di analisi è stato approfondito attraverso una rilevazione campionaria del Laboratorio CATI del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Unical. Il secondo ha utilizzato strumenti qualitativi, interviste in profondità e focus group. Il volume, dunque, consente di cogliere, da un lato, le vischiosità culturali e istituzionali su cui si fonda e si trasmette il pregiudizio, dall'altro, le esperienze impegnate al superamento della discriminazione e della disuguaglianza. Per questo, esso offre elementi conoscitivi e analitici d'interesse e utilità per studiosi, educatori, professionisti del sociale e tutti coloro che agiscono contro le discriminazioni.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788849853094
Categoria
Sociologie

Walter Greco

I risultati di una ricerca quantitativa su forme di pregiudizio e di discriminazioni in Calabria

Introduzione

Nell’affrontare una rilevazione campionaria che abbia al centro gli atteggiamenti verso le forme di discriminazione o, in altri termini, di pregiudizio, richiede una particolare attenzione. Se da un lato occorre molto tatto nell’approcciare simili tematiche, dall’altro bisogna che, durante ciascuna intervista, l’interazione deve evitare il ricorso a forme di elusioni nelle risposte o di ricorsi, più o meno espliciti, a situazioni di plausibile desiderabilità sociale.
Avendo chiaro in mente sia le finalità che la complessità dell’indagine Promozione e sviluppo della Rete regionale antidiscriminazioni, partners UNAR, Regione Calabria e DISPeS, sin dalla progettazione del questionario si è posta una particolare attenzione verso queste esigenze.
Confrontandoci con la letteratura e con indagini simili, tra cui una recente Istat, abbiamo costruito un questionario telefonico che risultasse agile ma non banale, che procedesse sempre da dimensioni generali e «asettiche» verso situazioni più coinvolgenti e, per certi versi, problematici nella loro gestibilità all’interno di una interazione indiretta come è quella mediata dal telefono.
Ciò ha portato all’estrazione di un campione probabilistico rappresentativo della popolazione calabrese con più di 18 anni stratificato per Provincia di residenza, Sesso, Fasce di età. Lo stesso, a conclusione della rilevazione, è stato riponderato per titolo di studio. Così facendo, è stato possibile ottenere una base di partenza decisamente fedele della distribuzione della popolazione calabrese.
La fase di rilevazione si è protratta per 6 giorni, dal 7 al 12 settembre 2015, rendendo possibile la realizzazione di 728 interviste; le stesse sono state realizzate in una fascia oraria che andava dalle ore 15 alle ore 21 (per cercare di coprire la porzione di popolazione più ampia possibile) da 11 postazioni del Laboratorio CATI «G. Colasanti» del Dipartimento di Scienze politiche e sociali, dell’Università della Calabria. Come risultato abbiamo ottenuto, a un livello di confidenza 95%, un margine di errore stimato ±3%, del tutto in linea con gli standard statistici di scientificità per questo tipo di rilevazioni.
Figura 1 - La composizione del campione
Figura 1 - La composizione del campione
Le interviste hanno rispettato l’esatta composizione della popolazione all’interno del contesto regionale.
È ovvio che andare a sondare con uno strumento particolare quale è un questionario telefonico, come accennavamo prima, impone una attenzione particolare. In effetti, per taluni temi, non si può irrompere nella quotidianità di un determinato soggetto e porgli, in maniera brutale, di esplicitare il suo parere circa il proprio atteggiamento verso determinati gruppi etnici. In casi delicati come quello oggetto della rilevazione, la costruzione stessa del questionario ha previsto accorgimenti volti alla creazione di una interazione che fosse decisamente empatica tra l’intervistato e l’intervistatrice.

