Passeggiata per la Calabria
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Passeggiata per la Calabria

  1. 166 pagine
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Passeggiata per la Calabria

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La relazione del viaggio in Calabria di Justus Tommasini si caratterizza per l'attenta rappresentazione del paesaggio inteso come un insieme di dati geografici e realtà antropica. Un paesaggio, che conserva ormai solo nei toponimi e in qualche resto di colonna dorica, come un'eco lontana, la memoria della Magna Grecia. La storia sembra del tutto assente e quando compare - lo sbarco di Murat a Pizzo - si consuma velocemente su una spiaggia e in un antico castello a strapiombo sul mare. è una Calabria primigenia quella che questo viaggiatore tedesco ci presenta, fatta di montagne, tante, e di piane, poche, a volte lussureggianti di piante mediterranee - querce, mirti, ulivi, aranci, agavi, fichi d'India - più spesso desolate se non paludose, ma anche di mare. Un mare i cui colori affascinano il viandante venuto dal nord: verde chiaro sulla riva, scuro nei punti più profondi, purpureo in mare aperto. E la gente di Calabria? Un popolo robusto anche se non di elevati sentimenti, oggetto di sfruttamento da parte di dominazioni straniere succedutesi ininterrottamente nel tempo. «La libertà - è la conclusione non priva di provocazione di questo viaggiatore tedesco del primo Ottocento - alberga solo fra i briganti sulle montagne inaccessibili. E se anche questa libertà viene ora male usata a danno della società, pure, fra questi briganti di strada, vi sono uomini ai quali, in un altro contesto, non sarebbero mancati titoli ed onorificenze».

