Marco Pannella
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Marco Pannella

Biografia di un irregolare

  1. 286 pagine
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Marco Pannella

Biografia di un irregolare

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Da Marco Pannella Jean-Paul Sartre si diceva affascinato e il commediografo Eugène Ionesco si iscrisse al Partito Radicale senza conoscerlo, sulla sua parola. Umberto Eco sostiene che Pannella «ha insegnato agli italiani come si fa a diventare liberi, e soprattutto meritarselo»; per Indro Montanelli è un figlio discolo, un gianburrasca devastatore, «ma in caso di pericolo o di carestia sarà il primo ad accorrere in soccorso». Di e su Pannella si è detto e scritto di tutto. Di volta in volta è stato definito «fascista», «amico dei fiancheggiatori delle Brigate Rosse», «provocatore», «qualunquista», «destabilizzatore». Da sempre anima e leader del Partito Radicale è l'uomo dei cento referendum e dei mille digiuni; tutti lo conoscono, anche se raramente va in televisione, lo si può amare o detestare, in ogni caso non lascia indifferenti. È l'uomo del divorzio, dell'aborto, dell'obiezione di coscienza, per i diritti di tutte le minoranze, delle marce antimilitariste. «Marco, anche quando graffia, non lascia rancore», dice di lui Giulio Andreotti. Ma al di là dell'immagine pubblica, chi è Marco Pannella? Spesso è costretto a sorties che appaiono funamboliche e grossolane, lui che pure è di grande eleganza intellettuale. Questo libro, aiuta a capire un protagonista della storia recente, che ha conosciuto e frequentato Benedetto Croce e Mario Pannunzio, Ernesto Rossi e Umberto Terracini, Elio Vittorini e Pier Paolo Pasolini, Ignazio Silone e Riccardo Lombardi... «Dove il potere nega, in forme palesi, ma anche con mezzi occulti la vera libertà», ha detto il poeta e premio Nobel Eugenio Montale «spuntano ogni tanto uomini ispirati come Andrei Sacharov e Marco Pannella che seguono la posizione spirituale più difficile che una vittima possa assumere di fronte al suo oppressore: il rifiuto passivo. Soli e inermi, essi parlano anche per noi».

