De Magistris. Il pubblico mistero
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Vita, opere e miracoli di Luigi de Magistris, il pm dalle inchieste fallimentari, entrato in politica sull'onda lunga delle gazzette delle procure e dei centri sociali. Dagli esordi in magistratura alle indagini flop che hanno messo nel tritacarne mediatico-giudiziario presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari, giornalisti, uomini dei servizi segreti, imprenditori, magistrati. Tutta la verità nient'altro che la verità su una toga interessata più ai titoli di giornale che ai risultati in tribunale. Tutto certificato dallo studio di migliaia di carte processuali inedite, che restituiscono l'immagine di un pubblico ministero assai poco attento alle regole. E ancora le elezioni a parlamentare europeo e, soprattutto, a sindaco di Napoli. Una carrellata di fallimenti amministrativi, politici, gestionali nel capoluogo campano culminata con il flop della lista Rivoluzione civile con Antonio Ingroia.

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Informazioni

1. La natività

«Credo di sapere cosa si prova ad essere Dio»
PABLO PICASSO
«Gesù era un giudice, non certo un PM
o forse un avvocato perché avrebbe sposato le cause
degli ultimi. Ma non dimenticate che era prima
di tutto un imputato, un condannato»
LUIGI DE MAGISTRIS
«L’ultimo anno di liceo ebbi anche un sette in condotta. Contestazione al preside, con atteggiamenti e parole molto forti. Questo condizionò anche il voto finale. Poteva essere sessanta e invece fu cinquantuno»1.
La lotta ai poteri forti di Luigi de Magistris è iniziata così, prendendosela con il dirigente scolastico del «Pansini», il liceo classico della buona borghesia napoletana, storica roccaforte dell’estrema sinistra.
«Il preside era, penso non a torto, un po’ troppo reazionario»2.
Quando si dice il destino. Da allora, il nostro, non si è più fermato.
Il lessico famigliare di de Magistris poggia su pochi, ma solidi punti. Figlio e nipote d’arte, dal lato paterno. Uditore giudiziario il bisnonno nel 1868; pubblico ministero d’azione il nonno, vittima di un tentato omicidio; giudice dei grandi processi di camorra il papà, Giuseppe. Dall’unità d’Italia, o giù di lì, in un’aula di tribunale c’è stato sempre un de Magistris in toga. Fino al 2010, almeno. Quando l’ultimo discendente ha deciso di appenderla al chiodo e darsi alla politica.
«La mia strada era spianata, ero straordinariamente stimato», ha detto tronfio di sé. Solo che si è intestardito in alcune inchieste e il CSM l’ha fatto a pezzi. La toga che amava è finita in naftalina, reliquia per fan e nipoti.
Suo nonno materno era Luigi Russo, tra i più grandi critici letterari del Novecento. Docente e poi direttore alla Scuola Normale di Pisa, fondatore della rivista «Belfagor» e candidato indipendente nelle liste del PCI siciliano alle politiche del 1948. Non riuscirà a conoscerlo, il piccolo Luigi, che nascerà diciannove anni dopo la sua scomparsa, ma è probabilmente da lui che il futuro sindaco eredita la passione per la falce e il martello. Ci sarebbe pure una presunta, discussa mezza parentela con Paolo Cirino Pomicino prima confermata e poi smentita. E di nuovo confermata, dall’ex pupillo di Andreotti3.
A quattordici anni, quando non parte con gli scout, legge «il manifesto». Qualche anno dopo, passerà a I rivoluzionari di Hobsbawm, facendo non poco preoccupare il papà giudice. «Anch’io ho trasgredito da giovane, anch’io ho avuto le mie stagioni di sana ribellione»4, s’intenerisce.
Da bimbo taciturno col volto coperto dai ricci che sembra un putto diventa il giovanotto barricadero che poi approderà a Catanzaro e Napoli. È una testa calda. Sia in famiglia che fuori.
Già allora, faceva la sua piccola rivoluzione (arancione).
Al ginnasio, s’imbeve della quintessenza della cultura comunista. Si avvicina agli scritti di Gramsci. Segue Berlinguer. Dice (oggi) di aver letto Il Capitale di Karl Marx. Simpatizza per il movimento sessantottino di Mario Capanna, e trascorre ore a discutere con i «compagni» di classe – in tutti i sensi – «se fosse più giusto votare Democrazia proletaria oppure non disperdere i voti e votare PCI»5.
È alla sinistra della sinistra, ma ogni tanto non si nega una scappatella in chiesa.
È infatti un fervente credente, il rosso de Magistris. Si direbbe oggi, un «cattocomunista».
A sedici anni iniziano le prime cotte.
È nu bellu guaglione, Giggino.
Colleziona fidanzate. «Ho avuto molte storie ma mai contemporanee. Io sono un romantico: non mi piace la storia di una notte, il sesso senza amore», confida. E facendo la ruota, da novello latin lover, la butta là: «E comunque non mi è mai capitato che una donna mi lasciasse». La moglie, Maria Teresa Dolce, avvocato e sorella di un magistrato calabrese, la conquista chiedendo al bar una spremuta d’arancia6. «Nei tribunali c’è gente che si dà arie... Capii che Luigi era diverso»7, conferma lei.
