Storia delle destre nell'Italia Repubblicana
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Storia delle destre nell'Italia Repubblicana

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Per molti decenni il settore destro del sistema politico repubblicano è stato sostanzialmente ignorato dagli storici. Sia perché non è facile da studiare, sia perché gli studiosi erano più interessati ad analizzare quegli sforzi progressisti di trasformazione del paese rispetto ai quali la destra rappresentava soprattutto un elemento di freno, un ostacolo da superare. Anche per questo gli studi sulla vicenda politica repubblicana hanno in genere trattato la destra come un unico soggetto, un insieme indifferenziato le cui articolazioni interne erano o inesistenti o irrilevanti. Negli ultimi due decenni questo quadro è mutato in profondità. La galassia delle destre nell'Italia repubblicana è stata esaminata in maniera più approfondita e si è rivelata molto più articolata di quanto non si pensasse, tanto da rendere impossibile parlare di "destra" – "destre" piuttosto, al plurale, molto differenti l'una dall'altra e anzi spesso duramente contrapposte l'una all'altra. Questo libro raccoglie saggi di alcuni fra i principali esponenti della nuova stagione di studi e ha l'ambizione di dar pienamente conto, con scritti agili e interpretativi accompagnati da un apparato bibliografico essenziale, di come fossero formate e di come siano evolute nel tempo le destre italiane dal 1945 a oggi.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788849843002

