La regina, l'alchimista e il cardinale
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La regina, l'alchimista e il cardinale

Dall'autore del best-seller Cagliostro un avvincente romanzo storico ambientato nella Francia di Luigi XVI

  1. 282 pagine
  2. Italian
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La regina, l'alchimista e il cardinale

Dall'autore del best-seller Cagliostro un avvincente romanzo storico ambientato nella Francia di Luigi XVI

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Parigi 1785. La corte del re Luigi XVI sta per essere travolta dallo scandalo del secolo, passato alla storia come l'affare della collana. L'intrigo, ordito da una nobildonna decaduta, assetata di denaro e bramosa di scalare i vertici dell'alta società parigina e di avere un ruolo a corte, coinvolge nelle sue trame l'ambizioso cardinale Rohan, il sedicente mago e alchimista Cagliostro, fidatissimo amico dell'alto prelato, e la stessa regina Maria Antonietta, spianando la strada alla Rivoluzione dell'89.L'affare della collana non resta confinato fra le mura dei tribunali, ma diventa subito di pubblico dominio. Le arringhe degli avvocati vanno a ruba come bestseller, molti scrittori si arricchiscono con pamphlet scandalistici venduti in migliaia di copie. La Francia si appassiona alla vicenda e si divide fra innocentisti e colpevolisti. Ma il debole re Luigi non ne coglie appieno la portata e lascia che le cose seguano il loro corso, accelerando così il tramonto e la fine della monarchia francese. Il libro di Roberto Gervaso ricostruisce l'intera vicenda in tutti i particolari, compresi quelli più piccanti, dipingendo l'affresco storico di un'epoca di grandi mutamenti che vede l'ascesa della borghesia e la nascita della società moderna.

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788849830262
Parte terza
L’intrigo