A Napoli le ragazze dei quartieri popolari ne hanno storpiato il soprannome in Giggino Bandieras. Come il bell’Antonio, l’attore spagnolo. «Che piaccio, oggettivamente, lo constato», ammette lui. Pure ai gay. Che hanno tentato (invano) di rimorchiarlo. Lo confessa a «Diva e donna», una rivista non propriamente giuridica.
«A me piace molto il mondo omosessuale, perché penso sempre che là c’è molta sensibilità». Politically correct anche da sindaco, quando aprirà alle coppie di fatto urtando un’altra sensibilità: quella della Chiesa locale nella persona del cardinal Crescenzio Sepe.
E se qualcuno si diverte a seminare veleni con gossip di quarta serie, magari con colleghe o con giovani giornaliste, è anche perché «sono fisicamente gradevole»8.
Nel 1985, si diploma nella III C del Pansini, una delle classi «sempre in prima linea nelle lotte studentesche».
All’esame di maturità porta italiano e filosofia, ma fa scena muta quando il presidente della commissione, un prete, gli chiede di citare a memoria qualche poesia di Carducci. In classe non ne avevano imparato nemmeno una.
«L’imbarazzo fu grande, la professoressa di italiano aveva solo accennato al poeta. Invece che di Carducci ci parlava di Marx»9, si giustificherà tempo dopo.
A ventitré anni, si laurea a pieni voti con una tesi in diritto penale. Poteva scegliere la facoltà di filosofia, la sua altra grande passione.
Poi «ho sentito dentro, forte e intensa, la passione per quello che reputo uno dei lavori più belli: il magistrato»10. Le «sudate carte» gli danno la possibilità di comprendere «la forza rivoluzionaria del diritto» e «come con il diritto si possa cambiare la società».
È fulminato sulla via di Damasco dall’articolo 3 della Costituzione, comma secondo: il «compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che di fatto rendono le persone diseguali». A recitarlo, gli brillano ancora gli occhi.
Di nascosto, tra un esame e l’altro, s’intrufola nello studio di papà Giuseppe con cui ha un rapporto difficile.
«Comunicavamo poco, gli ho sempre rimproverato dentro di me questa sua incapacità di dialogare con i figli, credo però di non aver mai stimato una persona più di lui»11.
La sua prima formazione sul campo è con la lettura delle sentenze scritte dal papà; gli resteranno impresse, in particolare, quella sul rapimento di Ciro Cirillo, l’ex assessore regionale sequestrato dalle Brigate; e quella sull’ex ministro Francesco De Lorenzo.
La mamma Marzia, in appena 48 ore, gli cuce la toga da magistrato che il primogenito indosserà, il giorno della tesi, sorridente accanto al papà. Oggi, quella fotografia è nella casa dei genitori, al Vomero. Ma il successo al concorso per l’ingresso in magistratura non migliora il suo caratteraccio. Chiedetelo alle donne di famiglia, la mamma e la moglie. Sono loro le spugne che devono assorbire le sfuriate dell’ex PM.
«Tratto male le persone cui sono più legato... Sono sfoghi, gesti di liberazione», si giustifica.
Di rimando, la consorte: «Mio marito non ha un buon carattere, talvolta ha risposte sgarbate»12.
Cazziatoni, niente di più. Da perdonare, sempre e comunque, anche se forse il suo stakanovismo lavorativo l’ha un po’ cambiato rispetto a come Maria Teresa se l’era immaginato il 30 maggio 1998, all’appuntamento coi fiori d’arancio (dopo la spremuta...) nella chiesa di Soverato.
«Il giorno prima delle nozze ho fatto un interrogatorio sino alla sera. Eravamo nel pieno dell’indagine Artemide», ricorda fiero Giggino.
«Abbiamo tanti amici ma li vediamo poco, sono anni che si lotta», dice lei13.
Da magistrato in ascesa, proprio per il tanto faticare, trascurerà purtroppo i due figli, e con le megainchieste addio sogni d’estate: «Con Why not, né domeniche né vacanze».
Col tricolore di traverso sul petto Luigi de Magistris faticherà ancora di più: «Lavoro dalle 16 alle 18 ore al giorno, e spesso chiedo ai ragazzi della mia scorta: ma sono veramente il sindaco di Napoli? Come se non ci credessi ancora…»14.
Anche se a dirla tutta, per tornare alla «violenza», Giggino ne subisce, in un certo senso, il fascino.
«Non tutta è necessariamente da condannare, lo dico da non violento convinto». Vedi la Rivoluzione francese. Vedi l’insurrezione partigiana. D’altronde, pure Gesù, nel tempio, alla fine s’incazza e sfascia i tavoli dei mercanti.
E, infatti, col Nazareno, Giggino giura di avere da sempre un certo feeling. Da quando anziché il «Corriere dei piccoli», sfogliava il Vangelo che riteneva «rivoluzionario», essendo cresciuto a pane, falce e martello. Pugno chiuso e nell’altro il rosario:
«Io interpreto il messaggio di Gesù come amore. È come se avessi Gesù nel cuore... Gesù è dentro di me».
Giggino peace and love. Giggino diavolo e acqua santa. Che a san Gennaro non sarebbe andato giù, stando a Paolo Isotta, il più grande critico musicale del dopoguerra, controcorrente in una Napoli metà affondata e metà alla deriva: «Il 19 settembre le ampolle del Santo sono state trovate già liquefatte, segno infausto. Il sangue si deve liquefare per preghiera ma il Santo era corrucciato per l’elezione del sindaco»15
San Genna’, pienzece tu!

