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Di fronte ai profondi cambiamenti della famiglia, regna oggi una grande incertezza. Ci si chiede: la famiglia naturale, ovvero normo-costituita, è una istituzione del passato oppure ha ancora davanti a sé un futuro?Questo testo va alla ricerca di risposte plausibili, basate su fatti sociologici. La tesi di fondo è che la famiglia così concepita, nonostante i mutamenti in atto, rimane una istituzione del futuro. Le ragioni che vengono qui presentate sono di vario ordine, ma fondamentalmente si basano sull'argomento che la famiglia possiedeun "genoma" proprio, che non è biologico, ma sociale. Se questo genoma viene seriamente modificato, fino a perdere la sua identità, la società ne risente in termini di perdita di coesione sociale e di alienazione umana.La società dopo-moderna risente di queste modificazioni, ma deve anche elaborare delle risposte di empowerment del genoma familiare. Il testo spiega come ciò avvenga, con quali conseguenze e quali siano le possibili prospettive per la famiglia di domani.

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Informazioni

1.
La famiglia come realtà relazionale

1. Premessa

QUESTO TESTO PROPONE di comprendere la famiglia rovesciando la prospettiva usuale che parte dalla definizione di famiglia per poi spiegarla nelle sue varie accezioni, dimensioni, tipologie. Tale modalità mantiene una sua validità. Ma qui utilizzo un altro approccio. Parto dalla famiglia come problema: perché si deve fare famiglia? È un’esigenza degli individui o della società? Com’è possibile la famiglia? In sostanza: perché esiste la famiglia e non un’altra forma sociale che possa soddisfare le esigenze di carattere affettivo e materiale di convivenza quotidiana?
La necessità di rispondere a questi interrogativi ci porterà a trovare la famiglia, la sua forma relazionale, come soluzione. Se supponiamo che la famiglia possa non esistere, diventerà necessario trovare le buone ragioni per cui la famiglia esiste, ossia perché non ha e non può avere dei sostituti funzionali, sia per gli individui sia per la società.
La famiglia diventa oggi un problema in quanto sembra venire meno la sua identità specifica. Sembra che tutte le forme di «vivere insieme» facciano famiglia. Partendo da questa rappresentazione collettiva, che sta alla base di una diffusa sensazione trasmessa dai mass media e che trova sostegno fra molti studiosi, cercheremo di rintracciare – sempre che sia possibile, a partire dalle dinamiche di fatto – il senso dell’«avere una famiglia» e del «fare una famiglia».
Le risposte, come vedremo, stanno nel fatto che la famiglia è una relazione sociale (dunque: non meramente biologica o psicologica) dotata di caratteristiche proprie: è unica e infungibile. Si tratta di comprendere le qualità sui generis di questa specifica relazione. Alla base dell’approccio sociologico che viene qui proposto, c’è la assunzione che l’identità della famiglia non giaccia tanto in un fatto materiale oggettivabile (una struttura fisica, come la casa, o un patrimonio, anche se spesso la osserviamo così), e neppure in una caratteristica soggettiva (un sentimento, una percezione, un affetto, ecc.), ma nell’essere una relazione sociale. In quanto relazione, è invisibile e immateriale (è una entità che le scienze sociali oggi chiamano, con un termine inglese, «bene immateriale», intangible good), e tuttavia ha una sua realtà, anche cogente e comunque decisiva per il destino di ciascun essere umano. Ridurla a norme giuridiche corrisponde ad una esigenza funzionale che deve sempre trovare delle ragioni sovra-funzionali per essere giustificata. La sua realtà, infatti, consiste in un intreccio di elementi oggettivi e soggettivi che trascendono le cose già date.
La famiglia può essere agìta solo dalle persone, ma precede e va oltre le persone. Nel suo modo di essere, la famiglia è una soluzione ai bisogni più fondamentali sia della persona sia della società.