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Informazioni

Uno «strano» partito a sua immagine e somiglianza

Quale che sia l’opinione sui radicali e sul suo leader, è uno strano, bizzarro partito. I critici dicono che ne è il «padrepadrone». Il politologo bolognese Angelo Panebianco, anni fa, scomodò Max Weber e la categoria del «carisma», che indubbiamente Pannella esercita e utilizza sapientemente. Lui scrolla le spalle, non sapremmo dire quanto infastidito da quello che considera un luogo comune: «Da sempre dico che i più difficili da convincere sono i radicali. Quando ho convinto i radicali della necessità e dell’opportunità di quello che propongo, vuol dire che tutti gli altri sono già convinti». Solo un paradosso? Pannella è il Partito Radicale, il Partito Radicale è Pannella. Facile, scontato, banale assioma. Ma è così, c’è poco da fare. Nella «galassia» radicale, Pannella è il padre, il sole, il motore, l’anima, il cervello. Lo hanno anche paragonato al dio Crono, che di volta in volta divora i suoi figli... Quest’ultima affermazione è ingiusta: in realtà Pannella è un formidabile talent scout di politici, li individua quando sono dei «nessuno», li coltiva, paziente li addestra e li forgia, istruisce e introduce alle astuzie e alle insidie della politica; poi, certo, molti, anche polemicamente, prendono altre strade. «Fare, essere radicali è impegnativo, costa il necessario più che il superfluo. Fare il radicale stanca». È per questo che Francesco Rutelli e Giovanni Negri, Jean Fabre, Daniele Capezzone e tanti altri, come meteore, nel giro di pochi giorni abbiamo sono stati visti svettare ai vertici del partito, e poi, altrettanto repentinamente, sono stati «sconsacrati»? Questa è la vulgata generale, un luogo comune ingeneroso, clamorosa contraddizione con l’intelligenza e l’eleganza intellettuale che tutti riconoscono a Pannella. E dunque vuoi vedere che ha ragione Pannella, quando dice che essere e fare i radicali è oneroso, e dopo un po’ – legittimamente, beninteso! – c’è chi getta la spugna e si dedica ad altro? Come sia, se si seguono un po’ le biografie dei «divorati» ci si accorge che molto spesso è accaduto il contrario: appena sono entrati in rotta di collisione con Pannella ecco che si sono accese le luci della ribalta e sono diventati «qualcuno». Potrebbe non essere Pannella a divorare i suoi figli, piuttosto il contrario: sono i «figli» che si cibano di Crono?
Ma veniamo alla storia di questo bizzarro, strano, partito, più unico che raro; la tracceremo a volo d’uccello, con «leggerezza», quel tanto che basta per conoscere l’«oggetto» di cui si parla, e soprattutto il suo leader.
Viene da lontano, il più antico d’Italia, sostiene Pannella, che rivendica «radici» che vanno ben al di là di due numi tutelari come Ernesto Rossi e Mario Pannunzio, capace com’è di spaziare da Benedetto Croce a Gaetano Salvemini (solo Pannella può provare a mettere insieme questi due giganti che in pubblico e privato polemizzavano tra loro duramente, e si detestavano); nel Pantheon radicale, Pannella mette i fratelli Carlo e Nello Rosselli, Piero Calamandrei, il gruppo del «Non mollare», Giustizia e Libertà e il Partito d’Azione, e prima ancora: Felice Cavallotti, Bertani, Nitti, la Destra storica; e, anche, Romolo Murri e Filippo Turati, Giovanni Amendola e Piero Gobetti... «Le sue battaglie, i suoi successi, il suo impegno per la democrazia, la libertà, la giustizia – ricorda uno dei fondatori del Partito Radicale, il bolognese Sergio Stanzani, che conosce Pannella dai tempi dell’università, quando con lo stesso Pannella e il siciliano Franco Roccella era uno dei leader dell’Unione Goliardica Italiana – cominciano dalla stessa rifondazione a metà degli anni Cinquanta: quando ci costituimmo provenendo da vari filoni: c’erano i liberali di sinistra, fuoriusciti dal Pli in polemica con la sterzata a destra impressa da Giovanni Malagodi; ex azionisti che avevano avuto una parte attiva nella Resistenza al fascismo, democratici e laici che avevano dato impulso alla politica universitaria in contrapposizione alle organizzazioni comuniste e para-comuniste e a quelle cattoliche». Racconta un altro dei suoi fondatori, Angiolo Bandinelli, raffinato autore di traduzioni dal francese e dall’inglese e appassionato cultore di poesia: «Le sue battaglie, i suoi successi, il suo impegno per la democrazia, la libertà, la giustizia e i diritti dei cittadini cominciano dalla sua stessa fondazione, a metà degli anni Cinquanta, quando fu costituito da liberali di sinistra che erano usciti dal Pli, da ex azionisti che avevano avuto una parte attiva nella Resistenza al fascismo, da personalità democratiche e da un pugno di giovani laici che avevamo dato impulso alla politica universitaria in contrapposizione alle organizzazioni comuniste e paracomuniste e a quelle cattoliche».
Quando il Partito Radicale, sorto nel 1956 intorno al settimanale «Il Mondo», a Rossi e Leopoldo Piccardi, nel 1962 si dissolve in seguito all’esito disastroso delle elezioni, Pannella e i radicali più giovani (Gianfranco Spadaccia, Angiolo Bandinelli, i fratelli Aloisio e Giuliano Rendi, Sergio Stanzani, Mauro Mellini, Massimo Teodori) ne raccolgono l’eredità politica e la sigla. Al vecchio tronco innestano però nuovi valori, e danno vita a nuove battaglie, con nuovi metodi. Nasce così un nuovo corso che segnerà profondamente la scena politica italiana.
Non è un problema meramente lessicale, come vedremo. Per anni – e anche oggi – si è dibattuta la questione se i radicali fossero un partito o un movimento. Loro, i radicali, anche quando erano poche decine di iscritti sparsi per l’Italia, caparbi hanno sempre sostenuto e rivendicato di essere un partito. Altri, riferendosi al carattere fluido, «liquido», con strutture organizzative ridotte al minimo, hanno invece affermato che quello radicale è piuttosto un movimento. Una polemica che periodicamente, carsicamente, ritorna, con le stesse espressioni, le stesse parole quasi; e che lascia il tempo che trova, infondata: perché andrebbe perlomeno riconosciuto che la specifica fisionomia radicale, negli anni, rappresenta e costituisce un raro caso di coerente continuità. E già solo questo ne fa un partito.
Perché insistere con tanta ostinazione nel chiamarsi «partito»? Ci aiuta Stanzani: «Siamo sempre stati partito; nel senso che abbiamo voluto suscitare, organizzare, dare voce e rappresentanza alle necessità dei cittadini: libertà, democrazia, giustizia. Anche quando andavano di moda, non siamo mai stati “rivoluzionari”, estremisti. Il nostro obiettivo di sempre è quello di mutare le leggi per renderle più adeguate al modo in cui i cittadini vivono, pensano e si comportano».
Partito di governo, dunque? «Non c’è dubbio. Nel senso di saper governare i fenomeni. Nel senso di saper suscitare e organizzare le istanze sentite dal popolo e non accolte dalla politica».

