Il liberalismo cattolico italiano
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Il liberalismo cattolico italiano

Dal Risorgimento ai nostri giorni

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Il liberalismo cattolico italiano

Dal Risorgimento ai nostri giorni

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Il messaggio cristiano libera l'uomo dall'idolatria: il cristiano non può attribuire assolutezza e perfezione a nessuna umana istituzione, a nessun evento storico. è, dunque, per decreto religioso che lo Stato non è tutto, non è l'Assoluto. Per il cristiano solo Dio è il Signore: Káysar non è Kýrios. E sia con la dissacrazione e relativizzazione del potere politico sia con il valore dato alla libera e responsabile coscienza di ogni persona, il cristianesimo ha creato, a livello politico, una pressione a volte travolgente sull'elemento mondano antitetico. Ed esattamente su di un breve tratto di questa storia, del periodo che dagli anni del nostro Risorgimento giunge ai nostri giorni, il presente libro intende richiamare l'attenzione, delineando le idee di fondo di figure quali: Taparelli d'Azeglio, Gioacchino Ventura, Raffaello Lambruschini, Vincenzo Gioberti, Antonio Rosmini, Alessandro Manzoni, Luigi Sturzo, Luigi Einaudi, Angelo Tosato. Pensatori italiani, spesso ignorati anche dal mondo cattolico, i quali costituiscono anelli preziosi della più ampia e grande tradizione del cattolicesimo liberale.

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Luigi Sturzo Difensore della libertà «per tutti e sempre»

Lo statalismo non risolve mai i problemi economici e per di più impoverisce le risorse nazionali; complica le attività individuali, non solo nella vita materiale e degli affari, ma anche nella vita dello spirito

1. Anni di formazione in Sicilia e a Roma

LUIGI STURZO NASCE A CALTAGIRONE IL 26 novembre 1871. La madre, Cate rina, era figlia di un medico. Il padre, Felice, barone di Aldobrando, aveva amministrato il comune di Caltagirone sino al 1870. Dal 1883 al 1886 Luigi è alunno del seminario di Acireale; successivamente, per due anni – 1886-1888 –, si trasferisce per motivi di salute nel semina rio di Noto; nel 1888 torna, come alunno esterno, nel seminario di Caltagirone e si prepara per l’esame di licenza liceale. Dopo gli studi teologici, nel maggio del 1894 viene ordinato sacerdote. Trasferitosi a Roma per proseguire i suoi studi presso l’Università Gregoriana, il giorno del sabato santo del 1895 don Luigi Sturzo, nel corso della benedizione delle case in un quartiere al centro di Roma, si rende conto della miseria in cui versano tante persone. È qui che matura la sua decisione di dedicarsi alla questione sociale. Tornato a Caltagirone, sostenuto dal suo vescovo monsignor Saverio Gerbino, fonda il primo comitato parrocchiale e una sezione operaia. Si laurea nel 1898 all’Università Gregoriana. E nello stesso anno dà vita a una federazione delle casse rurali della diocesi di Caltagirone. Professore nel seminario di Caltagirone, nel 1900, commenta i Principi di economia politica di Matteo Liberatore, che erano stati pubblicati nel 1899. Aveva intanto abbracciato l’idea per cui «senza capitali cessereb be quasi del tutto ogni produzione di ricchezza e i popoli continuereb bero a rimanere schiavi della miseria» (Gabriele De Rosa).