2. La famiglia come problema sociologico (la cosiddetta pluralizzazione delle forme famigliari)

2.1 Perché la famiglia diventa sempre più un problema sociale? La famiglia si presenta come problema non solo e non tanto perché diminuiscono i matrimoni (il che può avvenire per un’infinità di cause differenti), o perché crescono le separazioni, i divorzi, le nascite di figli fuori del matrimonio, e neppure perché l’esercizio della sessualità viene slegato dalla relazione coniugale (con la scissione fra sesso e amore). Tutti questi fenomeni (e altri ancora) correlati a forme più o meno alternative di fare coppia e avere figli, sono «manifestazioni», sintomi, più che «cause» della problematicità della famiglia. Di per sé, infatti, gli indicatori anzidetti non cancellano la famiglia. Rappresentano certamente delle crisi e delle difficoltà. Segnalano degli stili di vita diversi dalla famiglia, che la affiancano o ne offrono dei surrogati più o meno provvisori. Ma, in un certo senso, questi fenomeni rafforzano il bisogno della famiglia, e finanche la sua idealizzazione. E comunque non potrebbero esistere senza di essa.
La famiglia diventa un problema se, in quanto e allorché scompare il senso della sua relazionalità costitutiva. Ciò si rende evidente oggi, nel momento in cui la cultura dominante in Occidente arriva ad affermare che «non esiste più la famiglia», ma che «ci sono tante e diverse famiglie» quante sono le forme di convivenza che gli individui formano a loro piacimento (families-of-choice). È la tesi della cosiddetta «pluralizzazione delle forme famigliari». A mio avviso, questa tesi comporta la necessità di distinguere fra tre modi di usare il termine «famiglia»: a) il modo della metafora, b) il modo della analogia e c) il modo della identità propria.
Dobbiamo chiarire queste tre modalità. Se si segue il percorso di osservazione e interpretazione dei fenomeni sociali lungo questa distinzione ermeneutica (dalla famiglia come metafora → alla famiglia in senso analogico → all’«essere» proprio della famiglia), si può scorgere il cammino lungo il quale la relazione famigliare si fa sempre più piena e umanizzante proprio in quanto relazione sociale dotata di senso.
2.2 Sembra che parlare di pluralizzazione della famiglia equivalga a legittimare l’idea secondo cui sarebbero da considerare famiglie tutte le forme di convivenza (il concetto stesso di coppia diventa evanescente), con o senza matrimonio, fra sessi diversi o uguali, con due genitori o uno solo (e genitori naturali, oppure solo legali), fino a tutte le forme di «arrangiamenti di vita» (living arrangements) virtualmente possibili, alla sola condizione che gli individui coinvolti si sentano legati da relazioni – affettive e di cura reciproca – particolarmente intense, quali che siano il tempo di durata e le modalità di tali relazioni. Ci si chiede allora: è veramente così oppure «fare famiglia» implicha dei particolari requisiti, cioè delle qualità necessarie affinché una «convivenza stabile fra persone» possa essere detta «famiglia»?
Il dibattito sull’emergente pluralismo famigliare è segnato da due tesi contrapposte, che semplifico per ragioni di brevità. i) La prima tesi sostiene che il pluralismo famigliare è il prodotto di un’evoluzione più o meno deterministica, la quale esige di per sé una crescente variabilità, a prescindere da quale valore viene attribuito alle singole forme. Nell’ottica di questa linea interpretativa, i cambiamenti della famiglia avvengono all’insegna della «dissolvenza» della cosiddetta «famiglia tradizionale» (coppia sposata con i propri figli), che si suppone diventi del tutto marginale (ignorando il fatto che essa rimane invece la forma statisticamente più diffusa e «normale»). Si preconizza che la famiglia non potrà mai più assumere forme che in qualche modo assomiglino al passato. E ciò perché – così si suppone –, il matrimonio diventa un legame troppo costrittivo e oneroso, la sessualità si stacca dalla fecondità, l’avere figli diventa una scelta eccezionale, a causa dei costi, difficoltà e rischi crescenti, oltreché per via del non sostenibile aumento della popolazione mondiale. ii) L’altra tesi sostiene, invece, che il pluralizzarsi delle forme riflette delle tendenze negative, di tipo autodistruttivo, regressivo e di degradazione sociale, che generano delle forme di vita incapaci di rappresentare soluzioni soddisfacenti e stabili nei rapporti fra i sessi e fra le generazioni, cosicché la società deve per forza di cose ridurre la variabilità dei possibili comportamenti famigliari, e rivalutare certe caratteristiche «perenni» – di impegno contrattuale e di stabilità fra i sessi e fra le generazioni – tipiche della famiglia tradizionale.
