Piccola guida alla cooperazione
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Piccola guida alla cooperazione

Un avvicinamento, non un manuale

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Piccola guida alla cooperazione

Un avvicinamento, non un manuale

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Informazioni sul libro

Il volume si presenta come una introduzione alla cooperazione, una guida per chi intenda interessarsi a questo mondo: "per chi voglia costituire una cooperativa, per chi voglia vendere o comprare qualcosa dalle cooperative, per chi intenda andarci a lavorare, oppure per chi sia curioso e basta". L'osservazione si concentra sugli aspetti essenziali per comprendere i meccanismi, le virtù e i problemi di queste imprese e i dilemmi delle persone che le hanno costituite e le devono governare. Potrebbe darsi che qualche vantaggio lo possano trovare anche i cooperatori esperti e in servizio permanente effettivo, dato che sentirsi raccontare aiuta a interrogarsi sulla propria identità.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788849840988
Argomento
Business

1. LA GUIDA E I COMPAGNI DI VIAGGIO

Illustrazione

Obiettivo generale

Prepararci a esplorare1.

Guida alla

Non è un manuale, non è una mappa, non è la spiegazione di tutti i particolari.
È un criterio di avvicinamento: ci sono alcune cose che conviene conoscere prima, in modo da muoversi con più efficienza (e maggiore attenzione)2.

Cooperazione

Significati:
  1. 1. il complesso delle imprese cooperative, dei loro consorzi, delle strutture di rappresentanza e servizio, delle società controllate,
  2. 2. il “movimento cooperativo”: fenomeno politico-economico-sociale sviluppatosi dalla metà del secolo XIX in Europa,
  3. 3. l’idea e la pratica (anche il desiderio) di un’economia rivolta al progresso sociale, alla giustizia, all’equità (o che almeno ne tenga conto)3.

Perché osservare le cooperative?

  • Perché ci sono,
  • perché sono economicamente significative,
  • perché sono una configurazione del socialismo (o dell’umana solidarietà),
  • perché se ne è sentito parlare tanto,
  • perché ci si lavora dentro,
  • perché ci si vorrebbe lavorare dentro (o perché possono essere un’occasione di lavoro),
  • perché rappresentano un mercato,
  • perché il nonno, il papà e la mamma ci hanno speso una vita,
  • perché dove ci sono le cose vanno meglio,
  • perché si dice che conoscendole si possono imparare delle cose,
  • perché non è affatto detto che continuino a esserci4.

Lo studio e la predicazione della cooperazione

La cooperazione è un fenomeno sociale e culturale complesso, un ragguardevole aggregato di valori etici e di esperimenti economici e sociali. La si può osservare dunque in modi diversi, a partire da interessi e finalità differenti.
Esistono innanzitutto gli studiosi, quelli che hanno tentato e tentano di capire come la cooperazione funziona, quali sono le sue caratteristiche distintive, cosa differenzia le imprese cooperative da tutte le altre, quale può essere il loro futuro. Si deve parlare in questo caso del contributo che le discipline offrono alla comprensione di questo fenomeno.
È esistita ed esiste però anche una predicazione della cooperazione, cioè la propaganda delle sue finalità e dei suoi principi di funzionamento, basata sulla convinzione che si tratti di un mezzo per il miglioramento sociale. Si deve parlare in questo caso di dottrine cooperative (il plurale è dato dal fatto che non tutti coloro che si impegnano per diffondere la cooperazione la pensano allo stesso modo).

Lo studio della cooperazione, ovvero le discipline

Ci sono quattro principali categorie di studiosi della cooperazione:
  • i giuristi,
  • gli economisti,
  • gli storici,
  • i sociologi.
Per chiunque intenda esplorare la cooperazione si tratta di compagni di viaggio necessari, nel senso di inevitabili.
Ognuno di loro si è avvicinato alla cooperazione secondo i dettami della rispettiva disciplina e i risultati dei loro studi hanno influito in modo diverso sulla cultura delle cooperative (che però si è formata soprattutto nella pratica).
Certamente gli effetti più sensibili sono stati prodotti dai giuristi, se non altro per il fatto che le cooperative e la cooperazione sono regolate dalla legge.

Come la vedono gli economisti

Il dibattito tra gli economisti è ancora aperto, ed è abbastanza vivace. È dunque molto difficile riassumerlo.
Una delle posizioni più diffuse tra gli economisti è che le cooperative “servano a correggere i fallimenti del mercato”5: dove il mercato non dà risposte soddisfacenti a una determinata categoria di bisogni, ecco che si può tentare con la cooperazione.
Questo può valere:
per i lavoratori: “costituiamo una cooperativa perché il mercato non valorizza a sufficienza il nostro lavoro. Con la cooperativa lo valorizzeremo di più”;
per i consumatori: “il mercato non ci garantisce il prezzo e la qualità delle merci, così noi facciamo la nostra cooperativa”;
per l’impresa individuale (contadina, artigiana, commerciale): “il mercato sfrutta la nostra piccola dimensione e la nostra debolezza; così noi ci mettiamo assieme in cooperativa e aumentiamo la nostra forza sul mercato”.

Come la vedono gli storici

Gli storici descrivono e interpretano la cooperazione partendo dai movimenti sociali europei del XIX secolo e seguendone lo sviluppo: per loro si tratta di uno dei modi in cui si è manifestato il movimento dei lavoratori (“la cooperazione è una costola del movimento operaio”), ovvero la messa in pratica di alcuni disegni ideali e morali che hanno contrassegnato il periodo.
Il compito degli storici è stato ed è un poco più semplice di quello degli economisti, dato che il punto di partenza è l’osservazione di avvenimenti “veri”, e non la produzione di modelli, siano essi interpretativi o normativi6.