2. Per il ritorno dei cattolici nella vita politica

Persuaso della bontà del movimento di Romolo Murri, nel 1902 Sturzo guida i cattolici di Caltagirone alle elezioni amministrative: ottiene 7 seggi su 40. Nominato commissario prefettizio nel 1904, la vigilia di Natale del 1905 don Sturzo, in un discorso su I problemi della vita nazio nale dei cattolici, pensa già alla costituzione di un partito di ispirazione cristiana che sia in grado di riportare i cattolici all’interno della vita politica italiana. Nel 1906 pubblica Sintesi sociali, un insieme di saggi che si rifanno alle concezioni di Giuseppe Toniolo. E intanto crea asso ciazioni comunali di elettori cattolici nelle quali le decisioni dovevano venir prese nelle assemblee degli iscritti indipendentemente dalla autorità ecclesiastica. Lo scopo di Sturzo, sin dal 1897 – allorché cominciò a pubblicare il giornale «La Croce di Costantino» – era quello di ottenere per i cattolici «un loro progressivo, generale inserimento nella vita civile dello Stato italiano, secondo un programma di riforme che doveva basarsi sul decentramento amministrativo e sulle autono mie regionali (soprattutto per risolvere la grave crisi delle aree sottosviluppate meridionali)» (Arturo Colombo).
Favorevole alla guerra di Libia (1911), nel 1915 Sturzo viene eletto vice presidente dell’Associazione nazionale dei Comuni italiani. Durante la Prima guerra mondiale è segretario dell’Opera naziona le per gli orfani di guerra, una istituzione voluta dall’Azione cattolica. Riguardo alle ragioni «giustificative» del conflitto, Sturzo era persuaso che l’Intesa era dovuta entrare in guerra contro la Germania «per la libertà, per la giustizia, per la civiltà».

3. La fondazione del Partito Popolare

Verso la fine del mese di novembre del 1918 Sturzo riunisce a Roma, in Via dell’Umiltà 36, un gruppo di amici con l’intento di dar vita al nuovo partito di ispirazione cattolica. E il 18 gennaio del 1919, dall’albergo Santa Chiara di Roma, don Luigi Sturzo diffonde l’appello A tutti i liberi e forti. Con questo appello nasceva il Partito Popolare Italiano. In una riunione preparatoria del programma e dello Statuto del futu ro Partito popolare – riunione tenutasi il 17 dicembre del 1918 –, Sturzo, tra l’altro, faceva presente: «Se formiamo un partito al di fuori delle organizzazioni cattoliche, e senza alcuna specificazione religio sa, non per questo noi oggi ripieghiamo la nostra bandiera, noi solo vogliamo che la religione non venga compromessa nelle agitazioni politiche e ire di parte […]. Come Anteo toccando la terra centuplica va le sue forze nella lotta titanica, noi centuplichiamo la nostra attività politica, rifacendo il nostro partito agli ideali e alle attività religiose dell’azione cattolica». Ed ecco come lo stesso Sturzo ricorda i momen ti della fondazione del partito: «Nessuno dei quaranta presenti dimenticherà quella sera del dicembre 1918 in cui decidemmo la fon dazione del Partito popolare. Eravamo a Roma in via dell’Umiltà (che nome adatto al nostro pusillus grex!). Era mezzanotte quando ci sepa rammo e spontaneamente, senza alcun invito, passando davanti alla chiesa dei Santi Apostoli picchiammo alla porta: c’era l’adorazione notturna. Il fratel portinaio fu spaventato di veder tanta gente: la vista della mia sottana lo rassicurò. Durante quest’ora di adorazione rievo cai tutta la tragedia della mia vita. Non avevo mai chiesto nulla, non cercavo nulla, ero rimasto semplice prete: per consacrarmi all’azione cattolica sociale e municipale avevo rinunciato alla cattedra di filoso fia; dopo venticinque anni, ecco che abbandonavo anche l’azione cat tolica per dedicarmi esclusivamente alla politica. Ne vidi i pericoli e piansi. Accettavo la nuova carica di capo del partito popolare con la amarezza nel cuore, ma come un apostolato, come un sacrificio. E perché no? Era una eccezione (specialmente in Italia) che un prete facesse della politica; ce n’erano stati altri in taluni Paesi d’Europa. In quel momento i cattolici rientravano in blocco nella vita nazionale, dopo un mezzo secolo di astensione in obbedienza al non expedit del papa. Un prete non era fuori della sua missione nell’intervenire. E questo perché il Partito popolare, pur evitando il titolo di cattolico e restando fuori della dipendenza della gerarchia ecclesiastica, si basa va sulla morale cristiana e sulla libertà».
Nel primo congresso del Partito popolare, che si tenne a Bologna nel giugno dello stesso anno, don Sturzo, deciso a difendere la natura laica e aconfessionale del Partito, deve sostenere una serrata polemica con un’altra grande e influente figura di intellettuale cattolico: padre Agostino Gemelli. Il secondo congresso del Partito ha luogo a Napoli: qui Sturzo delinea la prospettiva storica del partito nella sua funzione di salvaguardia della democrazia e del riformismo. Ostile a Giolitti, Sturzo non si unì con i socialisti; e così il fascismo trovò un ostacolo in meno nella sua avanzata nella conquista del potere. Le prime persecu zioni e ammonimenti ecclesiastici a non creare difficoltà alla Santa Sede – le gerarchie ecclesiastiche pensavano a intese con il nuovo potere –, convinsero Sturzo dopo le elezioni del 1924, a lasciare l’Italia.