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788849830446

Fondaco di Palizzi, 1 ottobre

Stamani ho lasciato Reggio con un tempo bellissimo. Per un momento sono stato titubante se andare o meno a Messina; ho preso però subito la decisione di rinunciare a questo piacere per non perdere le belle giornate che è lecito attendersi ora che è cessato il maltempo.
Al principio la strada è straordinariamente gradevole: aranceti e limoneti, vigneti, palme e, lungo la strada, una sequela ininterrotta di case con pergolati davanti l’uscio. I monti ricoperti di vegetazione e dai profili pittoreschi si ergono a terrazze l’uno dietro l’altro. Dall’altra parte si estende la Sicilia con i profili meno pittoreschi delle sue montagne. Nello Stretto le navi non mancano quasi mai. A poco a poco le coltivazioni diradano. Le fiumare tagliano la strada mentre i monti si fanno più prossimi al mare. Il paesaggio conserva tutta la sua bellezza. Ho avuto anche modo di assistere a un fenomeno di Fata Morgana con Messina che si specchiava nel mare bellissima e nitidissima1.
Nei pressi di capo Pellaro le montagne si abbassano protendendosi verso il mare. Mentre in alto su rupi scoscese si trova il paesino di Motta San Giovanni, in basso scorgi campi con alberi da frutta e siepi di agavi e fichi d’India. A poco a poco le montagne diventano sempre più brulle e tutta la regione acquista un aspetto più deserto sino a quando nei pressi di Capo dell’Armi, l’antico promontorio di Leucopetra, la striscia pianeggiante cessa del tutto e le montagne, brutte e prive di vegetazione si protendono sino al mare. In cima a questi promontori si trovano torri di guardia che vengono utilizzate tuttora per il telegrafo ma che per il resto sono del tutto in rovina. Capo dell’Armi finisce in mare dando luogo a rocce ripide, gialle, erose dalle acque. La strada passa giù, in basso, molto stretta e sabbiosa, ma che, col mare agitato e con le onde che s’infrangono sui frammenti sparsi di roccia, offre un bello spettacolo. Solo che allora la strada è un po’ difficile da percorrere e può capitarti di dovere camminare lungo il dorso della montagna. Poi le montagne si appiattiscono e diventano sempre più brulle; nella piana, intanto, s’incontrano qua e là case isolate e di tanto in tanto si scorgono dei campi coltivati. La strada scorre come al solito lungo la riva sabbiosa del mare allo stato brado senza che vi si avverta minimamente la mano dell’uomo, incrociata dalle fiumare. Si procede tenendosi sulla sinistra. Messina è già scomparsa da un pezzo dalla vista e in breve, quasi in linea retta, ti ritrovi alle spalle l’Etna. Su una rupe aguzza dal profilo particolarissimo si trova il misero borgo di Pentadattilo. Subito dopo nella piana coltivata alla bene e meglio, sulla destra, sul mare, t’imbatti in una chiesa isolata mentre sulla sinistra, sulla strada, scorgi qualche casa. Subito dopo ti ritrovi davanti Melito, una cittadina che si trova sulle pendici della montagna con la strada che passa in basso.
Dopo Melito per un po’ continua lo stesso tipo di coltivazione; successivamente sia i monti che la piana risicata diventano spogli e deserti. Le montagne, però, che si alzano a catena le une dietro le altre, hanno un profilo abbastanza gradevole. Dai monti vengono giù in gran numero torrenti dall’alveo molto ampio ricoperti spesso di oleandri. Essi sfociano raramente nel mare e finiscono quasi sempre in una palude che con le sue esalazioni rende malsana la regione. Ben presto su una rupe, a sinistra, si scorge un paesino, forse un antico castello, e poco più avanti, su una montagna ripida, a un’altezza considerevole l’importante città di Bova saldamente costruita in una posizione pittoresca ma di sicuro anche molto scomoda. Qui nella piana il paesaggio, dapprima un po’ meno deserto, ridiventa poi ben presto quello di prima. Le montagne brulle si protendono a volte a perpendicolo sul mare e resta solo poco spazio per la strada.
Alloggio come un essere umano peggio non potrebbe: in un fondaco, vale a dire in un luogo destinato allo stallaggio delle bestie. In quest’angolo dell’estremo sud dell’Italia non mi trovo per niente bene. Dal guardacoste ho trovato del pane cattivo e dell’ottimo vino, e nient’altro. Un baroncino2 che sta andando da Reggio a Gerace e passa anche lui la notte in questo posto mi ha invitato a mangiare con lui un piatto di maccheroni. Ovviamente non mi sono lasciato pregare una seconda volta.
Il guardacoste comunque non se la deve passar poi tanto male anche perché, se è vero che dal governo riceve solo due carlini, venti kreuzer di moneta convenzionale, al giorno, col contrabbando riesce però a integrare le sue entrate. I deputati3, vale a dire gli ufficiali sanitari e gli addetti al dazio, risiedono in paesi che distano sempre per lo meno qualche miglia, per cui sarebbe troppo complicato mandare su qualcuno ogni volta che una nave vuole rifornirsi magari solo di acqua. È allora il guardacoste che dà l’autorizzazione e in posti così appartati c’è sempre la possibilità di fare scaricare ed entrare nel paese della merce senza scomodare il dazio. Un tempo capitava spesso che i pirati barbareschi facessero le loro incursioni, ospiti sgraditi, e requisissero uomini e bestie. La stessa moglie del guardacoste, rapita dai pirati all’età di tredici anni, era rimasta in schiavitù a Tripoli per diversi anni. Eppure, parlando di questo periodo della sua vita, non sembrava averne conservato un cattivo ricordo: ebbi anzi l’impressione che avesse apprezzato non poco quell’esperienza forzata.
È strano che la regione selvaggia e deserta nella quale mi trovo ora un tempo sia stata la patria di Prassitele nativo di Amygdalia già in precedenza denominata Perypolis. Barrio sostiene che la località si chiama ora (cioè nel XVI secolo) Pagliapoli. Non trovo però questa località nella mia cartina a meno che non si tratti di quel paese mezzo distrutto che ha l’aspetto di un castello che non è indicato e nelle cui vicinanze scorre un torrente di una certa importanza, probabilmente l’antico Alece (Halex), sulle cui sponde si trovava Amygdalia.