La ripresa dell’anticlericalismo

Fra le bandiere risollevate da Pannella e dal Partito Radicale, c’è quella dell’anticlericalismo. Questi antichi temi della tradizione democratica, laica, repubblicana e socialista, sono stati ripresi e tradotti in azioni militanti e in obiettivi specifici.
Quando è ancora in corso, nella seconda metà degli anni Sessanta, la battaglia per il divorzio, i radicali assumono l’abrogazione del Concordato come uno dei punti cardine della propria azione. Nel febbraio 1971 fondano con repubblicani, liberali, socialisti, divorzisti e credenti, la Lega Italiana per l’Abrogazione del Concordato (Liac). Negli anni successivi, per due volte viene tentata la raccolta di firme per un referendum abrogativo, portata a termine con successo nel 1977, ma poi vanificata dalla pretestuosa dichiarazione di inammissibilità da parte della Corte Costituzionale.
In anni più recenti, allorché viene presentato in Parlamento il nuovo Concordato, i radicali, pressoché solitari, ne denunciano il carattere peggiorativo, intraprendendo una specie di ostruzionismo nei confronti della ratifica delle intese riguardanti i beni e gli enti ecclesiastici.
Il congresso straordinario del Pr del febbraio 1971 afferma (e dalla prosa si indovina se non la mano, l’ispirazione pannelliana): «L’edificio concordatario e clericale in Italia, dopo quattro decenni dal patto iniquo del Laterano, dopo secoli di mancata riforma e di mancate riforme religiose e civili, ha riscontrato un primo grave colpo con la lotta popolare per il divorzio, prima, con la sua vittoria in Parlamento, poi. Questa civile conquista ha tolto un cardine fondamentale all’edificio di potere vaticano: quello del monopolio giuridico della famiglia [...]. Ora sono la scuola, le funzioni sociali, il potere economico, fondiario, immobiliare, finanziario, i meccanismi di dislocazione massiccia e di vera e propria alienazione del patrimonio pubblico nei settori della salute, della assistenza, delle strutture del tempo libero, la storica funzione di sacralizzazione del “disordine costituito” e della “violenza di Stato”, che possono venire messi in causa dalla incalzante rivendicazione laico-libertaria costitutiva dell’impegno umano e civile di masse di generazioni di nuovi credenti e non credenti [...]».
Per anni, da sempre, i radicali combattono le ingerenze vaticane e concordatarie nella vita italiana. Nel 1965 denunciano a Roma gli intrecci tra potere politico, presenza clericale e gestione degli organismi assistenziali, una campagna conclusa con l’incriminazione e l’arresto del sindaco di Roma, Amerigo Petrucci; nel decennio 1965-1975 con la denuncia della Sacra Rota come surrogato di classe e clericale del divorzio; con la costante azione contro i privilegi della scuola privata e delle tante vie attraverso cui sono finanziate con il pubblico denaro le strutture scolastiche clericali; con l’azione in favore dell’aborto libero e gratuito e contro la repressione sessuale; con la denuncia dei privilegi fiscali e finanziari del Vaticano e delle sue speculazioni, riprendendo e sviluppando tanti temi cari a Ernesto Rossi.