4. Il Partito Popolare nel giudizio di Antonio Gramsci

Il 1 novembre del 1919 Antonio Gramsci dà la sua interpretazione relativo alla nascita del Partito Popolare convinto che «i popolari stanno ai socialisti come Kerenski a Lenin».
«La Costituzione del Partito Popolare – scriveva dunque Gramsci – ha una grande importanza e un gran significato nella storia della nazione italiana. Con essa il processo di rinnovazione spirituale del popolo italiano, che rinnega e supera il cattolicesimo, che evade dal dominio del mito religioso e si crea una cultura e fonda la sua azione storica su motivi umani, su forze reali immanenti e operanti nel seno stesso della società, assume una forma organica, si in carna diffusamente nelle grandi masse. La costituzione del Partito Popo lare equivale per importanza alla Riforma germanica, è l’esplosione incon scia irresistibile della Riforma italiana.
Il Partito Popolare non è nato dal nulla, per un atto taumaturgico del dio degli eserciti. Accanto alle istituzioni religiose del cattolicismo erano venute nascendo, da qualche decina di anni, numerosissime istituzioni di carattere meramente terreno, proponendosi fini meramente materiali.
Esiste in Italia una fitta rete di scuole fiorentissime, di mutue, di cooperative, di piccole banche di credito agrario, di corporazioni di me stieri, gestite da cattolici, controllate, direttamente e indirettamente, dalla gerarchia ecclesiastica. Il cattolicesimo, espulso violentemente dalle pub bliche cose, privato di ogni influsso diretto nella gestione dello Stato, si rifugiò nelle campagne, si incarnò negli interessi locali e nella piccola attività sociale di quella parte della massa popolare italiana che continuava a vivere, materialmente e spiritualmente, in pieno regime feudale. Si ve rifica per il cattolicesimo un fenomeno per molti aspetti simile a quello verificatosi per gli ebrei: esclusi da ogni diritto di proprietà immobiliare, gli ebrei divennero i più grandi detentori di valori mobili della cristianità e riuscirono a taglieggiare, con la immensa loro potenza finanziaria, gli Stati confessionali dai quali erano oppressi politicamente e spiritualmen te; privati del loro potere pubblico dai liberali, i cattolici oggi, dopo esser si incarnati in una molteplicità di interessi economici locali, si organizzano in un sistema di forze sociali e taglieggiano lo Stato aconfessionale che li aveva oppressi spiritualmente e li aveva espulsi dalla storia della civiltà.
[…] Il cattolicesimo entra così in concorrenza, non già col liberalismo, non già con lo Stato laico; esso entra in concorrenza col socialismo, esso si pone sullo stesso terreno del socialismo, si rivolge alle masse come il socialismo, e sarà sconfitto, sarà definitivamente espulso dalla storia dal socialismo.
I popolari rappresentano una fase necessaria del processo di sviluppo del proletariato italiano verso il comunismo. Essi creano l’associazionismo, creano la solidarietà dove il socialismo non potrebbe farlo, perché manca no le condizioni obiettive dell’economia capitalista; creano almeno l’aspi razione all’associazionismo e alla solidarietà. Danno una prima forma al vago smarrimento di una parte delle masse lavoratrici che sentono di es sere ingranate in una grande macchina storica che non comprendono, che non riescono a concepire perché non ne hanno l’esempio, il modello nella grande officina moderna che ignorano. Questo smarrimento, questo pa nico sociale, che è caratteristico dell’attuale periodo, spinge anche gli in dividui più arretrati storicamente a uscire dal loro isolamento, a cercare conforto, speranza, fiducia nella comunità, nel sentirsi vicini, nell’aderire fisicamente e spiritualmente ad altri corpi e altre anime interrorite. Come potrebbe, per quali vie potrebbe la concezione socialista del mondo dare una forma a questo tumulto, a questo brulichìo di forze elementari? Il cattolicismo democratico fa ciò che il socialismo non potrebbe: amalgama, ordi na, vivifica e si suicida. Assunta una forma, diventate una potenza reale, queste folle si saldano con le masse socialiste consapevoli, ne diventano la continuazione normale. […] Perciò – concludeva Gramsci – non fa paura ai socialisti l’avan zata impetuosa dei popolari, non fa paura il nuovo partito che ai sessanta mila tesserati del partito socialista contrappone i suoi seicentomila tesse rati. I popolari stanno ai socialisti come Kerenski a Lenin» (cit. da S. Polisseni, Troppi cattolici italiani hanno “aperto” al liberalismo, in «Rivista di studi corporativi», gennaio-aprile 1986, pp. 45-47).

