Rivista di Politica 4/2014
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Rivista di Politica 4/2014

Cosa vuol dire essere conservatore: tra ironia, buon senso e realismo

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Cosa vuol dire essere conservatore: tra ironia, buon senso e realismo

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Una monarchia repubblicana? Un bilancio della presidenza di Giorgio NapolitanoFrancesco ClementiI limiti del costituzionalismo europeo: democrazia, politica e appartenenze nazionaliBiagio De GiovanniRaccontare e spiegare la politica italiana: un'impresa impossibile?Marco DamilanoFilosofia politica e lealtà nazionale: un ritratto di Roger ScrutonSpartaco PupoEuropa: una democrazia senza demos?Fabio CiaramelliL'americanizzazione dell'Europa e la crisi del processo di integrazione continentaleRiccardo CavalloObama, la politica estera degli Stati Uniti e la corsa alla Casa BiancaAlia K. Nardini

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788849844528
Illustration

CONGETTURE E CONFUTAZIONI

Una monarchia repubblicana?
Un bilancio della Presidenza Napolitano

di Francesco Clementi
1. «Chiudere la parentesi di un’eccezionalità costituzionale». È in questa frase, pronunciata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel messaggio di fine anno agli italiani, che è racchiuso il senso politico, al di là di quello personale, della scelta delle sue dimissioni, dopo aver accettato nell’aprile 2013 – obtorto collo e su pressione quasi unanime delle forze politiche dopo lo stallo prolungato che si era manifestato in Parlamento – un secondo mandato presidenziale. D’altronde, la sua rielezione serviva per «offrire, al paese e al mondo, una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di vitalità istituzionale, di volontà di dare risposte ai nostri problemi», facendo in modo, grazie a questa eccezionalità, che nessuno si sottraesse «in nessun campo, al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana».
Ebbene, oggi, a quasi un anno da allora, nel momento in cui emerge un punto ragionevole di assestamento politico e di positiva prospettiva futura, proprio riguardo a quelle riforme costituzionali e a quella legge elettorale che allora si invocavano, il Presidente ritiene che si possa rientrare alla «normalità costituzionale, ovvero alla regolarità dei tempi di vita delle istituzioni, compresa la Presidenza della Repubblica» superando, appunto, l’eccezionalità di questi anni.
Si è trattato, infatti, di nove anni complessi, difficili, pure molto diversi tra loro; anni che hanno mostrato agli studiosi, ai commentatori, ai cittadini tout court, come e quanto sia elastica la figura del Presidente della Repubblica nel nostro ordinamento; un’elasticità che ha fatto emergere in modo sempre più chiaro, a Costituzione invariata, l’accrescersi dell’influenza della Presidenza della Repubblica nel sistema politico-istituzionale. E che ha portato alcuni a sostenere, addirittura, che l’interpretazione datane dal Presidente Napolitano sia stata a tal punto dilatata da aver configurato una vera e propria rottura costituzionale.
Di sicuro, saranno gli storici, con il tempo, a spiegarci adeguatamente quanto quell’interpretazione sia dipesa dallo “spirito del tempo” e quanto, invece, sia dipeso dalla lettura che l’interprete ha dato ed ha voluto dare del ruolo che la Costituzione affida a quell’Istituzione. Di sicuro, non si può formulare un primo bilancio del novennato presidenziale di Giorgio Napolitano, e dell’accresciuta innegabile influenza presidenziale, se non si parte da alcune consapevolezze, tra testo costituzionale e contesto politico-sociale.
2. Il nostro Paese, nei nove anni delle due Presidenze Napolitano – tra il 15 maggio 2006, data del giuramento successiva alla prima elezione del 10, e il 22 aprile 2013, data del giuramento successiva alla seconda elezione del 20 – ha visto cambiare assai profondamente il contesto politico-istituzionale di riferimento, anche intorno alla stessa Presidenza della Repubblica e all’esercizio di quei poteri cui è chiamato il Capo dello Stato ai sensi dell’art. 87 della Costituzione.
Non vi è chi non veda, infatti, che nonostante tutte le democrazie stiano soffrendo di fronte al fatto di dover offrire un quadro più stabile a seguito della crisi della rappresentanza con il finire del tempo delle ideologie, l’incapacità di ricomporre il puzzle sociale si è maggiormente acuita nel nostro Paese; dapprima con il liquefarsi di un intero sistema politico e partitico – quello della c.d. Prima Repubblica – sotto il maglio delle sue colpe oltre che delle sue aporie, e poi con un sistema, quello della c.d. Seconda Repubblica, incapace di darsi una definitiva stabilità, chiudendo la transizione politico-istituzionale in corso, anche con nuove regole istituzionali.
