1.
Denaro e credito
SE CI RIVOLGIAMO ALL’UOMO DELLA STRADA o a coloro che si dedicano al commercio, all’industria, agli affari in genere o a coloro che operano nel mondo della politica, la maggior parte dichiarerà che quanto più denaro e più crediti a buon mercato ci sono tanto meglio sarà. Se però riflettiamo un momento, potremo convenire che, negli anni che hanno preceduto l’attuale grande crisi, dalla quale sembra che non se ne venga fuori, abbiamo avuto in abbondanza denaro e crediti a buon mercato. Per questa ragione, mi è sembrato opportuno dedicare la prima di queste lezioni al denaro e al credito.
Il denaro è un mezzo di scambio liberamente accettato da tutti (imprese e cittadini) e che manteniamo in nostro potere (lo domandiamo), perché ci consente di acquistare, in qualsiasi momento, ogni tipo di bene e di servizio e permette di fare fronte a pagamenti, siano essi previsti o imprevisti, che si presentano nello svolgimento delle nostre attività1. Vari tipi di merce hanno svolto questa funzione nel passato (e, presso certe comunità primitive, lo fanno tuttora). Ma i metalli preziosi sono stati preferiti a tutte le altre merci e per secoli hanno svolto tale compito. Attualmente i metalli preziosi sono scomparsi dalla scena, perché nella pratica il loro stoccaggio, la loro custodia e il loro trasporto rendevano molto dispendioso il meccanismo di riscossione e pagamento. Oggi tutto si realizza attraverso un denaro generato dal credito bancario e, in buona parte, l’instabilità della nostra economia deriva proprio da questo mutamento.
In passato prevaleva il credito commerciale, un credito ottenuto da un’impresa o da una persona fisica per la fiducia ispirata ai propri fornitori nel pagamento dilazionato dei debiti. Il che imponeva ai concedenti una previa accumulazione di capitale. Al giorno d’oggi prevale il credito bancario, che è svincolato dall’accumulazione di capitale. Un banca centrale, proprietà del governo, crea riserve bancarie2 e le somministra a un esclusivo circolo di banche private che moltiplicano quella cifra, concedendo vari tipi di credito ai propri clienti. E questi usano il saldo a loro favore come denaro bancario, una moneta-credito al posto di una moneta-merce.
La diffusa credenza è che la banca centrale, con la sua politica di creazione di riserve, sia in grado di sapere quale sia la quantità di denaro bancario (moneta-credito) necessaria per il funzionamento dell’economia. In realtà, stabilire quale sia la quantità di denaro bancario necessaria per il regolare corso di un’economia, senza generare periodi di boom e di depressione, si è rivelato più difficile di quanto si pensasse. Da un lato, la concessione del credito non dipende più dall’accumulazione del capitale; d’altro canto, non è facile sapere quale sia la quantità di moneta-credito corrispondente alla domanda della stessa come mezzo di scambio. Inoltre, come se non bastasse, l’adozione della moneta-credito ha permesso di nazionalizzare il denaro. Non abbiamo una moneta accettata da tutti; ce ne sono tante come tante sono le nazioni. Insomma, è da tutti i punti di vista un rompicapo. Il credito che non si adegua alla quantità del capitale accumulato, la moneta-credito che non si adegua alla domanda; e tutto ciò moltiplicato per il numero dei Paesi che operano nel mercato. Il nostro compito non sarà facile, ma cercherò di portarlo a termine, in maniera che tutto sia comprensibile.
A dire il vero, le imprese e le persone fisiche domanderebbero, per spenderlo, tutto il denaro bancario loro somministrato. Ma non si tratta di questo. Un sistema bancario che elargisse tutto il denaro domandato condurrebbe alla paralisi degli scambi monetari. Questo è quanto abbiamo sperimentato con assoluta chiarezza, quando si è scatenato ciò che gli economisti chiamiamo iperinflazione. Nel secolo scorso, la più significativa è stata quella della Germania, vissuta tra l’agosto del 1922 e il novembre del 1923. Durante quel drammatico periodo, i prezzi tedeschi sono saliti a un tasso mensile medio superiore al trecento per cento, tanto che la gente ormai gettava le banconote nel cestino, preferendo scambiare bene contro bene, come si sarebbe fatto una volta nella selva.
Si racconta un aneddoto a proposito del famoso economista austriaco Ludwig von Mises, in una situazione vissuta in Austria un po’ prima, tra l’ottobre del 1921 e l’agosto del 1922. I prezzi dei beni aumentavano mensilmente di circa il cinquanta per cento. Il governo si è allora deciso di rivolgersi a Mises, che rivestiva allora la carica di economista-capo della Camera di Commercio di Vienna. L’illustre economista ha ascoltato le preoccupazioni degli incaricati del governo, dando poi loro un successivo appuntamento, per le undici di notte nel suo ufficio. Nonostante lo stupore, i visitatori si sono presentati puntuali all’incontro. Giunto il momento, Mises li ha invitati ad ascoltare attentamente il rumore proveniente dall’esterno, che nel silenzio della notte era prodotto dalle macchine che stampavano le banconote. Grazie alla prossimità all’ufficio dell’economista, tutto si percepiva chiaramente. A quel punto, non è stato difficile a Mises suggerire che, se il governo avesse voluto frenare il processo di inflazione dei prezzi, la cosa più sicura e più semplice da fare sarebbe stato ordinare alla tipografia di non stampare ulteriori banconote3.