2. L’alba di un nuovo mondo

«Prima raccogli i fatti,
così in seguito potrai
distorcerli come ti pare»
MARK TWAIN
«Era il dicembre 1995 quando arrivai in Calabria.
Quasi subito cominciai a lavorare su indagini importanti.
Catanzaro era considerata una città tranquilla,
senza microcriminalità. Sembrava di stare
a Mont...

Indice dei contenuti

  1. De Magistris, il pubblico mistero
  2. Colophon
  3. Indice
  4. Dedizione
  5. Prefazione di Filippo Facci
  6. Introduzione
  7. 1. La natività
  8. 2. L’alba di un nuovo mondo
  9. 3. Fenomenologia di un PM
  10. 4. Requiem
  11. 5. Grand Hotel
  12. 6. La clinica degli orrori
  13. 7. Il grande Architetto
  14. 8. Il palazzo d’(in)giustizia
  15. 9. Parentesi napoletana
  16. 10. Romanzo municipale
  17. 11. Medici (e PM) in prima linea
  18. 12. Kafka calabrese
  19. 13. Manette pulite
  20. 14. L’inizio della fine
  21. 15. Il feroce Saladino
  22. 16. Il collezionista
  23. 17. Salerno-Calabria
  24. 18. «Arrestate Prodi»
  25. 19. Amaro lucano
  26. 20. Colpevole!
  27. 21. Atto d’accusa
  28. 22. Addio alla toga
  29. 23. (Non) saranno famosi
  30. 24. Il telefono, la sua croce
  31. 25. È la stampa, bellezza
  32. 26. L’Italia dei pretori
  33. 27. Infelici e scontenti
  34. 28. La discesa in campo
  35. 29. Mujaheddin arancione
  36. 30. La bufala americana
  37. 31. 2012: odissea nello strazio
  38. 32. L’autogol col PM di Calciopoli
  39. 33. Di tutto, di più
  40. 34. Romeo, amore e odio
  41. 35. Gomorra a Palazzo
  42. 36. Via col vento
  43. 37. Rivoluzione di bile
  44. 38. Eutanasia del diritto
  45. 39. Intervista al (PM) sindaco
  46. Note