Portigliola, 2 ottobre

Quando viaggio mi succede più o meno quello che capitava a Mignon1: mi interessa molto se si va verso sud o verso nord e la seconda eventualità provoca in me sempre una sensazione sgradevole. Oggi ho avvertito questa sensazione nei pressi di Capo Spartivento quando, superata la punta più meridionale d’Italia, ho ripreso la direzione del nord e subito dopo dal trentasettesimo sono passato al trentottesimo parallelo. Mi consola il fatto che qui non c’è molto da vedere e perciò è con un certo piacere che penso a Taranto che si trova più a nord.
Sino a Capo Spartivento il paesaggio non differisce per nulla da quello che ho visto già ieri: ai lati, montagne di argilla gialla di una sgradevolezza spaventosa; in basso, lungo il mare, una striscia di terreno pianeggiante sabbioso coltivato solo a tratti e percorso da torrenti con le foci intasate da banchi di sabbia e che perciò si possono guadare solo in quel punto. Delle montagne più alte che si trovano a ridosso si vede poco. Appena ci si è lasciati alle spalle Capo Spartivento e si riprende la strada in direzione nord, ecco che si presentano al nostro sguardo i monti dietro Roccella verso Punta Stilo e subito dopo, a sinistra, su una montagna scoscesa, il piccolo centro di Brancaleone e qualche casa lungo la riva. Quindi, pure a sinistra, a ridosso dei monti, Bruzzano mentre il promontorio che prende il nome da questa località sporge verso il mare dando origine a una scogliera. A un certo punto la strada non procede più in basso ma è scavata, a una certa altezza, nella roccia. Da qui si apre una visuale sulla grande piana di Locri che si estende lungo il mare sino a Roccella ma che ha una larghezza di solo uno o due miglia. In questa piana, negli immediati pressi di Capo Bruzzano, si erge una montagna argillosa, isolata, vistosamente bianca e spoglia in cima alla quale si trova Bianco vecchio e, in basso, sulla strada, Bianco nuovo con campi coltivati prima quasi del tutto assenti. Comunque si fa ancora fatica ad andare a piedi a causa della sabbia profonda e dei torrenti da guadare.
Le montagne più distanti e più alte che si vedono di tanto in tanto sovrastare le montagne vicine prive di vegetazione e che puoi intravedere attraverso i dirupi non sono brulle come queste ultime, ma sono al contrario densamente coltivate e ospitano diversi centri abitati. Gli stessi profili dei dorsi delle montagne più elevate sono in genere molto pittoreschi. Solo la spiaggia ricorda il deserto ed è qui nella sabbia che debbo farmi strada tutto il santo giorno tanto che la cosa comincia a seccarmi e a diventare un tantino sgradevole. Dietro Bianco, sulla sinistra, nella campagna si scorgono le rovine di un paese medievale distrutto. Sono rimaste in piedi solo alcune opere murarie in cattivo stato. Inoltre sulle pendici delle montagne, a una certa altezza, si notano le cittadine di Bovalino e di Ardore. Sulla spiaggia di Bovalino ci si imbatte in una torre, in qualche casa e in fitte siepi di fichi d’India. Tutte queste località, nonostante la distanza dal mare, praticano sempre una qualche piccola attività commerciale, almeno un po’ di pesca, e hanno perciò sempre una loro spiaggia, la cosiddetta marina, dove si trova quasi sempre una torre con un guardacoste. A questo punto il paesaggio, fin qui del tutto brullo e deserto, migliora un po’ e, dopo aver guadato alcuni fiumi e aver raggiunto la torre di Gerace, diventa addirittura gradevole. La piana è coltivata piuttosto bene e sembra molto fertile specialmente nelle valli che si trovano fra le montagne che si trovano in primo piano e da cui provengono i torrenti. Queste valli sono circondate da montagne di media altezza, ricche di vegetazione, a ridosso delle quali si scorgono monti più alti e più scoscesi, fra i quali si distingue Monte Moleti con tre punte coniche. Sulle pendici dei monti in prima fila si trovano diversi centri abitati come Ciminà, Sant’Ilario e, a una certa altezza, su un pianoro di montagna dalle pendici scoscese, Gerace, e poi Agnana e Siderno e alcuni vecchi castelli con un mucchio di case isolate.