Come la vedono i sociologi

I sociologi (soprattutto quelli del lavoro) si sono interessati di cooperative principalmente per avvalorare o per confutare determinate tesi riguardanti l’impresa ordinaria e i suoi funzionamenti. Hanno dunque spesso adoperato la cooperativa come termine di confronto, ovvero come “eccezione con cui fare i conti”.
Ai sociologi è parso di particolare interesse che all’interno delle imprese cooperative non si applicassero le regole “naturali” delle altre imprese relativamente alle gerarchie, all’assunzione delle decisioni, alle retribuzioni, al valore del lavoro, eccetera. (Si riprenderà questo argomento alla fine del libro).
Più recentemente, un contributo importante (nel bene e nel male) dei sociologi è stato la diffusione della cultura manageriale nelle cooperative, importata quasi sempre senza tanti adattamenti dalle altre forme d’impresa.
Ciò che ci si potrebbe aspettare dai sociologi in futuro è uno sforzo di maggiore pertinenza, e soprattutto un contributo allo studio del “manager cooperativo”7.

Come la vedono i giuristi

I giuristi sono stati e sono certamente i più rilevanti produttori di cultura cooperativa, coloro che hanno modellato la cooperazione italiana per quello che essa è, e che hanno orientato i comportamenti delle imprese.
Il vantaggio dei giuristi è rappresentato dal fatto che non si tratta di una disciplina speculativa, ma di una disciplina normativa, che cioè “definisce, spiega e interpreta quel che bisogna fare8.

I compagni di viaggio e le domande cruciali

Quando si inizia a osservare la cooperazione è fatale fare riferimento a quello che hanno detto gli economisti, gli storici, i sociologi e i giuristi. Si tratta di compagni di viaggio necessari e inevitabili9.
Però bisogna sforzarsi (da cooperatori, da curiosi o da esploratori) di manipolare un poco quelle discipline, di indirizzarle ai nostri fini, di usarle consapevolmente.
Ognuno deve dunque tentare di porsi alcune “domande cruciali”, che – per quanto collegate alle discipline a cui si è accennato – nascano da curiosità “normali”, siano esse molto generali o specifiche.
Vediamone alcune.

Domanda uno: esiste un “Homo Cooperativus”?

La domanda (che non vuole affatto essere scanzonata) suona così:
  • per essere dei cooperatori sono necessari alcuni crismi individuali particolari?
  • bisogna proprio crederci alla cooperazione, o se ne può fare anche a meno?
  • esiste o può esistere una antropologia della cooperazione?
Se si decidesse che sì – l’Homo Cooperativus esiste – allora bisognerà tentare di metterne in evidenza i caratteri (antropologici, appunto). Bisognerà considerarne i miti, i riti, le usanze, gli schemi di comportamento, le reti di relazioni sociali, gli schemi di parentela, i modi di produzione, consumo e scambio dei beni, le relazioni di potere, eccetera.
Di seguito si sosterrà che sì, l’Homo Cooperativus esiste.
O almeno è esistito.

Domanda due: esiste un “codice cooperativo”?

Cioè: esistono un linguaggio, una mentalità, una scala di valori specifici della cooperazione? un criterio che attribuisce più valore a un determinato avvenimento, a una determinata realizzazione (diverso dal valore che allo stesso fenomeno viene attribuito da altri)?
La risposta sarà ancora una volta sì: il codice specifico della cooperazione esiste proprio.

Domanda tre: esiste una “metrica cooperativa”?

Cioè: esiste un’unità di misura che serve specificamente a valutare gli accadimenti cooperativi?
Anche in questo caso la risposta è affermativa.
(Come nei casi precedenti, chi scrive non è proprio sicuro che sia vero oppure che si tratti di un suo desiderio).
Il seguito prova a descrivere come è fatto l’Homo Cooperativus, quali sono il suo linguaggio e il suo codice e di cosa è fatta la sua metrica.
1. L’esploratore tra due racconti
L’esploratore (che è sempre anche un conquistatore, di beni materiali e/o di conoscenze) si basa quasi sempre su informazioni incomplete (sennò che esploratore è: scade almeno al livello del ...

Indice dei contenuti

  1. PICCOLA GUIDA ALLA COOPERAZIONE
  2. COLOPHON
  3. INDICE
  4. PRESENTAZIONE, DI PIERLUIGI STEFANINI
  5. 1. LA GUIDA E I COMPAGNI DI VIAGGIO
  6. 2. CONCETTI E PRINCIPI
  7. 3. PERCHÉ ESISTONO LE COOPERATIVE
  8. 4. IL MOVIMENTO COOPERATIVO ITALIANO
  9. 5. LE IMPRESE COOPERATIVE
  10. 6. IL SISTEMA DI RAPPRESENTANZA E L’ORGANIZZAZIONE DELLA COOPERAZIONE
  11. 7. IL LAVORO IN COOPERATIVA
  12. 8. LA FINANZA
  13. 9. DEMOCRAZIA, PARTECIPAZIONE E GOVERNANCE
  14. 10. I DIRIGENTI COOPERATIVI
  15. 11. COSA GUARDARE E COME MUOVERSI
  16. APPENDICE: GELINDO E IL PAIOLO MANCANTE