VERA CAPPERUCCI

La «destra» democristiana

1. QUESTIONI METODOLOGICHE E APPROCCI STORIOGRAFICI

La storia della Democrazia cristiana (Dc), come anche la sua profonda sovrapposizione con le evoluzioni del sistema repubblicano, rappresenta uno dei campi di ricerca maggiormente indagati dalla storiografia. L’assoluta centralità politica conquistata dal partito dei cattolici subito dopo la Seconda guerra mondiale, e conservata per circa cinquant’anni fino al crollo dei primi anni Novanta, si è tradotta inevitabilmente in una moltitudine di percorsi di studio volti a rintracciare in primo luogo le ragioni del successo democristiano e, in secondo luogo, le cause che avrebbero determinato il tramonto di quella esperienza politica. Ricostruire le complesse vicende che hanno segnato il lungo protagonismo politico dei cattolici in Italia significa, dunque, fare i conti con una eterogeneità di contributi e di interpretazioni che riflettono non soltanto le sensibilità degli studiosi che con quei temi si sono confrontati, ma la pluralità stessa di prospettive che possono caratterizzare l’analisi di un partito politico.
All’interno di questa cornice tutt’altro che lineare è possibile, tuttavia, tentare una semplificazione delle letture storiografiche prevalenti raggruppandole in due grandi filoni di ricerca: il primo comprende quelle che chiameremo le interpretazioni «sistemiche» della storia della Democrazia cristiana; il secondo le interpretazioni «partitiche» [v. Capperucci 2002]. Si tratta di una distinzione che, pur nella evidente semplificazione, risulta di fondamentale importanza per definire l’insieme delle premesse metodologiche utili a impostare un discorso sulla natura, sull’origine e sulla fisionomia di una «destra democristiana».
Per quanto riguarda le analisi sistemiche, quelle per lo più orientate a indagare il rapporto della Dc con il sistema politico italiano, un primo elemento da rilevare è il forte condizionamento esercitato, almeno fino alla fine degli anni Novanta, da vincoli ideologici e sensibilità culturali che si sarebbero tradotti in letture spesso parziali e «strumentali» della storia politica democristiana. Questa tendenza avrebbe contraddistinto non soltanto la storiografia «esterna» al partito, di matrice per lo più comunista, socialista o azionista, orientata a delegittimare il ruolo della Dc nella stagione repubblicana ma, con intenti chiaramente opposti, anche gli storici e gli intellettuali «interni», appartenenti cioè ad aree culturali più contigue a quella democristiana.
Non deve, dunque, meravigliare che il confronto storiografico sia avvenuto non di rado intorno a una serie di temi mutuati dallo scontro politico e che abbia finito per ricalcarne i toni. A questo proposito emblematica è, ad esempio, la costante attenzione riservata al rapporto tra la Democrazia cristiana e gli Stati Uniti: mentre le analisi «esterne» avrebbero mirato a denunciare la forte dipendenza, o subalternità, del progetto democristiano alle direttive provenienti dal governo americano in cambio di tutela internazionale e copertura finanziaria, gli «interni» avrebbero esaltato la capacità del partito, e dei governi a guida democristiana, di ritessere un rapporto di fiducia con gli Stati Uniti al fine di restituire credibilità all’Italia e, soprattutto, attirare investimenti esteri necessari a risollevare le sorti dell’economia nazionale. Un analogo discorso può essere fatto a proposito delle relazioni intrattenute dalla Dc con i cosiddetti poteri economici forti, per sottolineare il condizionamento che essi avrebbero esercitato sul partito o, al contrario, per insistere sulla conquista del consenso dei «detentori del capitale», pubblici o privati, indispensabile a sostenere una politica di investimenti e di sviluppo. Non meno ambigua risulta poi l’individuazione del referente sociale «privilegiato» della Democrazia cristiana. Senza entrare nel dettaglio di un argomento piuttosto controverso già nell’uso delle categorie concettuali, se il riferimento alla borghesia e ai ceti medi avrebbe indotto gli «esterni» a criticare il carattere «classista» del progetto democristiano, la negazione di ogni identificazione con una specifica classe sociale avrebbe consentito agli «interni» di insistere sulla originaria vocazione pluralista della politica democristiana e sul suo carattere nazionale e antitotalitario.
