La nazione
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Storia di un'idea

  1. 214 pagine
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La nazione

Storia di un'idea

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Qual è la natura e l'origine storica delle nazioni? Le nazioni (e il nazionalismo) sono un fenomeno recente o antico? In un mondo dominato dall'economia transnazionale e dalla cultura globale di massa c'è ancora posto per le appartenenze e le identità nazionali?Nel corso degli ultimi trent''anni, intorno a queste domande si è sviluppato un intenso dibattito scientifico, che ha visto contrapporsi diverse scuole di pensiero: dai"modernisti" ai"perennisti", dai"primordialialisti" ai fautori dell'"etnosimbolismo". Il libro di Anthony D. Smith, uno dei principali protagonisti di questo dibattito, costituisce una rassegna critica, sintetica ma puntuale, delle diverse posizioni in campo. Al tempo stesso, offre un compendio efficace del paradigma teorico sviluppato nel corso degli anni da questo originale studioso. Secondo Smith, diversamente da ciò che sostengono le interpretazioni oggi dominanti in campo scientifico, per comprendere la natura delle nazioni (e del nazionalismo) occorre studiarne il radicamento storico-culturale di lungo periodo nelle strutture etniche del passato.

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788849830347

1.

Volontarismo e nazione organica

II TERMINE PRIMORDIALISMO È PIUTTOSTO recente e viene utilizzato in varie accezioni, spesso peggiorative. In senso generale, rimanda all’idea che determinati attributi e formazioni culturali esercitano sulla nostra vita un’influenza prioritaria, fondamentale e determinante, in larga misura indipendente dall’interesse “razionale” e dal calcolo politico. Siamo, in un certo senso, vincolati dai legami che discendono da questi attributi e formazioni. Essi si distaccano e spesso prescindono dalle scelte razionali e dal perseguimento degli interessi materiali che caratterizzano gran parte della nostra vita. I vincoli derivanti da attributi culturali quali la consanguineità e la discendenza, il linguaggio, la religione e le consuetudini, come pure il territorio storico, assumono, fra tutti, un ruolo preminente: tendono infatti a dare origine a quel senso di appartenenza comune che chiamiamo etnicità e comunità etnica, e costituiscono la base per il successivo sviluppo delle nazioni e del nazionalismo. È per queste ragioni che le nazioni e i nazionalismi possiedono un carattere speciale e occupano un posto privilegiato nella storia; in questo senso, possono essere definiti primordiali, ovvero esistenti prima della storia, nel “primo ordine” della natura1.
Come non esiste un’unica versione del modernismo o del perennismo, così non esiste un’unica versione del primordialismo. Si possono tuttavia distinguere tre grandi correnti: organicista, sociobiologica e culturale. Della corrente sociobiologica dirò molto poco perché, nonostante un recente revival, non ha avuto un impatto rilevante sugli attuali dibattiti storiografici. Benché Eric Hobsbawm accenni a un possibile significato genetico dell’etnicità, in generale nessuno storico del nazionalismo sembra aver accolto la sfida sociobiologica o neo-darwiniana. Il primordialismo culturale, d’altra parte, ha avuto negli ultimi anni un peso maggiore, e su di esso tornerò più tardi. Per il momento, invece, voglio soffermarmi sulla versione più nota e diffusa del primordialismo, l’organicismo, o più precisamente, la concezione storicista e organica del nazionalismo: oltre a essere la prima in ordine di tempo, infatti, essa ha influenzato maggiormente il successivo pensiero storiografico in questo campo2.