Per trovare una sistemazione per la notte avrei dovuto arrampicarmi per sei-sette miglia sino a Gerace, tanto dista Gerace dal mare. La cosa mi parve un po’ eccessiva per cui presi la strada per Portigliola, anche perché il giovane barone che avevo incontrato la sera prima presso il guardacoste mi aveva detto che il parroco di quella località era la persona più indicata per darmi delle informazioni sulle rovine dell’antica Locri. La località si trova all’incirca a quattro miglia all’interno, in una valle piuttosto gradevole ma che per il resto non ha nulla di particolare.
Incontrai il parroco che si stava recando in chiesa per il vespro e gli dissi che avevo necessità di trovare una sistemazione per la notte oltre che di recuperare delle informazioni sui resti classici. Rispose di poter esaudire entrambe le mie richieste. A questo punto dovetti fare l’esperienza di una delle cose sgradevoli che ti possono capitare quando alloggi presso un privato. Il mio ospite, senza minimamente preoccuparsi del fatto che venivo da una marcia lunga e faticosissima, e che quindi dovevo essere stanco e affamato, prima di concedermi la manna terrena, volle innanzi tutto allietarmi con la manna celeste e mi invitò a seguirlo in chiesa, cosa a cui io non potevo né volevo rifiutarmi. Dovetti perciò starmene inginocchiato per una buona mezz’ora sul pavimento freddo, cosa che, com’è naturale, mi fu doppiamente sgradita soprattutto perché il mio parroco parve accorgersi che non avevo grande dimestichezza col canto e con la preghiera e che quindi dovevo essere o una pecorella smarrita o quanto meno una pecorella rognosa del gregge spirituale. Non mi è mai capitato di assistere alle prediche interminabili che si tengono nella cappella della legazione del Campidoglio ma non credo che ci sia mai stato un frequentatore di quelle adunanze così poco devoto che ne abbia atteso la conclusione con più ardore di quanto non attendessi io ora la fine di quella funzione. Mi parve che la cosa durasse un’eternità; alla fine, però, venne la liberazione.
Nello studio del parroco trovai le Confessioni di sant’Agostino che avevo cercato tante volte invano di leggere, senza mai riuscire ad andare avanti nella lettura perché quel suo stile strascicato, untuoso, mi tediava troppo. Conoscevo comunque quel libro e cominciai a discuterne col buon parroco che, certo, si meravigliò non poco che sapessi qualcosa di sant’Agostino e che fossi addirittura in grado di leggere il latino. Troncò però ben presto la discussione sul padre della chiesa portandola sui resti classici di Locri, ma anche in questo caso non mi fu di grande conforto. Per cena c’erano maccaroni1 con sugo di acciughe e molluschi: un cibo nutriente e sostanzioso per chi viaggia a piedi.
Da queste parti hanno uno strano modo di dire che ho già sentito qualche volta altrove. Non esiste intanto un pranzo senza maccaroni. Quando li portano a tavola, ognuno spinge il proprio piatto verso la scodella coi maccaroni, immergendovi dentro la forchetta e portandosi i maccaroni nel proprio piatto. Per incitarti a prenderne di più adoperano l’espressione «Tirate!»2 usata anche in altre occasioni. Quando il parroco si accorse che prendevo solo pochi molluschi – questi nobili animaletti non mi sono mai piaciuti granché – rivolto verso di me, ripeteva: «Tirate, Don Giustino! Tirate!»3. E vedendo che le sue parole non producevano in me l’effetto desiderato, provvedeva lui stesso a versarmi nel piatto la metà dei molluschi per cui alla fine fui obbligato a mangiarli se non tutti almeno una buona parte.
È stata per me ieri una grande consolazione sentire che un viandante che stava andando da Gerace a Roccella è stato aggredito da tre uomini armati i quali, non trovandogli nulla addosso, gliele hanno date di santa ragione. Una bella prospettiva per chi domani dovrà fare proprio quella strada! Quando non riesco a trattenere i miei bollenti spiriti, c’è sempre qualcuno che mi dice che non devo avere avuto un’educazione sufficientemente severa e che da giovane non me ne devono aver date abbastanza. Ammesso e non concesso che le cose stiano così, troverei oltremodo spiacevole, lo confesso, dovere recuperare ora le botte che non mi hanno dato allora. Ma spero per il meglio.