A Parigi

Nel giugno 1783 il mago e la moglie lasciarono Strasburgo per recarsi prima a Napoli, da un vecchio amico malato, poi a Bordeaux e a Lione, già allora una delle capitali dell’occultismo internazionale, dove il rito egiziano ricevette entusiastiche adesioni.
Puntarono quindi su Parigi, giungendovi il 30 gennaio 1785, data – come vedremo – cruciale. Ad accoglierli fu Rohan, che si era sempre tenuto in contatto epistolare con Alessandro.
L’incontro avvenne a palazzo Strasburgo, residenza del cardinale, dove i Cagliostro, per compiacere l’amico che a ogni costo li voleva ospiti, decisero di passare qualche giorno, in attesa di prendere casa all’angolo fra rue Saint-Claude-au-Marais e boulevard Saint-Antoine.
Luigi gettò le braccia al collo di Alessandro, a stento trattenendo le lacrime, tanto era commosso nel rivedere “il più grande degli uomini”. Mai come in quel momento aveva bisogno di lui, dei suoi saggi e disinteressati consigli, delle sue infallibili profezie. La sua vita – gli confidò, guidandolo verso la biblioteca, mentre Serafina, stanca del viaggio, si ritirava nella propria camera – era a una svolta. Una svolta decisiva quanto insperata, che avrebbe fatto di lui il novello Richelieu, il nuovo Mazarino, il francese più potente dopo i sovrani.
Cagliostro gli chiese che cosa fosse successo ed egli rispose che Maria Antonietta lo aveva finalmente perdonato. Non solo: voleva riammetterlo a corte con tutti gli onori.
Il mago non nascose la propria meraviglia. Sapeva bene quanto la regina detestasse il principe-vescovo. Sapeva quante udienze, dopo l’inglorioso ritorno da Vienna, gli avesse rifiutato, adducendo le giustificazioni più futili. Sapeva delle lettere che Luigi aveva scritto alla sovrana, e che non erano state neppure aperte. Sapeva delle continue e vane pressioni dei Soubise, dei Marsan e, naturalmente, dei Rohan su Maria Antonietta perché si degnasse di ricevere il cardinale. Possibile che, da un giorno all’altro, Sua Maestà avesse mutato radicalmente opinione?
Le cose – spiegò Luigi all’incredulo Alessandro – erano cambiate grazie ai buoni uffici di una giovane donna, conosciuta anni prima a Saverne: la contessa Giovanna de Valois de la Motte.
Il mago gli chiese che cosa c’entrasse con la regina e Rohan rispose ch’era una delle sue migliori amiche. Non solo: esercitava su di lei un’influenza decisiva.
Alessandro tacque, ma se il cardinale avesse saputo leggere nel suo pensiero, l’avrebbe trovato pieno di dubbi. Comunque, per non contrariare l’amico, il Gran Cofto non gli fece altre domande.
Sfinito anche lui dal viaggio, era sul punto di congedarsi e ritirarsi nei suoi appartamenti quando Luigi lo supplicò di evocare i defunti per conoscere l’esito dell’intercessione.
Cagliostro, non senza riluttanza, lo accontentò, e il responso fu: l’odio della sovrana per la “Bell’Eminenza”, com’era stato ribattezzato il cardinale, s’era davvero mutato in favore.
Fu, probabilmente, tutta una messinscena. Alessandro mentì sapendo di mentire per non deludere l’amico, il quale, al colmo della felicità, si offrì di presentargli la Valois. Il mago disse che ne sarebbe stato lieto, e pochi giorni dopo Giovanna lo invitò a cena con la moglie.
Il Gran Cofto si presentò piuttosto tardi, alle dieci e mezzo, annunciato con solennità dal maggiordomo e accolto con affettuosa deferenza dalla contessa che, appena lo videaffacciarsi alla porta, si alzò dal divano e a rapidi passi gli andò incontro, tendendogli la mano.
L’impressione che Cagliostro fece sugli ospiti ci è riferita con dovizia di dettagli dall’avvocato Beugnot: «… indossava un abito alla francese color grigio-ferro, con lustrini d’oro, un giustacuore scarlatto con ricami a larghi punti di Spagna, calzoni rossi, lo spadino tra le falde dell’abito e un cappello ricamato con piuma bianca. Era l’abbigliamento di rigore per i ciarlatani, i cavadenti e gli altri medicastri che fanno i loro fervorini esitando le droghe all’aria aperta. Ma Cagliostro gli dava risalto con polsini di pizzo, parecchi anelli di valore e certe fibbie che sembravano di oro fino. Non sedevano a desinare che persone della famiglia, giacché non veniva considerato forestiero un certo cavaliere de Montbruel, veterano sulle scene, il quale sosteneva di trovarsi per caso dovunque si trovasse il celebre mago. Diceva di aver visto le meraviglie da lui operate e offriva se stesso a prova, dichiarandosi miracolosamente guarito da non so quante malattie, il cui solo nome fa spavento.
«Io guardavo Cagliostro soltanto di sfuggita e non sapevo che pensarne. Quel volto, quel modo di mettersi, tutto l’assieme, mi dava, senza volerlo, una certa soggezione. Aspettavo che discorresse. Parlava un miscuglio italo-francese, con gran citazioni che parevano arabe, ma che egli non si dava la pena di tradurre. Parlava lui solo ed ebbe campo di sfoderare venti soggetti… Chiedeva ogni momento se lo capivano e tutti insieme, chinando il capo, accennavano di sì.