1. Nazionalismo organico e volontaristico

Fu Hans Kohn, nell’autorevole volume The Idea of Nationalism ([1944] 1967a), scritto al culmine della seconda guerra mondiale, ad attirare l’attenzione su due diverse versioni ideologiche del nazionalismo: volontaristica e organica. Nella sua tipologia, il nazionalismo volontaristico o associazionistico era dominante in Occidente, o meglio a ovest del Reno (in Francia e nei Paesi Bassi, ma soprattutto in Gran Bretagna e in America); il nazionalismo organico prevaleva invece in Europa centrale e orientale, Russia, Medio Oriente e in gran parte dell’Asia. Le due versioni presentavano molti elementi discordanti, ma l’opposizione fondamentale riguardava il rapporto tra l’individuo e la collettività. Se per ambedue i tipi di nazionalismo, infatti, l’individuo deve appartenere a una nazione, perché non vi è alcuna possibilità di sopravvivenza al di fuori di essa, nella versione volontaristica l’individuo può, in linea di principio, scegliere a quale nazione appartenere; in questo senso circoscritto, la nazione è un’associazione politica contrattuale. Se il nazionalismo volontaristico garantisce il diritto di scegliere la propria nazione di appartenenza, il nazionalismo organico al contrario lo rifiuta. L’individuo nasce in una nazione e per tutta la vita reca la traccia indelebile del suo carattere e genio. Dovunque emigri, egli conserva sempre la sua nazionalità originaria.
Per Kohn, questo contrasto fondamentale genera altre opposizioni. La versione volontaristica considera la nazione come un’associazione territoriale razionale di cittadini; essi sono uniti da leggi basate su un contratto liberamente sottoscritto, e formano una comunità politica che vive secondo un unico codice di leggi e condivide una sola cultura politica in un territorio storico riconosciuto. La versione organica, per contro, concepisce la nazione come un principio spirituale e un tutto uniforme che trascende i singoli individui; essi sono uniti dal mito delle origini comuni e da una cultura storica condivisa, e formano un’unica comunità culturale che vive secondo codici vernacolari in una madrepatria storica3.
Il contrasto tra questi due tipi di nazionalismo veniva spiegato da Hans Kohn in termini sia sociali che geopolitici. Il nazionalismo volontaristico e civico-politico richiede, da un lato, una borghesia forte e razionale che agisca come “classe di supporto” nel costruire e guidare la nazione di cittadini e, dall’altro, una concorrenza tra stati più o meno paritari che assicuri la stabilità, le libertà e i poteri dei detentori della proprietà borghese. Il nazionalismo organico, viceversa, sorge generalmente in assenza di una forte borghesia e di una concorrenza tra stati. Lo si trova, sosteneva Kohn, nelle regioni agricole dell’Est, dominate da latifondisti semifeudali e governate da autocrati imperiali. Una ristretta intellighenzia urbana guida in questi casi il movimento nazionale che, in mancanza di un sostegno più ampio, assume una forma aspra e autoritaria nonché un carattere spesso mistico4.
La celebre dicotomia evidenziata da Kohn non nasceva dal nulla. Essa attingeva, sistematizzandola, a una lunga tradizione di classificazioni, spesso odiose, delle nazioni e del nazionalismo – tradizione riconducibile alla fine del Settecento e, più specificamente, al rifiuto del razionalismo illuminista opposto da Herder e alla sua adozione di quello che Isaiah Berlin definisce “populismo culturale”. All’inizio del Settecento, in ogni caso, l’idea di uno specifico carattere nazionale aveva già messo radici e trovava per esempio espressione nel “genio della nazione” di Lord Shaftesbury, nella difesa dei Franchi contro i Galli di Boullainvilliers, nel legame tra patriottismo e libertà di Boling-broke, nello storicismo vichiano del corso delle nazioni e nell’esprit général de la nation di Montesquieu5.
È negli scritti più tardi di Rousseau, tuttavia, che cominciarono a emergere i contrasti fondamentali tra naturalismo e volontarismo, tra cultura e politica. Il filosofo aveva inizialmente abbracciato la visione illuminista della nazione come associazione contrattuale o volontaria consacrata alla libertà e alla giustizia. Negli anni sessanta del Settecento, però, cominciò ad attribuire a questo ideale razionalista nuovo fervore emotivo e zelo religioso. Da una parte, Rousseau considerava la nazionalità come un dato, ovvero assumeva l’esistenza della nazione, per usare le parole di Siéyès, “nello stato di natura”; dall’altra, però, predicava nel 1765 ai Corsi, recentemente liberati, di coltivare le virtù spartane e stoiche del coraggio, della semplicità contadina e dell’armonia con la natura, grazie alle quali avrebbero ottenuto lo status di nazione; e, nel 1772, raccomandava ai Polacchi di conservare e coltivare, attraverso un insieme di rituali e un programma di educazione nazionale, l’eredità culturale della lingua, dei giochi, delle feste e delle consuetudini per difendere l’unicità della nazione polacca, che all’epoca veniva smembrata con le spartizioni.