Mancare per vent’anni questo appuntamento ha ulteriormente corroso fiducia e speranza nella nostra società, portando non soltanto alcuni tra i “nuovi” partiti, oltre che numerosi leaders del ventennio del potenziale cambiamento, a perdere rappresentanza politica e rappresentatività sociale (perché sconfitti nelle urne, quando non nelle aule dei tribunali), ma anche ad alimentare ulteriormente un’instabilità politica, che si è palesata sempre più poi come inconcludenza politica, facendo crescere alle basi delle nostre istituzioni – in primis intorno a quella parlamentare – rilevanti fenomeni corrosivi (da un crescente astensionismo, a forti fenomeni di populismo, alla ripresa rilevante della corruzione).
In questo quadro, si è avuta una classe politica pressoché incapace di realizzare quelle trasformazioni, nei comportamenti prima che nelle regole giuridiche, verso una moderna democrazia dell’alternanza che, tipica di quei Paesi che, come noi, volevano un’Europa più unita, in larga parte alle soglie degli anni Novanta i cittadini avevano chiesto loro.
Al tempo stesso, allargando lo spettro d’analisi, esattamente negli anni delle due presidenze Napolitano, si è visto lo scoppio di due devastanti crisi economiche mondiali, quella di tipo finanziario del 2007-2008 e quella successiva (e derivata) del 2010-2011 intorno ai c.d. debiti sovrani e alle finanze pubbliche (a partire, innanzitutto, dai Paesi dell’Eurozona); tali crisi hanno provocato un impoverimento sociale evidente anche nel nostro Paese, consumando la trama del nostro tessuto produttivo, acuito inoltre dai mali strutturali e mai risolti della nostra economia.
Così, proprio negli anni di Napolitano presidente, la sfiducia che nasceva dall’inconcludenza politica e quella che nasceva dalla depressione economica si sono reciprocamente – e drammaticamente – alimentate, favorendo ulteriormente rabbia e malcontento sociale pure verso le stesse istituzioni repubblicane.
È in questo contesto, per quanto sommariamente descritto qui, che va analizzato il novennato presidenziale di Napolitano; per alcuni, riprendendo un famoso scritto di Maurice Duverger, una vera e propria “monarchia repubblicana”.
Eppure di questo ossimoro la figura presidenziale, nel testo costituzionale e nell’interpretazione che di essa hanno dato i dieci presidenti precedenti, ha sempre vissuto. Infatti, il modello costituzionale disegnato dal Costituente è stato volutamente pensato in modo “elastico” e ambiguo, tale da essere, di volta in volta a seconda delle geometrie politiche del tempo, figura di garanzia o, all’opposto, di governo dei processi politici.
D’altronde, è noto che, mentre la quasi totalità dei Paesi dell’Unione europea intendono questa figura o come il capo del potere esecutivo o come il garante della legittimità e della permanenza dell’unità statale, nel nostro Paese questa ambiguità, tra garante e governante, non è mai stata sciolta. Anzi. La naturale ed elastica “fisarmonica” dei poteri presidenziali, secondo una nota formula di Giuliano Amato, per molti è sempre stata un valido strumento, per un verso, per invocare un tutore quando il conflitto e l’instabilità politica si alzava, cercando, di volta in volta, con più o meno forza ed insistenza, dosi incrementali di supplenze di unità nell’indirizzo politico; oppure, per un altro verso, un’opportunità per evitare che si attuasse fino in fondo, attraverso le scelte del governo, un chiaro indirizzo politico di maggioranza, evocando – nell’appello al Presidente – i rischi di una presunta torsione plebiscitaria del nostro ordinamento. Così anche le presidenze precedenti quelle di Napolitano hanno usato i loro poteri in modo elastico, affermando e presentando la figura presidenziale, talvolta come il motore di riserva del sistema politico-partitico quando questo va in stallo, talaltra come il supremo reggitore dello Stato nei momenti di crisi; comportamenti – si badi bene – entrambi perfettamente compatibili, appunto, con la nostra forma di Governo.
È innanzitutto in ragione di queste consapevolezze, dunque, che bisogna guardare ai nove anni di presidenza della Repubblica di Giorgio Napolitano per trarre, se possibile, un primo bilancio.
3. Di sicuro, sappiamo che, pur nel rigoroso rispetto dei confini formali della Costituzione, anche in ragione della chiarezza con la quale lo ha espresso lo stesso Presidente, la fisarmonica dei poteri presidenziali si è dilatata. Sono le stesse ragioni dello sfarinamento del sistema politico-partitico, aggravato dal contesto di crisi economica, che hanno presentato in fondo il Presidente – e a maggior ragione nel momento in cui è stato chiamato alla rielezione, basta ricordarsi il suo discorso di insediamento! – come l’organo principale di indirizzo politico-costituzionale, in quanto rappresentante dell’unità nazionale, così come ha rilevato poi la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2013.