«Quando attaccava discorso, pareva trasportato e gonfiava la voce e il gesto. Poi, a un tratto, calava di tono per rivolgere alla padrona di casa complimenti molto teneri e gentilezze piuttosto comiche. Continuò così per tutta la sera.
«Non mi è rimasto in mente altro se non che ragionò del cielo, degli astri, del grande arcano, di Menfi, del gerofante, della chimica trascendentale, dei giganti, degli animali enormi, di una città nell’interno dell’Africa dieci volte più grande di Parigi, e in cui aveva corrispondenti, e dell’ignoranza in cui eravamo di tutte quelle belle cose, ch’egli conosceva sulla punta delle dita.
«Ricordo che il discorso era stato inframmezzato da buffe insulsaggini rivolte alla signora de la Motte, che chiamava la sua cerbiatta, la sua gazzella, la sua cigna, la sua colomba, togliendo così a prestito dal regno animale quello che aveva di più gentile. Alzandosi da tavola si degnò di rivolgermi qualche domanda, una dopo l’altra. Risposi a tutte confessando la mia ignoranza e seppi poi dalla signora de la Motte ch’egli si era fatto un’ottima idea tanto di me quanto del mio sapere».
Apparentemente, dunque, il mago e la contessa si piacquero o, comunque, non si dispiacquero. Lui si mostrò galante e lei diede segno di gradire quei delicati e bizzarri paragoni: “cigna” e “colomba” non l’aveva forse mai chiamata nessuno, neppure il marito. Chi la conosceva bene – ma pochi la conoscevano bene – non la trovava infatti né candida né ingenua, anche se sembrava l’una cosa e l’altra.
Ciò non poteva che giovarle, e lei lo sapeva. Come sapeva che Cagliostro era nel cuore di Rohan, ne godeva la fiducia ed era quindi in grado d’influenzarne la condotta e d’ispirarne le azioni.
Del Gran Cofto nulla le era ignoto perchè il cardinale tutto le aveva raccontato, e non senza iperboli. Le conveniva averlo amico anche se l’ascendente di lei sul principe non faceva che aumentare.
Doveva però star sempre sul chi vive, tenendo il rivale sotto controllo, impedendogli di entrare, più di quanto già non fosse entrato, nelle grazie del cardinale.
E non era facile, anche perché il siciliano era uno psicologo acuto e scaltro. I sospetti, i timori che lei nutriva per lui, lui li nutriva per lei. Avventurieri entrambi, pur se con aspirazioni diverse (più ideali quelle di Alessandro, più venali quelle di Giovanna), si fiutarono, si pesarono, e ciascuno dei due credette di aver capito l’altro, e di poterne quindi prevedere e neutralizzare le mosse.
Quante volte successivamente si videro, e dove, e con chi, lo ignoriamo. Se, comunque, ebbero altre occasioni d’incontrarsi, il loro atteggiamento esteriore non dovette esser molto diverso da quello assunto la sera, a cena, in casa di Giovanna, dove Cagliostro l’aveva fatta da mattatore.
Fu una delle rare uscite di Alessandro, che preferiva starsene nel suo studio fra i libri esoterici, gli attrezzi massonici, le storte, i crogioli, gli alambicchi, solo o in compagnia di pochi, fidati amici. Primo fra tutti Rohan, che a Parigi, come a Saverne, godeva del privilegio di assistere a tutti gli esperimenti magici.
Anche qui Luigi aveva il compito, anzi l’onore, di tener accesi i camini e di porgere, spostare, deporre gli innumerevoli ferri del mestiere del mago, che comprendevano, fra l’altro, un monumentale ibis, uccello sacro agli egiziani, imbalsamato, un coccodrillo impagliato, un bue Api in bronzo, scarabei, vampiri, gufi e uno scheletro umano, messo lì, forse, più per ostentazione che per utilità.
Cagliostro era così geloso di questo locale (nello stesso tempo pensatoio, laboratorio alchimistico e officina massonica), che neppure Serafina poteva varcarne la soglia senza permesso. Lo considerava, e non a torto, suo regno esclusivo, mentre nel resto della casa, un grazioso palazzetto, chi comandava era la moglie, che aveva a servizio un cuoco, un maggiordomo e un certo numero di valletti e lacchè.
L’abitazione del mago diventò subito meta di pellegrinaggi, come a Strasburgo e nelle altre città europee dove, per periodi più o meno lunghi, Alessandro aveva soggiornato. Migliaia di persone chiedevano di essere ricevute, visitate, guarite, o istruite in quel rito egiziano di cui tutta la città parlava.
Cagliostro non si limitava a far adepti fra gli uomini ma, attraverso Serafina, Regina di Saba, anche fra le donne. No-vità assoluta nel mondo dei liberi muratori, chiuso al proselitismo femminile.
A Parigi – abbiamo visto – il Gran Cofto sperava, o forse sognava, di unificare le logge e di piegarle al proprio magistero. Speranza che naufragò, sogno che svanì perché il vertice della massoneria, quello che davvero contava, rappresentato da principi del sangue e potentati finanziari, non si sarebbe mai sottomesso a un avventuriero, per quanto intraprendente e celebre, di cui, fra l’altro, non si conoscevano bene né le generalità né il passato.
Ma le manovre di Alessandro fallirono anche per altri motivi. L’indiscrezione, infatti, e la presunzione con cui le condusse gli alienarono le simpatie e gli appoggi dei “fratelli” non aderenti al suo rito.
La conseguenza sarà che, nel momento del bisogno, nessuno prenderà le sue difese, né lo soccorrerà.