Uno degli aspetti su cui più insistenti sono state, e continuano a essere, le critiche così come i consensi è rappresentato tuttavia dal rapporto con la Chiesa e con il mondo cattolico. Si tratta, come noto, di un nodo della storia democristiana tra i più complessi e dibattuti, che non ha mancato di sollevare accesi confronti all’interno dello stesso partito. Anche in questo caso non sorprende che la storiografia abbia in qualche modo recuperato le ambiguità di quella relazione e le abbia tradotte in analisi fortemente antitetiche: mentre gli «esterni» avrebbero denunciato la subalternità alla volontà e alle indicazioni della Santa Sede, fino al punto di considerare la Dc un partito che derivava la propria legittimazione da uno Stato straniero, e per di più ostile alla tradizione nazionale e unitaria, la storiografia «interna» avrebbe spesso proposto una ricostruzione più articolata di quella relazione, valorizzando la laicità del progetto democristiano, la capacità di interagire su di un piano di parità con le istituzioni ecclesiastiche o richiamando l’attenzione sull’opportunità di ampliare il campo di studio alla più variegata realtà del «mondo cattolico» e della «nazione cattolica».
Accanto all’approccio sistemico, sia «esterno» che «interno», si sarebbe poi progressivamente affermato, grazie anche al perfezionamento degli strumenti di indagine storica, un filone di ricerca nuovo, quello che abbiamo definito «partitico», orientato per lo più a studiare la Dc attraverso una dettagliata ricostruzione delle sue dinamiche interne. L’attenzione sarebbe stata, in questo caso, per lo più concentrata sul modello di partito politico, sugli aspetti organizzativi e strutturali, sui rapporti di forza tra i diversi gruppi e dei singoli gruppi con i referenti esterni, sulle relazioni tra la variegata cultura politica dei cattolici e la sua traduzione in un unico progetto partitico. Queste analisi, sviluppate a cavallo della storia politica, della scienza politica e della storia delle idee, avrebbero restituito un ritratto particolarmente articolato della Democrazia cristiana: un partito «federazione», segnato dalla convivenza di differenti istanze ideologiche, politiche e programmatiche e caratterizzato da una forte dialettica interna che, nel corso delle diverse stagioni della storia repubblicana, avrebbe assunto tratti sempre più articolati e strutturati fino a divenire un elemento distintivo della fisionomia del partito dei cattolici.
La lettura combinata dei due approcci, quello sistemico e quello partitico, consente, come anticipato, di cogliere alcune peculiarità proprie della storiografia sulla Dc utili a fissare il punto di partenza di una ricostruzione della presenza di un’area di «destra» nelle file del partito. In entrambi i casi, e nonostante la diversità dei punti di vista, infatti, il prevalere sul piano della cultura politica, come anche su quello della cultura «diffusa», di alcuni orientamenti rispetto ad altri avrebbe inevitabilmente finito per risultare fortemente condizionante rispetto al tema oggetto di questo intervento. Molto più semplicemente: gli studi sulla Dc sono rimasti a lungo confinati all’interno di una griglia analitica costruita sulla base di istanze di legittimazione, o di delegittimazione, di un sistema e, di conseguenza, destinate a incidere sulla direzione stessa delle interpretazioni storiche.
Per quanto riguarda gli studi «sistemici» la centralità del riferimento alla resistenza nella fondazione dello Stato repubblicano, la totale rottura con il fascismo e il prefascismo, il legame tra l’antifascismo e la Costituzione, la definizione degli equilibri tra le forze politiche, avrebbero dettato i confini culturali all’interno dei quali si sarebbe mossa non soltanto la storiografia «esterna» ma, in qualche misura, anche quella «interna».
Si tratta di un passaggio di non facile semplificazione le cui dinamiche Giovanni Orsina ha bene descritto in un suo recente saggio dedicato all’«alta cultura» negli anni Cinquanta e Sessanta [v. Orsina 2005].
L’egemonia, sul piano culturale, della versione «progressista» dell’antifascismo e della resistenza, valori ritenuti fondanti nella legittimazione della repubblica e dunque inviolabili, avrebbe prodotto due esiti: in primo luogo avrebbe creato le condizioni perché nelle interpretazioni «sistemiche» della storia della Dc le letture «esterne» avessero la meglio sulle letture «interne». Questo spiega la ragione per cui l’azione del mondo cattolico e della Democrazia cristiana sia stata a lungo ridotta a quella del «braccio secolare» del capitale e delle istituzioni ecclesiastiche, o all’espressione di vocazioni moderate o reazionarie di classi sociali subalterne che non avrebbero avuto capacità culturale e ideologica autonoma per emanciparsi [v. Ruffilli 1980]. Più semplicemente sul piano culturale avrebbe finito per dominare l’immagine di una Dc artefice di un disegno conservatore e responsabile della sconfitta del progetto «rivoluzionario» di rifondazione dello Stato: di una Dc «appiattita» su posizioni di destra reazionaria, capitalistica, anticomunista, a tratti monarchica e certamente confessionale.