La percezione della realtà

Le domande, all’interno del questionario, sono state poste in maniera tale da creare un continuo rimando, da temi più generali e neutri, ad altri più vicini e coinvolgenti. Il sottile gioco di rimando ha permesso da un lato un abbassamento delle difese che, in maniera del tutto naturale, una persona innalza quando sente minacciata la propria sfera privata e ha reso davvero minimi i rifiuti a intervista già iniziata, contenendoli all’interno di poche punti decimali sul totale.
Figura 2 - La percezione di ciò che si dice (è vero che…)
Figura 2 - La percezione di ciò che si dice (è vero che…)
La prima batteria di domande era, appunto, piuttosto neutra, e si riferiva alla percezione che l’intervistato potesse avere circa alcune situazioni che si presentano all’esterno. Attorno a una serie di items, l’intervistato doveva riflettere se quell’asserzione fosse più meno vera, più o meno diffusa nella società, a prescindere dal proprio livello di condivisione. Come si vede, il livello di coinvolgimento in questa batteria di domande è decisamente basso.
Come si può osservare, il livello di discriminazione registrato all’interno di enunciati così neutrali, non è particolarmente elevato; il modello che viene fuori sembra essere, sostanzialmente, tale per cui i calabresi si descrivono come brava gente. Certo, i lavoratori immigrati è vero che finiscono per essere trattati un po’ peggio e, magari, c’è una qualche difficoltà ad essere assunti (o a trovare un lavoro) ma, tutto sommato un alloggio lo si trova e i loro figli non subiscono discriminazioni. Bisogna tenere anche conto del fatto che le domande sottendevano la considerazione per cui, in esame fossero comunque immigrati già presenti in Calabria e, per certi versi, già posizionabili all’interno di concreti percorsi di integrazione, abitativi, lavorativi e scolastici.
Gli immigrati, a cui si faceva riferimento in questa prima batteria di domande, non sono strettamente coincidenti con l’immagine stereotipata di clandestino sconosciuto appena sbarcato da un gommone. Appunto per questo motivo, la rappresentazione di accettazione che emerge da situazioni percepibili come già inserite all’interno di un processo di integrazione, sembra dimostrare come, per certi versi, la conoscenza abbassi quella forma di diffidenza che ingenera paura e che si colloca, come aspetto oscuro, all’interno della popolazione. I lavoratori, appaiono essere solo lontanamente di origine straniera, così come i ragazzi che frequentano le scuole.
Continuando sulla stessa traiettoria espositiva, ossia cercando un coinvolgimento sempre maggiore, abbiamo sottoposto all’opinione degli intervistati, una serie di items che ripropongono i più comuni stereotipi sul fenomeno delle migrazioni o, più in generale, sulla presenza di gruppi etnici, percepiti come stranieri, all’interno della società.
Figura 3 - Le opinioni sugli stereotipi
Figura 3 - Le opinioni sugli stereotipi
Le domande tendevano a filtrare quanto del discorso stereotipato offerto dai media rimaneva nelle opinioni dei cittadini calabresi. Le risposte sono riportate nel grafico in figura 3 dimostrano come l’attenzione allo stereotipo è maggiormente presente quando esso passa dal descrivere una situazione di lontananza e diventa più prossimo alle esperienze personali. Il senso delle opinioni, in qualche modo, restituisce un’idea per cui esiste una presenza «straniera» ma essa non viene percepita come problematica se, e nella misura in cui, riesce a stare a una certa distanza; nella lontananza, per così dire, si dissolvono i fantasmi e le paure che stanno appunto alla base del discorso stereotipato. Nelle domande riproposte in figura 3, chiedevamo il grado di accordo/disaccordo con determinate enunciati. Si vede immediatamente che l’idea che «l’Italia debba essere degli italiani» è largamente minoritaria. È chiaro che esiste, ed è diffuso, un sentimento per certi versi discriminatorio, ma è pur vero che esso si amplifica nel momento in cui si passa da un sentimento generico, come il senso di appartenenza alla Patria, ad una realtà più prossima e materiale. Gli immigrati sono utili per fare determinati lavori, e quindi non entrano in concorrenza con gli autoctoni; permettono uno scambio culturale e al limite possono anche essere coinvolti all’interno dei processi politici e amministrativi.
Queste evidenziazioni, invece di sgomberare l’analisi da una visione di chiusura, appaiono, invece, come la riproposizione di un ulteriore stereotipo che poggia su un sentimento di distanza. Laddove lo straniero diventa più prossimo e va a sfiorare le dimensioni più intime, riemerge il sentimento di minaccia che fa sentire i calabresi quasi fossero in necessità di provvedere a una propria difesa. Se quasi la metà degli intervistati asserisce che gli immigrati possono diventare un problema di ordine pubblico (in una terra largamente condizionata dalla criminalità organizzata a «chilometro zero») e soprattutto se 2 intervistati su 3 si sentono in competizione per l’assegnazione di un alloggio di edilizia popolare (pur in assenza di una possibilità concreta di concorrere per una abitazione, data la mancanza di politiche strutturali per la casa) segnala che le risposte si muovono da un piano concreto per spostarsi su una dimensione simbolica. Ciò che le risposte sembrano evidenziare è che la posta in gioco non è all’interno della concretezza materiale ma poggia su paure e incertezze più recondite. È all’interno della sfera dell’intimità che «lo straniero» attenta alla privatezza della tranquillità e della dimensione domestica. La tranquillità e la sicurezza appaiono essere in dubbio, dietro la minaccia di un pericolo nascosto.

