1.
Ludwig von Mises: l’azione umana è sempre azione individuale, cosciente e responsabile
«In principio c’era l’atto»: è questa l’idea cardine della prasseologia, per la quale – afferma Mises – «il concetto di uomo è soprattutto il concetto di un essere che agisce […] L’intenzionalità dietro i nostri atti li rende azioni»1. L’azione umana è azione consapevole e volontaria. E «ciò che distingue l’uomo dalle bestie – scrive Mises ne L’azione umana – è precisamente il fatto che egli aggiusta il suo comportamento deliberatamente»2. L’animale cede all’impulso; ma l’uomo «non è un essere incapace di contrastare l’impulso che richiede più urgentemente di essere soddisfatto. Essendo un essere capace di dominare i suoi istinti, le sue emozioni e i suoi impulsi, egli può razionalizzare il suo comportamento. Rinuncia alla soddisfazione di un desiderio bruciante per soddisfarne altri. Non è un burattino dei propri appetiti. Non violenta ogni donna che solletica i suoi sensi; non divora ogni pezzo di cibo che lo tenta; non abbatte ogni individuo che desidererebbe uccidere. Arrangia le sue voglie e i suoi desideri in una scala, sceglie; in breve, agisce [...]. L’uomo ha inibizioni, può dominare i desideri, è capace di sopprimere i desideri e gli impulsi istintivi»3. Certo, può anche accadere che un impulso si manifesti con una forza tale per cui non varranno le considerazioni intese a frenarlo. Però, anche in questo caso – scrive Mises – «vi è scelta. L’uomo decide di cedere in favore del desiderio in questione»4. L’azione umana è, dunque, azione cosciente e responsabile. È sempre azione di questo o quello individuo: «ogni azione razionale è in primo luogo un’azione individuale»5. In realtà: «solo l’individuo pensa. Solo l’individuo ragiona. Solo l’individuo agisce»6. È questa l’essenza concettuale dell’individualismo metodologico: nel mondo ci sono soltanto individui, i quali, pensano, ragionano e agiscono interagendo. «Il corso della storia – afferma Mises – è determinato dalle azioni degli individui e dagli effetti di queste azioni»7.
Ora, però, se è solo l’individuo a pensare e ad agire, che ne è di quelle entità collettive come lo «Stato», la «nazione», il «popolo», la «classe» o il «partito»? Che cosa corrisponde, nella realtà effettiva, a siffatti concetti? La risposta di Mises a tale interrogativo è che «per una collettività sociale non v’è esistenza e realtà al di fuori delle azioni dei membri individuali»8. «La realtà di un tutto sociale consiste nelle azioni degli individui che lo compongono»9. Così, «lo Stato non è né freddo né caldo, giacché esso è un concetto astratto nel cui nome agiscono uomini viventi [...]. Ogni attività statale è azione umana, un male inflitto da uomini su uomini»10. È ben vero che quando si parla di mercato si è soliti parlare metaforicamente di forze anonime ed automatiche azionanti il meccanismo del mercato; e «con tali metafore – annota Mises – si è pronti a trascurare il fatto che gli unici fattori che informano il mercato e la determinazione dei prezzi sono gli atti intenzionali degli uomini. Difatti, non v’è automatismo, ma solo uomini che perseguono coscientemente e deliberatamente i fini scelti»11. E, d’altra parte, «la società [...] non esiste che nelle azioni degli individui. Parlare di una società autonoma dall’esistenza indipendente, della sua vita, anima, azioni, è una metafora che può condurre a crassi errori [...] L’azione è sempre azione di individui»12. L’idea di una società «che possa operare o manifestarsi separatamente dall’azione degli individui è assurda»13. E pensare a forze necessitanti del corso della storia è pura mitologia.
1. L. VON MISES, Problemi epistemologici dell’economia, trad. it., Armando, Roma, 1988, p. 41.
2. L. VON MISES, L’azione umana, trad. it., UTET, Torino, 1959, p. 16.
3. Ibidem.
4. Ibidem.
5. L. VON MISES, Socialismo, trad. it., Rusconi, Milano, 1990, p. 139.
6. Ibidem.
7. L. VON MISES, L’azione umana, cit., p. 47.
8. Ivi, p. 41.
9. Ibidem.
10. L. VON MISES, Liberalism in the Classical Tradition, Foundation for Education in Economics, Irvington on Hudson-New York, 1985, p. 57.
11. L. VON MISES, L’azione umana, cit., p. 301.
12. Ivi, p. 139.
13. L. VON MISES, Problemi epistemologici dell’economia, cit., p. 64.
2.
Karl R. Popper: «Non esiste uomo che sia più importante di un altro uomo»
Un argomento non troppo studiato è quello dove si vede che Popper rivendica i diritti della persona umana e della coscienza individuale, richiamandosi esplicitamente – lui che si dichiara agnostico – alla tradizione cristiana. È vero che è stata talvolta proposta e difesa una specie di storicismo teologico stando alla quale «lo storicismo è un elemento necessario della religione»1. «Ma io – ribadisce con decisione Popper nell’ultimo capitolo (XXV) de La società aperta e i suoi nemici – dissento da questa visuale. Io sostengo che questa concezione è pura idolatria e superstizione, non solo dal punto di vista razionalista o di un umanitario, ma dallo stesso punto di vista cristiano»2. E, in effetti, prosegue Popper, «sostenere che Dio rivela se stesso in quello che normalmente si chiama storia, nella storia del crimine internazionale e dell’assassinio di massa, è senz’altro blasfemo [...]»3. In una storia non solo fatta, ma anche contraffatta dall’uomo, non è giusto, ad avviso di Popper, che alcuni cristiani osino vedere la mano di Dio4.
«Il metro del successo storico – scrive Popper – appare incompatibile con lo spirito del cristianesimo»5. I primi cristiani «ritenevano che è la coscienza che deve giudicare il potere e non viceversa»6. «Coloro – dice ancora Popper – che sostengono che la storia del successo dell’insegnamento cristiano rivela la volontà di Dio dovrebbero chiedersi se questo successo fu realmente un successo dello spirito del cristianesimo e se questo spirito non trionfò al tempo in cui la Chiesa era perseguitata, piuttosto che al tempo in cui la Chiesa era trionfante. Quale Chiesa – si chiede Popper – impersonò più puramente questo spirito: la Chiesa dei martiri o la Chiesa vittoriosa della Inquisizione?»7.
In effetti, quel che Popper esalta della tradizione cristiana è il valore che questa attribuisce alla coscienza dei singoli individui. Per un umanitario, e soprattutto per un cristiano, afferma Popper, «non esiste uomo che sia più importante di un altro uomo»8. «Riconosco – egli dice – che si deve senz’altro tener presente [...] che gran parte dei nostri scopi e fini occidentali, come l’umanitarismo, la libertà, l’uguaglianza, li dobbiamo alla influenza del cristianesimo. Ma, nello stesso tempo, bisogna anche tener presente che il solo atteggiamento razionale ed il solo atteggiamento cristiano anche nei confronti della storia della libertà è che siamo noi stessi responsabili di essa, allo stesso modo che siamo responsabili di ciò che facciamo delle nostre vite e che soltanto la nostra coscienza, e non il nostro successo mondano, può giudicarci»9.
La storia insegnata nelle scuole – fa presente Popper – è la storia dove...