Napolitano, infatti, ha tentato di far fronte ai problemi interpretando fino in fondo il ruolo di «motore di riserva» di cui la dottrina aveva a suo tempo, appunto, parlato, coprendo – come un novello San Martino –- con il mantello dell’istituzione presidenziale (forza, consenso e potere, garantito elasticamente dal testo costituzionale e confermato nelle prassi dei suoi predecessori) l’intero sistema politico-istituzionale.
Così, dalla crisi del IV governo Berlusconi con la nascita del governo Monti, alla necessaria difesa della tenuta del rigore nei conti pubblici anche di fronte ai partners internazionali, dalla scelta di accettare la rielezione per consentire l’avvio della XVII legislatura evitando immediate ma incertissime elezioni, tutto nella sua azione è stato volto a favorire un rilancio della funzionalità stessa delle istituzioni, in primis attraverso le riforme politico-costituzionali, loro presupposto.
Si spiegano così, allora, i suoi comportamenti: dalla resistenza allo scioglimento delle Camere di fronte alla crisi politica, che Napolitano ha interpretato come un potere presidenziale da esercitare nell’emergenza costituzionale esclusivamente in assenza di alternative; al forte uso dell’esternazione libera, cioè quella a valenza politica diffusa, a discapito invece di quella di accompagnamento della promulgazione (usata solo in due casi); dall’attentissimo uso del rinvio di una legge alle Camere (un solo caso: il c.d. collegato lavoro del 2010), così come al rinvio di decreti legge (due soli casi: sul c.d. caso Englaro del 2009 e su quello Bondi sui teatri lirici del 2010) e dei decreti legislativi (uno solo: quello sul federalismo fiscale municipale del 2010); al forte impegno per un legiferare di qualità, in primis sui decreti legge (voluto anche nella riforma costituzionale c.d. Renzi-Boschi), ad un nuovo modo di rapportarsi tra giustizia e politica che, inter alia, in un ulteriore unicum nella nostra storia costituzionale, lo ha portato, «per lasciare intatta l’istituzione nelle sue prerogative ai suoi successori», come ebbe a chiarire allora, pure a non esitare ad accettare di difendere le prerogative del Quirinale di fronte alle accuse mossegli dalla Procura di Palermo. Ogni scelta del Presidente è stata funzionalizzata, insomma, ad una autoriforma della politica, in un continuo sprono a ritrovare se stessa, garantendo, al tempo stesso in virtù dei suoi poteri, tanto verso l’Unione europea quanto verso il mondo, pure una copertura politica tale da rassicurare tutti i partners del nostro Paese, anche nei passaggi più complessi di instabilità che ci hanno caratterizzato.
Una “eccezionalità costituzionale” che oggi, come ricordato dallo stesso Napolitano, deve tornare però nel suo alveo naturale. Proprio perché solo espansioni momentanee dei poteri presidenziali possono confermare la legittimazione di questi usi all’interno dell’ordinamento, configurandosi altrimenti una rottura costituzionale non tollerabile, in primis per lo stesso Napolitano.
In questo quadro, la sua ri-elezione è stata una scelta alla quale non poteva sottrarsi, a maggior ragione in virtù del fallimento durante il suo primo mandato di una profonda revisione della Costituzione, a seguito della decadenza di Berlusconi da senatore, nonché della mancata approvazione di una nuova legge elettorale, tale da evitare la sentenza della Corte costituzionale (n. 1/2014).
Il tema delle riforme politico-istituzionali, allora, vuoi per propria scelta vuoi per effetto della situazione storico-politica, ha assunto una centralità che marca decisamente tutto il novennato, divenendo davvero la cifra interpretativa della presidenza Napolitano, perché perno tanto della prima presidenza quanto, ancor più pressantemente, della seconda.
D’altronde, già allora, Napolitano aveva scelto di imbastire la sua eredità per il suo successore tutta intorno, appunto, al tema delle riforme, attraverso il lavoro di un primo gruppo di esperti, a cui poi ha fatto seguito, come strumento-funzione tanto per il nuovo governo quanto per il nuovo Parlamento, un secondo gruppo di esperti (i c.d. saggi di Letta). Per lui le riforme divengono centrali, infatti, non soltanto in sé ma anche perché sono l’unico strumento per dare vera giustificazione alla durata della legislatura e dunque al governo stabilità e prospettiva; una ragione valida, nel caso di empasse politico, anche a favorire cambi di governo, come avviene nella scelta di Napolitano di dar vita al governo Renzi.
Se dunque si vuole considerare la novennale Presidenza Napolitano come una “monarchia repubblicana” lo si può fare solo in virtù della straordinarietà dei tempi che l’hanno caratterizzata, non di altro; tempi che hanno richiesto al politico Giorgio Napolitano di dar fondo straordinariamente a tutte quelle potenzialità politico-istituzionali che il C...

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  4. Numero 4 Ottobre-Dicembre 2014