Ci sentiamo sotto assedio?

Arrivati a questo punto, la domanda che dovremmo porci è se siamo, o ci percepiamo, come una società che vive sotto assedio. Il linguaggio del talk show, che diviene discorso, riesce a produrre l’idea di trovarsi all’interno di una società insidiata, le cui mura sono accerchiate da orde di barbari?
La batteria formata da tre domande, le cui risposte sono riportate in figura 4, va nella direzione di comprendere proprio il sentimento di accerchiamento presente tra gli intervistati. Come accennavamo prima è chiaro che la lettura del dato non può prescindere da considerazioni che poggiano sul condizionamento che deriva dall’essere sempre più esposti all’influenza del linguaggio della comunicazione, televisiva in primis.
Figura 4 - Italiani sotto assedio?
Figura 4 - Italiani sotto assedio?
Tabella 1 - Popolazione residente italiana e straniera
Tabella 1 - Popolazione residente italiana e straniera
Fonte: ns elaborazioni dati ISTAT.
La tabella 1 riporta i dati ufficiali sulla presenza di stranieri residenti in Calabria ed in Italia, dal 2012 al 2015. Si riferiscono a stranieri regolari, tanto comunitari quanto extracomunitari. Si può vedere come, tanto nella regione quanto a livello nazionale, il rapporto tra stranieri e italiani cresca, in 4 anni, di poche frazioni di punto decimale. È vero che il riferimento è a persone regolarmente presenti sul territorio, ma crediamo che possa comunque dare un segnale di come, se si tratta di invasione, sia per lo meno piuttosto traballante. Gli extracomunitari regolarmente presenti in Calabria sono poco più di due per ogni cento abitanti ma, comunque, c’è la percezione che gli stranieri siano «troppi» in Italia, come riporta il grafico: quasi 8 intervistati su 10 sono pronti a giurare che dietro ogni angolo di strada si apposti uno straniero. E sono poco meno di due calabresi su tre che ritengono che sia in atto una sostituzione tra popolazione autoctona e popolazione immigrata per via del più elevato tasso di natalità a carico di quest’ultima. La partita sembra essere ancora incerta per quanto riguarda il futuro. Il timore di una strisciante minaccia di pulizia etnica riguarda il 43% degli intervistati. I dati delle interviste, ancora una volta, sembrano confermare l’ipotesi per cui la sensazione di vivere in costante pericolo sia più il risultato di una sceneggiatura mediatica che altro. Tuttavia, se tutto ciò ha una plausibilità, è chiaro che la sfera simbolica finisce col produrre effetti tangibili, dal momento sono proprio le sensazioni a orientare tanto le aspettative quanto l’agire sociale: nella pratica quotidiana non viviamo come se fossimo prigionieri in un CARA pur avvertendone tutti i fastidi.

Immigrazione, territorio e cultura locale

Cosa può essere concesso e cosa vietato ai migranti presenti all’interno del territorio che li ...

Indice dei contenuti

  1. Discriminazioni in una regione del Mezzogiorno
  2. Colophon
  3. Introduzione
  4. I risultati di una ricerca quantitativa su forme di pregiudizio e di discriminazioni in Calabria
  5. L’islamofobia come forma di discriminazione. Riflessioni su religione e razzismo nell’esperienza calabrese
  6. Discriminazioni e scuola Percorsi intersezionali di prevenzione
  7. Discriminazioni, migrazioni e salute
  8. Discriminazioni e lavoro tra intersezionalità e segmentazione
  9. Comunicazione e discriminazione in Calabria
  10. Gli autori e le autrici
  11. Indice