L’antimilitarismo nonviolento
e i diritti umani nei paesi dell’Est europeo

L’antimilitarismo ha connotato il Partito Radicale fin dall’inizio del nuovo corso. Nel 1967 esso chiede la conversione delle strutture militari in strutture civili e l’uscita dalla Nato; nel 1968 denuncia i miti nazionali e nazionalisti; nel 1969, oltre alla marcia antimilitarista, viene pubblicato un libro bianco sulla militarizzazione della Sardegna, e nel 1970 si stabilisce un organico collegamento con le organizzazioni internazionali, si pone, inoltre, l’obiettivo di una legge in favore dell’obiezione di coscienza, con la costituzione della Lega per il Riconoscimento dell’Obiezione di coscienza (Loc). Per la distribuzione di un volantino antimilitarista nel 1966 vengono arrestati a Milano i giovanissimi Andrea e Lorenzo Strik Lievers. Nel marzo 1972 Roberto Cicciomessere, ex segretario del Pr, si consegna insieme a una decina di altri obiettori alle autorità militari. Il 15 dicembre 1972 il Parlamento approva una nuova legge sull’obiezione di coscienza. È il risultato di un lungo sciopero della fame a oltranza di Pannella e dell’allora radicale e credente Alberto Gardin, interrotto nel momento in cui l’allora presidente della Camera, Sandro Pertini, assicura che la questione sarà posta rapidamente all’ordine del giorno. Ancora una volta con l’azione politica e la nonviolenza i radicali strappano una riforma.
Per molti anni, tra il ’60 e il ’70, d’estate, hanno luogo marce antimilitariste nelle regioni nord-orientali dell’Italia con la partecipazione di migliaia di giovani di ogni appartenenza politica. Le prime, da Milano a Vicenza; altre nel cuore del «militarismo» italiano, in quel confine orientale dove sono concentrate le forze armate: il Friuli Venezia Giulia; le marce partono da Trieste, si concludono ad Aviano.
Nel 1978 viene eletto segretario del Partito Radicale, con un significato simbolico europeo, un obiettore di coscienza «integrale» francese, Jean Fabre, che successivamente si fa arrestare e processare in Francia, per insoumission. Nel 1977 Pannella conduce un altro sciopero della fame e della sete, questa volta in favore degli obiettori di coscienza spagnoli, al fine di far riconoscere il diritto all’obiezione nella nuova costituzione di quel Paese; inutile dire che riesce nel suo intento. L’anno successivo un’altra «invenzione»: insieme ad altri movimenti nonviolenti europei, i radicali organizzano «la carovana per il disarmo». Si parte da Bruxelles alla volta di Varsavia; e nel 1980 un’altra marcia antimilitarista muove da Avignone alla volta di Bruxelles, prendendola però molto alla larga: si attraversa prima l’Italia, poi si varca la frontiera con la Jugoslavia e, alla fine, si arriva nella capitale belga. Sono gli anni che vedono impegnato in prima fila nella lotta antimilitarista un giovanissimo Francesco Rutelli, che nell’ottobre del 1983, assieme ad altri radicali, manifesta in Cecoslovacchia, per indicare la necessità del disarmo in ogni parte del mondo. Due anni dopo, nel 1985, è la volta di un ragazzo belga, Olivier Dupuis, eletto negli organi dirigenti del partito: compie la sua «affermazione di coscienza» di fronte all’esercito e all’autorità giudiziaria militare e affronta quasi un anno di carcere, per testimoniare con una proposta positiva di valore europeo l’alternativa al militarismo, alle strutture militari e ai problemi della difesa secondo una rinnovata tradizione socialista, antiautoritaria e nonviolenta. Scrive Dupuis in una lettera al Ministro della Difesa belga: «Ho scelto di disobbedire, di obiettare in coscienza a tale politica di difesa inutile perché inefficace, perché nazionale e non europea, suicida perché fondata tutta intera sulla materializzazione di minacce e non sull’essenza di queste, sui missili sovietici e non sul sistema che li dispiega, totalitario e dunque intrinsecamente incapace di generare gli anticorpi democratici ai fini espansionistici, neganti il diritto. Ho scelto di affermare in coscienza che un’altra difesa è non soltanto possibile, ma assolutamente indispensabile. Non soltanto contro la minaccia interna ed esterna incarnata dal Leviatano sovietico, ma contro quella che rappresenta lo sterminio annuale di decine di milioni di esseri umani nel sud del mondo e che vedono l’est e l’ovest uniti nell’identico cinismo […]». Abbiamo voluto riportare un ampio brano della lettera scritta da Dupuis perché, forse si pecca di malizia, a noi pare – come dire? – dettata, sillabata da Pannella: è la sua prosa, il suo «stile»; ma al di là della paternità, quelle righe sono una sorta di manifesto, una summa del pensiero pannelliano così come si era formato e si formerà in seguito.