La donna della Provvidenza

Cagliostro e la Valois, dopo il primo incontro a casa di lei, svoltosi all’insegna della più espansiva cordialità, avevano cominciato a nutrire una forte reciproca diffidenza, pur evitando di manifestarla. Ognuno temeva che l’altro lo mettesse in cattiva luce agli occhi dell’ansioso Rohan.
Giovanna non perdeva occasione per criticare, senza averne l’aria, ma con sottile perfidia, il mago, sollevando dubbi sui suoi poteri di taumaturgo e occultista. Alessandro, da parte sua, non nascondeva perplessità sui burrascosi trascorsi di una donna sempre alla ricerca di denaro. Gli sembrava un’astuta bugiarda, e anche il marito non gli piaceva. C’era qualcosa di poco chiaro, quasi di torbido, nella loro vita.
Ma di tutto questo col cardinale non parlava mai, o solo en passant. E per almeno due motivi. Primo: sapeva quanto Luigi tenesse a Giovanna (dubitava forse anche lui della platonicità del loro rapporto) e non voleva dargli un dispiacere. Secondo: la de la Motte, venuta a conoscenza delle critiche mossele dal mago, avrebbe potuto (anzi, lo avrebbe certamente fatto) vendicarsi, diffamandolo o calunniandolo.
È vero: per Rohan, Cagliostro era al di sopra di ogni sospetto. Ma è altrettanto vero che la contessa, nell’arte d’insinuarsi, non aveva rivali. Se Luigi avesse preso per buona anche solo una sua parola, ciò avrebbe profondamente ferito Alessandro, che doveva dunque procedere coi piedi di piombo, meditare ogni mossa. Era una guerra da combattere nelle retrovie, esponendosi quanto bastava per impedire al nemico di andare oltre certi limiti.
Vediamo, a questo punto, che cosa scrivevano il segretario di Giovanna e quello di Rohan sui rapporti fra il mago e la contessa.
Secondo l’ineffabile Rétaux de Villette, «i coniugi Cagliostro, in casa dei quali il cardinale si recava almeno una volta al giorno, avevano fatto relegare in secondo piano la de la Motte. Volendo costei esser l’unica a possedere le confidenze di Sua Eminenza, gli parlò sfavorevolmente del siciliano e, soprattutto, di sua moglie. Ma, non essendo state bene accolte dal principe le sue lagnanze, si sforzò di nascondere il dispetto sotto l’apparenza dell’interessamento e dell’amicizia. Moltiplicò le attenzioni per conservare la fiducia di Luigi, e agi così bene che l’intrigo fu di breve durata».
«Cagliostro capì subito che, per avere il grande elemosiniere dalla sua, doveva adulare Giovanna, che ne era diventata la confidente. Poiché Rohan insisteva affinché lui mostrasse attenzioni per la sua ultima conquista – il principe e la Valois passavano insieme ore e ore nel salottino delle scimmie – accettò di recarsi a cena dalla dama, in rue Saint-Gilles, non molto lontano dal Palazzo del principe». (È l’incontro su cui abbiamo riferito).
E ora sentiamo la campana dell’abate Georgel: «La signora de la Motte reputava inadeguati i benefici ricevuti da Rohan; supponeva che sarebbero stati più abbondanti qualora Cagliostro, che possedeva la fiducia del cardinale e ne dirigeva per così dire le azioni, non lo avesse sconsigliato dal largheggiare a favore di lei. Non era che un semplice sospetto, ma bastò per farle concepire una grande antipatia nei confronti del mago. Tentò l’impossibile per perderlo nella stima del principe, ma, temendo di non riuscirvi, rinchiuse e nutrì nel proprio cuore mire di odio e vendetta, curando tenacemente l’occasione di farli scoppiare».
Come si vede, le testimonianze concordano sul proposito sia di Cagliostro che della Valois di combattersi senza darlo a vedere, facendo buon viso a cattivo gioco.
Per un certo periodo sembrarono addirittura collaborare. Quando infatti Giovanna seppe che Alessandro aveva bisogno di una ragazza nata sotto il segno del Capricorno, bionda, occhi azzurri, vergine e sensibile, da usare come medium nei suoi esperimenti, gli offrì la propria nipote, figlia della sorella di Nicolao.
Maria Giovanna de la Tour, venuta a Parigi con la madre nel 1783, aveva quindici anni, un’aria provinciale e candida, un aspetto insieme acerbo e dolce. Al mago bastò un’occhiata per capire ch’era la veggente ideale: gli spiriti avrebbero sicuramente risposto alle invocazioni.
La giovane tradiva entusiasmo e impazienza mentre la madre fu addirittura «sul punto di morire di gioia, credendo che i tesori di Menfi e della grande città dell’Africa interna stessero per ricadere sulla sua famiglia, cui sarebbero stati enormemente utili». Il cardinale era al settimo cielo: vedere finalmente collaborare Alessandro e Giovanna sotto lo stesso tetto – il suo – gli sembrava un sogno.
Prima d’iniziare i lavori, il mago volle assicurarsi che la de la Tour possedesse i requisiti per far da tramite fra lui e l’aldilà. La de la Motte, è vero, se n’era fatta garante, ma un riscontro diretto s’imponeva. Prese così a interrogare la ragazza.
Alla prima domanda, sulla sua purezza, condicio sine qua non per effettuare l’esperimento, la giovane rispose di essere immacolata, al che Cagliostro disse: «Sta bene: saprò subito se è vero. Raccomandatevi a Dio e, con la vostra innocenza, mettetevi dietro questo paravento, chiudete gli occhi e desiderate mentalmente ciò che vi piacerebbe vedere. Se siete casta, lo vedrete; se no, non vedrete nulla».
A questo punto – faceva parte della magica cerimonia – Alessandro si mise a gesticolare e a pronunciare frasi incomprensibili, rivolte ai sovrannaturali interlocutori. Quindi, fissando negli occhi la ragazza, incuriosita e sorpresa da tanta messinscena, le ordinò: «Battete un colpo a terra e ditemi se vedete qu...

Indice dei contenuti

  1. Copertura
  2. Titolo Pagina
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Dedica
  6. PARTE PRIMA – LO SFONDO
  7. PARTE SECONDA -I PROTAGONISTI
  8. PARTE TERZA – L’INTRIGO
  9. Cronologia
  10. Bibliografia