Dal punto di vista sociologico, sia l’una sia l’altra tesi prospettano delle linee evolutive che chiedono di essere valutate in una prospettiva futuribile più ricca e complessa1. Il loro limite comune sta nel fatto che entrambe le tesi fanno riferimento a un modello di «famiglia tradizionale» (a dominanza maschile e disugualitario fra le generazioni) che viene usato come un comodo stereotipo polemico, in senso negativo (da combattere) o in senso positivo (da difendere). Si dimentica che la dizione «famiglia tradizionale» non indica un modello storico preciso, ma solamente una «società naturale» fondata sul coniugio fra un uomo e una donna che rende stabili, prevedibili e socialmente tutelati gli scambi fra di essi e l’assolvimento dei compiti comuni, come la procreazione e l’educazione dei figli. Dire «società naturale» non significa identificare una forma unica. Piuttosto l’espressione allude a un «universale culturale» che è empiricamente riscontrabile in tante e differenti società, praticamente in tutte quelle del passato. In quanto pattern di orientamento culturale e strutturale, si è concretizzato in una quantità di configurazioni diverse ed è sempre stato problematico (molti sociologi avvallano spesso – anche non intenzionalmente – l’idea che nel passato la famiglia sia stata solida, e che solo quella nucleare odierna sia critica). Non bisogna, quindi, anche per il futuro, pensare che la cosiddetta famiglia tradizionale sia un modello ipostatico, e che esso vada soggetto alla degradazione del tempo. Però è vero che la società del secolo XXI lancia una sfida senza precedenti, perché mette in causa l’idea stessa che possa esistere un tale pattern e sembra tentare un esperimento che dovrebbe portare, secondo alcuni, alla sua estinzione.
Non ci si può accostare adeguatamente alla relazione famigliare con l’intento di comprenderla nel suo modo di essere se lo si fa con schemi evoluzionistici o tradizionalistici. L’evoluzionismo spaccia per forme «più adatte» o «più avanzate» (per esempio famiglie senza matrimonio, con un solo genitore, unioni omosessuali) ciò che semplicemente emerge da fenomeni di moda o da mutazioni socio-culturali il cui grado di probabilità di persistenza e capacità di civilizzazione rimane tutto da dimostrare. Siccome nel campo della famiglia non valgono leggi di tipo evoluzionistico (non valgono le leggi dell’evoluzione teorizzate da Charles Darwin), ogni previsione di questo genere è fuori luogo. Per contro, il punto di vista cosiddetto tradizionale avanza un argomento ragionevole quando sostiene che, delle due, l’una: o la famiglia è vitale oppure si dissolve o degrada in qualcos’altro. Ma si trova in grosse difficoltà ad articolare le differenze storiche specifiche tra forme famigliari diverse e quindi è incapace di esprimere descrizioni e previsioni utili a riguardo delle dinamiche sociali.
2.3 Il tema della pluralità della famiglia va affrontato con un pensiero più complesso delle mere descrizioni positivistiche e delle pure estrapolazioni o proiezioni storiche. Si devono evitare gli schematismi secondo i quali il progresso coinciderebbe con una sempre ulteriore individualizzazione degli individui, mentre il rafforzamento dei legami sociali rappresenterebbe un regresso. Un pensiero complesso circa la famiglia deve articolarsi su due grandi assi descrittivo-interpretativi: (i) una semantica distintiva della pluralità e (ii) una teoria della morfogenesi famigliare. Si tratta di due assi che operano congiuntamente, cioè relazionalmente (vengono esposti qui di seguito in grande sintesi, come base teorica di ogni discorso sul futuro della famiglia).
(i) Le semantiche della pluralità. Quando usiamo il sostantivo «pluralità» o l’aggettivo «plurale» lo facciamo per contrapporre qualcosa all’unità o al singolare. Se diciamo: non «la» famiglia, ma le famiglie, quali sono i criteri con cui distinguiamo (in termini quantitativi e qualitativi) le diverse famiglie?
È interessante notare che il linguaggio di senso comune non riesce a distinguere (al suo interno) la parola famiglia, che rimane per così dire, sempre «intatta». Il linguaggio ordinario può usare il termine famiglia al plurale (le famiglie), ma con ciò non opera alcuna distinzione interna al famigliare. Sulla parola famiglia possono essere fatti molti giochi, linguistici o semantici, ma questi giochi non portano mai a sostituire la parola famiglia, e i suoi derivati, con altre parole equivalenti. Le forme famigliari vengono moltiplicate (con aggettivi aggiuntivi e altri artifici), ma rimane l’idea che la famiglia sia un pattern relazionale avente una sua specifica qualità, che non è scindibile, se non al prezzo di una perdita secca.
Per distinguere le forme famigliari, si applicano delle figure retoriche: l’analogia e la metafora (la prima è basata sulla somiglianza, la seconda sulla similitudine). Per esempio, quando si parla di convivenze more uxorio si fa un’analogia: il diritto applica qui alle convivenze certe disposizioni che valgono per le famiglie legali, a condizione che vengano riconosciute simili (somiglianti) alle famiglie. In altri casi, invece, la figura che si usa è quella della metafora. Per esempio, di un gruppo di persone si dice «sono una famiglia» per dire che sono legate da un profondo affetto o da legami di stretta solidarietà. Anche una comunità religiosa si descrive così, metaforicamente, come famiglia. A molti imprenditori piace dire che la loro azienda è «come una famiglia». Ma non lo è in senso proprio. Così pure capita per certe unioni di amicizia o di convivenza stretta fra persone, dove lo scopo può anche essere l’affetto e la cura mutua, ma non la relazione di piena reciprocità fra i sessi e fra le generazioni (che è precisamente il pattern che caratterizza la famiglia). Il concetto di «piena reciprocità» fa riferimento alla caratteristica propria delle relazioni famigliari di connettere tra loro i soggetti con la totalità del loro essere, non solo e non tanto, quindi, in forza del ruolo sociale da essi assunto o del fine strumentale che intendono perseguire.