Sono anni, quelli Ottanta, caratterizzati da un costante, massiccio impegno nei Paesi dell’Est europeo. Nel giugno 1986 è la volta di un parlamentare radicale, Franco Corleone, e di due militanti, Ivan Novelli e Paolo Pietrosanti, di manifestare a Varsavia per la libertà dei detenuti polacchi e per gli obiettori di coscienza; vengono arrestati, incarcerati, processati per direttissima e, infine, espulsi. Qualche mese dopo, grazie a una poderosa inchiesta realizzata da Roberto Cicciomessere e da Rutelli, si svela l’enorme dimensione del traffico di armi di cui l’Italia è tra i massimi responsabili: anche nei confronti di Paesi belligeranti e dunque per questo sottoposti a embargo, come l’Iran.
L’antimilitarismo si coniuga e si salda all’azione in difesa dei diritti umani nei Paesi comunisti dell’Est europeo. Pannella da sempre è sostenitore di una linea di «ingerenza» per conquistare i diritti civili; il partito riesce a far approvare uno stanziamento del Parlamento italiano per fare informazione diretta nei Paesi comunisti. La testimonianza della lotta radicale per i diritti umani è resa al congresso del 1986 da Vladimir Bukovskij: «Avete iniziato una campagna importantissima sull’informazione dei paesi comunisti. Chi la continuerà se voi la smettete? Avete cominciato un lavoro importantissimo per cercare una nuova strada, una terza strada che non sia né quella della capitolazione né quella del riarmiamo nei confronti dell’Urss. Chi la continuerà se voi la smettete?». A sua volta, Leonid Pliusc scrive a Pannella: «Già da nove anni seguo l’azione del Partito Radicale nel campo dei diritti dell’uomo nei cosiddetti paesi socialisti e dei rapporti tra l’Occidente e il blocco di Varsavia. Pur non condividendo per intero la politica dei radicali, ritengo che molte idee e molti metodi di questo partito siano necessari per risolvere i problemi dell’attuale situazione internazionale».
Rigoroso nonviolento, Pannella dice di non credere al potere e di ripudiare anche la fantasia se minaccia di occuparlo. La sua è una cultura «borghese»: «Per me sono stati importanti cinque o sei aforismi di Nietzsche sul bene e il male. Gozzano e la Sonata a Kreutzer. Un certo numero di Esprit, la rivista del filosofo cattolico Emmanuel Mounier, la Storia dell’età del barocco di Croce. Un poeta, Saint-John Perse, Nobel nel 1960, da leggere come si legge un’enciclopedia… Thomas Mann, aedo della borghesia…». Persona di grande eleganza intellettuale, dice Sciascia. Un’eleganza che gli fa amare la rivoluzione borghese, i vecchi canti anarchici, il pensiero della Destra storica, i versi di un grande poeta francese, Arthur Rimbaud, che parlava di «le raisonnable dérèglement des sens», il ragionevole regolamento dei sensi: «È una frase anti-maudit. Rimbaud aveva intuito quello che i cibernetici hanno compreso a livello scientifico. Il suo dramma era la ragionevolezza. Anche per noi radicali è così». Un’eleganza che gli fa dire: «Non credo al fucile. Ci sono troppe, splendide cose che potremmo/potremo fare anche con il “nemico” per pensare ad eliminarlo». Gandhi di via Veneto, spesso lo hanno canzonato. I suoi digiuni e tutte le sue iniziative non sono mai «contro», sempre «per», egli ha cura di specificare, quasi sempre inascoltato, che quando si impegna in uno sciopero della fame o della sete non lo fa per «protestare»; è, piuttosto un’iniziativa di «dialogo», di stimolo, di aiuto perché chi può e deve trovi il meglio di se stesso. Eppure è anche capace di furori alla Savonarola.
Con Aldo Capitini, il maggior teorico e attuatore della nonviolenza in Italia, teorico di quel pensiero sulla «comunione» tra i vivi e i morti molto cara a Pannella, a un certo punto, la polemica è feroce. All’inizio del 1964, due anni dopo la nascita della Consulta della Pace, Capitini rassegna le dimissioni da presidente dopo aver ricevuto una lettera di Pannella, conservata presso l’archivio di Stato di Perugia:
Caro Capitini, a più riprese, da ogni parte, si sono elevate critiche allarmate al tuo modo di condurre il lavoro di costruzione e di crescita della Consulta italiana della Pace. Oggi, dinanzi ad episodi che ancora una volta testimoniano in quale tartufesca polvere quotidiana fai scadere, per lo meno nella Consulta, quei principi di democrazia e di «gestione dal basso» che pure hai certamente contribuito a diffondere ed elaborare in sede teorica; dinanzi ad atteggiamenti ambigui, reticenti e di volta in volta esagitati o spauriti, caporaleschi o da «prima donna», ma soprattutto prendendo atto della assoluta sterilità e cecità politica che porta a vedere ogni giorno più ristretta la rappresentatività e l’efficacia della Co...