Quando è esplosa l’odierna crisi bancaria e finanziaria, nessuno avrebbe pensato che si potesse propagare così gravemente all’economia reale. Non soffrivamo una iperinflazione e credo che sia abbastanza improbabile che possa accadere qualcosa di simile nei Paesi industrializzati. Si stava tuttavia manifestando un nuovo fenomeno. Si è affermato quel che si è voluto chiamare «sistema bancario ombra», un’espressione che intimorisce. Questo nuovo sistema di intermediazione finanziaria ha prodotto negli Stati Uniti qualcosa di inconcepibile. In soli 10 anni, dal 1996 al 2006, i prezzi reali degli alloggi si sono quasi duplicati, più di tre volte di quanto non avessero fatto nei cento anni precedenti. E qualcosa di simile, un aumento insostenibile dei prezzi degli alloggi, in Inghilterra e in Spagna, ha inondato i bilanci bancari di attività finanziarie tossiche, che non solo hanno disarticolato i sistemi nazionali di credito, ma hanno fatto emergere problemi che, nel momento in cui abbiamo adottato una moneta unica, non avevamo preso in considerazione.
GRAFICO 1. Prezzi reali delle abitazioni 1891-2008. Stati Uniti
Fonte: C.M. REINHART, K.S. ROGOFF, Questa volta è diverso. Otto secoli di follia finanziaria, trad. it., il Saggiatore, Milano 2010
Fino ad allora, le banche centrali avevano creduto che una crescita a breve termine del due per cento dei prezzi dei beni di consumo avrebbe assicurato la stabilità del nostro sistema nazionale di credito. Ma non è andata così. Si tratta di un problema che dovremo affrontare nei prossimi anni e che occuperà una buona parte di queste brevi lezioni sulla crisi.
2.
Le monete nazionali
UN NOTO ECONOMISTA INGLESE del Diciannovesimo secolo ha scritto che «permane tanta barbarie nei rapporti fra i Paesi più civili che quasi tutti i Paesi indipendenti preferiscono affermare la propria nazionalità conservando, a discapito di se stessi e dei vicini, una propria moneta» o, il che è la stessa cosa, un sistema indipendente di banche nazionali1.
Da allora, la barbarie non ha fatto altro che aumentare. Per rendercene conto, è sufficiente prendersi la briga di predisporre una tabella, senza dubbio estesa, che riporti la maggior parte delle valute nazionali che attualmente circolano nel mondo, indicando il prezzo di un dollaro statunitense in termini di ciascuna valuta, in un giorno dell’anno scelto a caso.
Come si vede, ne manca qualcuna e altre sono aggiunte. Per esempio, la nostra antica moneta nazionale figura inclusa con un tasso di cambio di 128,6324 peseta per ogni dollaro. C’è infatti chi pensa che, se al posto dell’euro avessimo avuto una moneta nazionale propria, svalutandola e fissandone per esempio il tasso di cambio a duecento peseta per ogni dollaro, ci saremmo sottratti all’attuale crisi e non avremmo l’esorbitante livello di disoccupazione attuale. La questione non è affatto marginale e sarebbe precipitoso liquidarla. Il caso dell’Inghilterra, la cui moneta nazionale è stata svalutata e la cui banca centrale ha dovuto acquistare niente di meno che un terzo del debito pubblico in circolazione, senza che ci siano segni di ripresa economica, dovrebbe farci comprendere che non ci troviamo davanti a una crisi qualunque, che possa essere risolta facilmente, mediante le prevalenti teorie monetarie.
TABELLA 1.
DENOMINAZIONE | TASSO DI CAMBIO |
EUROPA |
Peseta andorrana | 128,6324 |
Lek albanese | 08,0801 |
Scellino austriaco | 10,638 |
Marco bosniaco | 1,5129 |
Franco belga | 31,1866 |
Lev bulgaro | 1504,213 |
Franco svizzero | 0,9622 |
Corona ceca | 20,094 |
Marco tedesco | 1,512 |
Corona danese | 5,7608 |
Corona estone | 12,0626 |
Peseta spagnola | 128,6324 |
Euro | 0,7729 |
Marco finlandese | 4,5966 |
Franco francese | 5,0712 |
Lira sterlina | 0,6615 |
Dracma greca | 263,4325 |
Kuna croata | 5,8454 |
Fiorino ungherese | 223,6896 |
Sterlina irlandese | 0,6089 |
Corona islandese | 123,4495 |
Lira italiana | 1496,923 |
Lita lituano | 2,6693 |
Franco lussemburghese | 31,1866 |
Lats lettone | 0,542 |
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