Su questo risultato, e veniamo così al secondo esito, avrebbero avuto un ruolo non marginale le scelte compiute dalla stessa storiografia «interna». La parabola politica della Dc descritta dagli storici «democristiani» o cattolici è stata ricostruita, infatti, rimanendo a lungo all’interno di quella medesima griglia intellettuale e culturale e utilizzando identiche categorie analitiche. Da questa scelta di campo è derivata non soltanto l’evidente debolezza della cultura democristiana, ma la totale emarginazione storiografica di alcuni temi che pure sarebbero appartenuti a una parte almeno del pensiero e della tradizione cattolici. Per essere più chiari: il riferimento a un comune sistema valoriale ha indotto a spostare il terreno di confronto tutto «a sinistra», tenendo fuori dal discorso pubblico, e dall’«alta cultura», categorie apparentemente delegittimate sul piano politico. La Democrazia cristiana ha finito per essere, dunque, per gli «interni» il partito della versione moderata della resistenza, dell’antifascismo privato dei suoi tratti rivoluzionari, della ricostruzione statale, della laicità dello Stato, della lotta al totalitarismo nelle sue versioni di destra e di sinistra, della stabilizzazione democratica e dell’allargamento delle basi dello Stato, ma sempre verso «sinistra».
Questo discorso ha riprodotto sul piano storiografico molte delle dinamiche che avrebbero caratterizzato, questa volta sul piano politico, anche le scelte di una parte consistente della classe dirigente democristiana. In qualche misura la direzione di marcia degli storici e dei politici è risultata esattamente coincidente. Dal centrismo in avanti, per citare solo uno dei tanti esempi possibili, la Dc avrebbe costruito le alleanze di governo guardando prevalentemente alla sua sinistra. Prima, negli anni Sessanta, aprendo al Partito socialista italiano di Pietro Nenni; poi, negli anni Settanta, avviando il dialogo e il «compromesso» con il Partito comunista italiano di Enrico Berlinguer, infine, nel lungo decennio degli anni Ottanta, mantenendo in piedi un pentapartito sempre più in agonia: come se la costruzione della democrazia e il suo rafforzamento, obiettivi centrali della politica democristiana, passassero esclusivamente attraverso il dialogo con una sola parte delle forze dell’arco costituzionale e l’esclusione di altre posizionate, in virtù di responsabilità passate, al di fuori dall’area della legittimità tanto culturale quanto politica.
Una ulteriore, e forse più significativa, conferma della tendenza a dare risposte politiche e culturali utilizzando temi, linguaggi, categorie concettuali «di sinistra» viene proprio dalla strutturazione dei rapporti di forza interni al partito: la lettura del materiale conservato negli archivi della Dc mostra come l’equilibrio interno si sia sempre costruito attraverso un dialogo che avrebbe avuto come co-protagoniste da un lato le diverse maggioranze che si sarebbero succedute alla guida del partito e, dall’altro, le correnti schierate alla loro sinistra. La geografia interna della Dc cioè, pur nelle continue variazioni, avrebbe ricalcato sempre lo stesso schema: una corrente maggioritaria dai confini larghi e dalla composizione variabile, molto forte politicamente e piuttosto debole culturalmente; delle sinistre interne, forti culturalmente rispetto al resto del partito e più deboli politicamente, e una quasi totale assenza di richiami a ipotetiche correnti o tendenze «di destra». Una destra debole, dunque, tanto sul piano politico quanto su quello culturale perché storicamente delegittimata e, dunque, espulsa dalla dinamica politica così come dalla dinamica culturale.
Su questi passaggi, chiaramente, si avrà modo di tornare in maniera più diffusa nelle pagine che seguono. Un ultimo aspetto deve, però, essere chiarito per definire il quadro dei riferimenti concettuali di un discorso sulla «destra» democristiana. L’insieme delle considerazioni fatte finora avrebbe inciso anche su una parte consistente di quel filone di studi che abbiamo definito «partitico». Basterà pensare, ad esempio, alla ricchissima e documentata ricostruzione della storia dei gruppi e delle correnti della sinistra democristiana, dossettiani e gronchiani innanzitutto, alla più circoscritta storiografia sulle correnti «di maggioranza» (se molto esiste ormai sulla stagione degasperiana, restano ancora quasi completamente da indagare le stagioni del «doroteismo» o del «moroteismo»), e alla quasi totale assenza di riferimenti alla «destra» democristiana. O ancora alla profonda differenza quantitativa e qualitativa tra i contributi dedicati all’approfondimento della cultura politica delle sinistre democristiane rispetto a quelli dedicati alla destra, solo marginalmente al centro dell’attenzione degli studiosi, come nel caso degli importanti lavori di Giovanni Tassani e, nella maggior parte dei casi, considerate invece come mere espressioni, o riflessi, della molto più consistente e definita area della «destra cattolica» che, tuttavia, è cosa ben diversa dalla «destra democristiana».