Indice dei contenuti

  1. Copertura
  2. Titolo Pagina
  3. Copyright
  4. Indice
  5. La durata è la forma delle cose
  6. L’eretico riformatore
  7. Il segreto di Marco Pannella
  8. Uno, nessuno, centomila Pannella
  9. Io, mulo teramano, abruzzese…
  10. Le donne di Pannella
  11. Uno «strano» partito a sua immagine e somiglianza
  12. Quei fantastici anni a Parigi…
  13. Uno strano terzetto: l’anarchico, il commissario, il radicale
  14. Tre battaglie emblematiche: ENI, PIANO THIRRING, O.N.M.I.
  15. Quel pomeriggio, il generale Mino mi disse che.
  16. Quella notte che notte, a casa Agnelli…
  17. Quel giorno quando Giorgiana Masi venne uccisa
  18. Radicali e PCI
  19. Radicali e socialisti
  20. L’anticlericalismo religioso di Pannella
  21. …E Pannella inventa un giorno «Radio Radicale»…
  22. Ernesto Rossi
  23. Mario Pannunzio
  24. Altiero Spinelli
  25. Elio Vittorini
  26. Pier Paolo Pasolini
  27. Leonardo Sciascia
  28. Enzo Tortora
  29. Luca Coscioni
  30. Volevo salvare Saddam, voglio processare Bush (e Blair, Berlusconi…)
  31. E ora?
  32. Appendice
  33. Pannellanea
  34. Bibliografia