In uno spirito analogo, Rousseau lodava legislatori come Mosè, Licurgo e Numa Pompilio per la saggezza e la lungimiranza dimostrata nel creare comunità morali distinte attraverso un severo codice di leggi e una fitta rete di rituali. Della legge mosaica scriveva: «Solo attraverso di essa questa straordinaria nazione, tanto spesso sottomessa e dispersa, distrutta dall’esterno, ma sempre legata alla sua Legge, si è conservata fino ai giorni nostri, sparpagliandosi tra gli altri senza mai confondersi con essi. Le sue usanze, leggi e rituali perdurano, e perdureranno fino alla fine del mondo, nonostante l’odio e la persecuzione del resto dell’umanità»6.
La fondamentale tensione tra volontà collettiva e cultura ricevuta, tra legislazione contrattuale e tradizione comune, è sintetizzata nella solenne affermazione di Rousseau: «La prima regola che dobbiamo seguire è il carattere nazionale. Ogni popolo ha o deve avere un carattere nazionale, e se ne mancasse bisognerebbe cominciare col darglielo»7.
Rousseau identificava, insomma, il fondamento della società nei preesistenti legami della cultura e dell’ap partenenza a un popolo, ovvero nel “carattere nazionale”. Come scrive F.M. Barnard, per lui «la determinazione nazionale e la volontà politica non bastano da sole a costruire una nazione; essere una nazione richiede continuità e identità, una tradizione culturale e la creazione di una struttura politica»8.
Al tempo stesso, Rousseau riteneva possibile e insieme fondamentale correggere o migliorare quel carattere attraverso la legislazione e l’educazione nazionale. Non sono né le mura né i popoli a fare la patrie – sosteneva – ma «le leggi, i costumi, le usanze, il governo, la costituzione e il modo di vita che da essi deriva. La patrie esiste nelle relazioni tra lo stato e i suoi membri; quando queste relazioni mutano o si deteriorano, la patrie svanisce»9.
Questo dualismo tra natura e civiltà, tra cultura e volontà politica, trova eco nei primi tentativi di comprendere e valutare gli effetti del nazionalismo. Lo stesso Herder, pur attribuendo grande valore alla lingua, alla cultura e a una autentica esperienza collettiva, riconosce l’importanza della civiltà e persino della volontà. Dopotutto, gli individui dovrebbero scegliere di seguire il loro cammino, di parlare la loro lingua, di riscoprire la loro storia e “pensare i loro pensieri”. «Lasciate che gli uomini parlino bene o male della nostra nazione, della nostra letteratura, della nostra lingua: essi sono nostri, sono noi stessi, e tanto basti»10.
Herder proclama l’uguaglianza morale delle culture e afferma che per essere veramente liberi è necessario immergersi nella propria storia e cultura. È Dio a volere che conosciamo il mondo in gruppi organici, che il “popolo” sia il naturale depositario dell’esperienza, e che la lingua e la cultura vernacolare siano le espressioni autentiche della nostra identità collettiva. Sotto questi aspetti, Herder ha certamente contribuito in modo sostanziale a diffondere una visione organica e storicistica della nazione. Anche per il filosofo tedesco, tuttavia, questo disegno divino mirava a incoraggiare il generale processo di educazione e miglioramento di sé, l’ideale di Bildung a cui anelavano gli illuministi di tutta Europa. L’opposizione tra il “populismo culturale” völkisch di Herder e l’enfasi posta da Rousseau sulla legge, sulla libertà e sulla volontà collettiva andrebbe pertanto ridimensionata. Se la visione di Rousseau aveva una dimensione naturalistica, gli ideali civici dell’illuminismo erano condivisi da Herder, che però cercava di porli su una base diversa, più storicistica e organica – e quindi, dal suo punto di vista, più solidarista – rispetto all’ideale politico spartano o neoclassico dei più stoici philosophes11.
Il contrasto tra il culturalismo storicistico e organico e il volontarismo politico che emerge negli scritti dei padri fondatori del nazionalismo fu accentuato nell’opera dei discepoli immediati o più tardi: Fichte, Müller, Arndt e Jahn in Germania, Mazzini in Italia, Michelet in Francia. Fichte e gli altri romantici tedeschi conferirono al culturalismo organico di Herder una dimensione specificamente politica, afferman...

Indice dei contenuti

  1. Copertura
  2. Titolo Pagina
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione
  6. Ringraziamenti
  7. Introduzione
  8. 1. Volontarismo e nazione organica
  9. 2. La nazione: moderna o perenne?
  10. 3. Costruzione sociale e genealogia etnica
  11. Bibliografia generale