5. Il lungo esilio a Londra e a New York

L’esilio di Sturzo dura ventidue anni: prima a Parigi, poi a Londra (1924-1940) e infine a New York, sino all’agosto del 1946. Nel perio do inglese i frutti della meditazione di Sturzo sono consegnati ai seguenti scritti: ltaly and Fascism (1926); La comunità internazionale e il diritto di guerra (1929); La società: sua natura e leggi (1936); Politica e morale (1938); Chiesa e Stato (1939). Attraverso il carteggio inter corso tra Sturzo e Mario Einaudi, durante il soggiorno americano (1940-46), possiamo tracciare anche una sommaria mappa degli interessi culturali in ambito sociologico dell’esule siciliano. In par ticolar modo, Sturzo mostrò interesse per studiosi americani di sociologia generale come G. Lundberg, inglesi come M. Ginsberg e storici della sociologia come P.A. Sorokin, H.E. Barnes, H. Becker e N. Timascheff. Egli chiese all’amico Einaudi di poter ricevere i quat tro volumi del Trattato di Pareto e, dopo il 1942, avendo iniziato a lavorare all’opera Del metodo sociologico, riprese lo studio di autori come E. Durkheim e M. Weber. Sturzo, stabilendosi negli Stati Uniti, ebbe modo di conoscere direttamente una delle più grandi, antiche e – all’epoca – poche democrazie della terra. «Seppe coglierne, evidenziandoli ed analizzandoli, i caratteri rilevanti impressi nella sto ria di quel Paese e presenti nella letteratura politica, filosofica ed economica dei tanti esuli che dalla vecchia e martoriata Europa si trasferirono oltre Atlantico» (Flavio Felice). Con ciò, tuttavia, il pen siero di Sturzo, sia durante l’esilio che dopo l’esilio, è rimasto «del tutto “sotterraneo” […] nascosto anche al mondo cattolico, e quasi colpito da una tacita interdizione» (G. De Rosa).
Il 22 settembre del 1940 Sturzo lascia Londra, diretto a New York dove arriva il 3 ottobre. Qui fonda l’American People and Freedom Group, un’associazione di cattolici democratici. E stringe rapporti con esuli quali Gaetano Salvemini, Mario Einaudi, Carlo Sforza e Lionello Venturi. Nel 1943 esce: La vera vita. Sociologia del soprannaturale. E solo alla fine dell’agosto del 1946 Sturzo si imbarca per l’Italia. È a Napoli il 5 settembre. Sempre nel 1946 pubblica Nazionalismo e Internazionalismo. Del 1949 sono La mia battaglia da New York e La Regione nella Nazione. Del 1950 è Del metodo Sociologico. Il 17 dicembre del 1952 il presidente della Repubblica Luigi Einaudi nomina Sturzo senatore a vita. Come senatore, Sturzo si iscrive al gruppo misto del Senato. Nel 1953 appare Coscienza e politica. Muore l’8 di agosto del 1959; viene sepolto in San Lorenzo al Verano. Il 3 luglio del 1962 la salma del sacerdote siciliano è stata tumulata nella chiesa del Santissimo Salvatore a Caltagirone.
Ecco un brano del suo Testamento: «A coloro che mi hanno criticato per la mia attività politica, per il mio amore alla libertà, il mio attac camento alla democrazia, debbo aggiungere che a questa vita di bat taglie e di tribolazioni non venni di mia volontà né per desiderio di scopi terreni né di soddisfazioni umane, vi sono arrivato portato dagli eventi, penetrando quasi insensibilmente senza prevedere un termine prestabilito o voluto, come portatovi da forza estranea. Riconosco le difficoltà di mantenere intatta da umane passioni la vita sacerdotale e Dio sa quanto mi sono state amare le esperienze pratiche di 60 anni di tale vita; ma l’ho offerta a Dio e tutto ho indi rizzato alla Sua gloria e in tutto ho cercato di adempiere al servizio della verità. Difetti, colpe, miserie mi siano perdonati dagli uomini come son sicuro che mi sono stati e mi saranno perdonati da Dio per i meriti di Gesù Cristo e intercessione della Vergine Maria che sempre invoco ora e nell’ora della mia morte e così sia».