Le relazioni primarie di amicizia e cura possono essere dette famiglia solo in senso metaforico, per similitudine, non per somiglianza. La similitudine, è bene ricordarlo, è quella figura retorica che consiste nel paragonare fra loro due entità o concetti che condividono alcune qualità, ma sono di diversa natura.
La società futura, ad avviso di chi scrive, farà un uso sempre più ampio di analogie e metafore in tema di famiglia, ma ciò non significa che i gruppi primari chiamati «famiglie» lo saranno veramente. Sotto certi aspetti, anzi, la società del secolo XXI deve di nuovo approfondire le distinzioni fra le relazioni propriamente famigliari e quelle non-famigliari: le prime sono caratterizzate dalla capacità/possibilità di mantenere e rinegoziare i rapporti di scambio fra i sessi e fra le generazioni; le seconde emergono come relazioni tipiche di stili di vita caratterizzati da orientamenti all’individualizzazione e alla privatizzazione dei rapporti interpersonali, quale ambito primario di una vita solo metaforicamente famigliare. Che un numero crescente di persone possa scegliere questo secondo tipo di rapporti non può fare meraviglia. È la cultura e la struttura sociale del mondo post-moderno a portare in queste direzioni. Ma ciò non significa che la famiglia possa scomparire o che essa possa essere diluita e confusa nelle altre forme di vita. Piuttosto, proprio queste ultime contribuiranno a segnalare nuove distinzioni rispetto ai fattori soggettivi e oggettivi che producono la famiglia per differenza con altri gruppi primari, per esempio di semplice amicizia. In altri termini, la famiglia – proprio come relazione – deve reintrodurre in sé, quando si attua, la propria distinzione-guida: in una parola, proprio a causa dell’emergere di relazioni non-famigliari che pretendono il marchio del famigliare, deve farsi ancor più di prima «sistema autopoietico» che, cioè, utilizza il codice della relazione per autogenerarsi.
La società odierna, non meno di quella del passato, viene costruita sulla base di «discorsi linguistici» che si rifanno necessariamente a un archetipo – quello della famiglia – che viene usato per fare giochi culturali e giochi di società. Su tali giochi vengono costruiti dei mondi simbolici e virtuali la cui consistenza sociologica rimane sempre da definire. Alle volte si tratta di mere referenze simboliche (per esempio quando si parla di famiglia per indicare due amiche o due amici che vivono insieme), altre volte si tratta di connessioni più consistenti (come nelle convivenze stabili more uxorio). Ma altre volte ancora si tratta di happening, di carnevali, di mercati illusori, di rappresentazioni teatrali, di fiction, o di comunicazioni strategiche che debbono essere analizzate e interpretate caso per caso.
Il fatto che, per ragioni amministrative, il sistema politico (il welfare state) non possa (per i diritti di privacy) distinguere fra queste diverse forme di vita comune, in quanto deve attenersi alla sua funzione e alla relativa ottica giuridica (di intitolazione «politicamente corretta» dei diritti-doveri, senza discriminazioni), parimenti non fa meraviglia. Sappiamo già in anticipo che i sistemi politici occidentali adottano una definizione di famiglia che corrisponde, molto semplicemente, alla «famiglia anagrafica» (secondo le varie legislazioni amministrative), cioè all’insieme delle persone che risultano convivere sotto lo stesso tetto, a prescindere dalla qualità delle loro relazioni. Ma ciò crea più problemi sociali di quanti non ne risolva. Risulta utile solo per i trattamenti legati ai consumi e ai redditi delle «famiglie» intese – per l’appunto – solo come unità di calcolo monetario.
Dal punto di vista sociologico, invece, rimangono validi i tre tipi di registri semantici in cui la famiglia può essere declinata «al plurale», cioè: a) il plurale declinato sull’identità specie-specifica della famiglia, quando si riesce a distinguerla dalle altre forme di relazioni primarie, il che avvien...

Indice dei contenuti

  1. La famiglia
  2. Colophon
  3. Dedizione
  4. Introduzione Comprendere le ragioni sociali della famiglia
  5. 1. La famiglia come realtà relazionale
  6. 2. La famiglia nell’orizzonte della storia
  7. 3. L’identità maschile e femminile: distinzioni e relazioni per una famiglia e una società a misura della persona umana
  8. 4. La coppia e la famiglia: alla ricerca di un «Noi» in cui essere se stessi
  9. 5. Le virtù sociali della famiglia
  10. Prospettive sul futuro: Che cosa fare dopo la de-istituzionalizzazione della famiglia?
  11. Note
  12. Indice