Monasteruccio, 3 ottobre

Quando stamani, congedandomi dal mio parroco, gli stavo esprimendo la mia gratitudine e volevo stringergli la mano, egli la ritrasse e non mi accompagnò a visitare i resti classici come pure mi aveva mezzo promesso di fare: doveva avere sentito in me puzza di eretico.
Ripercorse le quattro miglia di ritorno alla torre di Gerace e ritrovatomi nel punto da cui ero partito ieri quando avevo lasciato la strada che stavo percorrendo, vale a dire la riva del mare, cominciai a cercare quel poco che restava dell’antica Locri. Lì vicino, a sinistra della torre, nei pressi di un fiumiciattolo si trovano resti di costruzioni medievali che del resto sono presenti in quantità in tutta la piana. Andando dalla torre dritti verso la montagna si nota un terrapieno sorto dalle macerie delle antiche mura su cui è cresciuta l’erba. In alcuni punti si possono ancora riconoscere le pietre e il posto dove si trovava una porta della città. Nella direzione della torre, parallelamente al mare, si può distinguere il muro, anche se non con la stessa chiarezza. I blocchi di cui risulta formato, sono lunghi tre-quattro piedi, larghi un piede e mezzo e alti poco meno. La torre costituiva l’angolo di sud-est della fortificazione. Nella zona occupata un tempo dalla fortificazione si nota un grande spiazzo rettangolare con un terreno rialzato che poggia su un fondamento in muratura in pessimo stato. Al centro fra i due lati, un po’ rivolto verso il lato più piccolo, si trova un quadrilatero rialzato poggiante anch’esso su una base in mattoni di non eccelsa fattura ma che ne costituiva il nucleo ricoperto all’esterno di un rivestimento in pietra da taglio. Sotto le rovine dell’antica città dei Volsci, Norba, nel Lazio, si trovano spiazzi analoghi rialzati provvisti di sostruzioni che non potevano servire ad altro che ...

Indice dei contenuti

  1. Copertura
  2. Titolo Pagina
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione di Teodoro Scamardi
  6. Rotonda, 19 settembre
  7. Castrovillari, 20 settembre
  8. Prima di Cosenza, 21 settembre
  9. Cosenza, 22 settembre
  10. Nicastro, 24 settembre
  11. Monteleone, 26 settembre
  12. Palmi, 27 settembre
  13. Reggio, 28 settembre
  14. Reggio, 29 settembre
  15. Reggio, 30 settembre
  16. Fondaco di Palizzi, 1 ottobre
  17. Portigliola, 2 ottobre
  18. Monasteruccio, 3 ottobre
  19. Squillace, 4 ottobre
  20. Catanzaro, 5 ottobre
  21. Crotone, 6 ottobre
  22. Crotone, 7 ottobre
  23. Cariati, 8 ottobre
  24. Marina di Corigliano, 9 ottobre
  25. Trebisacce, 10 ottobre
  26. Rocca Imperiale, 11 ottobre
  27. Taranto, 14 ottobre
  28. Appendice
  29. Note