6. Gaetano Salvemini: «l’amicizia con Sturzo uno dei più begli acquisti della mia vita»

Nel libro Dai ricordi di un fuoriuscito 1922-1933, così Salvemini ricor da il suo incontro con Sturzo. «A Londra un amico della vecchia “Unità”, Angelo Crespi, stabilitosi lì da molti anni, mi offrì una prima affettuosa ospitalità. Trovai don Sturzo, che vi era andato nel l’autunno del 1924, credendo che la sua sarebbe stata una breve assenza dall’Italia, ma ormai era diventato anche lui fuoriuscito. Don Sturzo crede all’esistenza di Dio: un Dio – badiamo bene – che non solo esiste chi sa mai dove, ma è sempre presente a tutto quello che don Sturzo fa, e don Sturzo gliene deve rendere conto strettissi mo, immediatamente, e non nell’ora della morte, o nella valle di Giosafatte. Perciò don Sturzo fa sempre quel che ritiene essere il suo dovere, e con questo ...

Indice dei contenuti

  1. Copertura
  2. Titolo Pagina
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Prefazione
  6. Situazioni storiche, prospettive filosofiche e nucleo etico-religioso delle idee politiche dei cattolici liberali italiani dell’Ottocento e del Novecento
  7. Luigi Taparelli d’Azeglio «Il principio cattolico dice: rispetto della persona; l’eterodosso dice: idolatria dello Stato»
  8. Gioacchino Ventura L’inscindibile nesso tra libertà e autonomia dei poteri decentrati
  9. Raffaello Lambruschini «Le istituzioni politiche sono un mezzo e non un fine»
  10. Vincenzo Gioberti Il primato sociale e civile degli italiani
  11. Antonio Rosmini «Le persone sono principio e fine dello Stato»
  12. Alessandro Manzoni «Io laico in tutti i sensi»
  13. Luigi Sturzo Difensore della libertà «per tutti e sempre»
  14. Luigi Einaudi «L’impero della legge è condizione per l’anarchia degli spiriti»
  15. Angelo Tosato La demolizione esegetica della lettura pauperistica del Vangelo
  16. Riferimenti bibliografici