2. QUALE «DESTRA DEMOCRISTIANA»?

Da quanto detto finora si potrebbe dunque concludere, non senza qualche intento provocatorio, che un discorso sulla destra democristiana possa prendere le mosse da tre ipotesi: una destra democristiana è esistita nella versione che ne hanno dato le forze progressiste di sinistra, sia interne che esterne; una destra democristiana non è mai esistita; una destra democristiana è esistita ma la sua identificazione risulta molto più complessa e meno lineare rispetto a quella di altre tendenze, correnti o gruppi interni al partito.
Nel primo caso si tratterebbe di andare a indagare non soltanto la presenza di una specifica area culturale, politica o sociale, ma l’intera storia del partito, sposando una definizione «larga», e ideologicamente formulata, del riferimento alla «destra» come categoria interpretativa: tracciare la parabola politica della Dc, e non solo quella di una delle sue componenti interne, equivarrebbe a tracciare la parabola politica di una formazione «di destra». Nel secondo caso, invece, verrebbe meno proprio l’oggetto di studio: partendo dallo stesso significato attribuito al concetto di «destra», non si potrebbe che concludere che la Democrazia cristiana non abbia mai avuto al suo interno componenti, o parti politiche strutturate e organizzate, di «destra» e che la sua vocazione sia stata quella di collocarsi al centro delle dinamiche del sistema in una posizione di equidistanza tanto dalla «destra» quanto dalla «sinistra». Entrambe le prospettive, tuttavia, risulterebbero parziali e prive di fondamento storico: risponderebbero a quella accennata interpretazione ideologica della politica italiana del secondo dopoguerra che impedisce di comprendere le ragioni profonde del successo di un progetto basato sulla convivenza e sulla mediazione di istanze, interessi e riferimenti culturali eterogenei e articolati che avrebbero definito l’identità stessa del «partito dei cattolici» [v. Capperucci 2010].
Proprio per cogliere le peculiarità dell’esperienza storica della Dc è possibile, allora, provare a uscire da schematismi rigidi e da griglie interpretative superate, che poco si adattano a descrivere fenomeni più complessi, e isolare una serie di elementi che consentano di capire quale possa essere la fisionomia di una «destra» democristiana e quale posizione essa vada a occupare, nelle diverse stagioni storiche, nel quadro dei rapporti di forza interni al partito dei cattolici.
Il primo di questi elementi può essere ricavato direttamente dai tratti originari della proposta politica democristiana. Fin dal momento della fondazione, tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943, sarebbe infatti apparsa chiara non soltanto la natura eterogenea delle componenti confluite nella nascente Democrazia cristiana, ma la stessa flessibilità ideologica e programmatica garantita dal riferimento al cristianesimo. Il partito sarebbe nato, cioè, dalla convergenza di una pluralità di istanze e tendenze tenute insieme da un sistema ideale «a maglie larghe» che ne avrebbe reso possibile la convivenza [v. Malgeri 1987; Giovagnoli 1996].
Da queste premesse sarebbero derivate due costanti della fisionomia e della storia democristiane: in primo luogo il tratto fondamentale della composizione della classe dirigente democristiana, tutt’altro che monolitica al suo interno [v. Giovagnoli 1982; Moro 1979]; in secondo luogo il fatto che la difesa dell’unità dei cattolici, nient’affatto scontata nelle premesse e costruita poi sulla base di esigenze politiche e di vincoli esterni variabili, diventasse lo strumento attraverso il quale rispettare la dialettica e conservare la centralità nel sistema. Sotto l’ombrello dell’unità la Dc avrebbe potuto da un lato mantenere il pluralismo e, dall’altro, realizzare la sua vocazione nazionale, occupando una posizione centrale all’interno dello schieramento partitico. In questo modo i tre elementi caratteristici della strategia democristiana sarebbero risultati legati da un reciproco rapporto di causa-effetto: pluralismo, unità e centralità consentivano alla Dc di costruire prima, di consolidare poi, quell’immagine di «partito italiano», capace di recepire le «molteplici e contraddittorie tensioni di un Paese costantemente incerto sulla propria identità nazionale e sulla propria unità interna» [v. Giovagnoli 1996, p. 7], conferendo a queste tensioni forma e rappresentanza organica. In questo lavoro di recezione, armonizzazione e sintesi stava, dunque, l’essenza del riferimento alla mediazione e alla centralità.
Proprio il richiamo all...

Indice dei contenuti

  1. Storia delle destre nell’Italia repubblicana
  2. Colophon
  3. Indice
  4. Introduzione di Giovanni Orsina
  5. GAETANO QUAGLIARIELLO
  6. VERA CAPPERUCCI
  7. GIUSEPPE PARLATO
  8. GERARDO NICOLOSI
  9. ANDREA UNGARI
  10. EUGENIO CAPOZZI
  11. GUIDO PANVINI
  12. LUCIA BONFRESCHI
  13. GIOVANNI ORSINA
  14. Il Cavaliere, la destra e il popolo. Per una comprensione storica del berlusconismo