Rivista di Politica 1/2015
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Sigmund Freud e la tradizione del realismo politico

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Sigmund Freud e la tradizione del realismo politico

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La sinistra europea tra populismo mediatico e radicalismo ideologicoMarco DamianiHans J. Morgenthau vs. Raymond Aron: dalla teologia politica alla ragione politicaDaniel Steinmetz JenkinsLe radici ideologiche del federalismo europeoTommaso MilaniL'ineguaglianza politico-giuridica tra gli Stati nell'epoca della globalizzazioneTeodoro Klitsche de la GrangeI due maestri del realismo politico americano: Reinhold Niebuhr e Hans J. MorgenthauLuca G. CastellinL'irresistibile ascesa del Front national: le metamorfosi della destra radicale franceseNicola GengaLe due verità di Thomas Hobbes: tra scienza e politica Alessia Sorgato

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788849844993
Illustration

CONGETTURE E CONFUTAZIONI

Syriza e Podemos.
Un altro mondo (a sinistra)
è possibile?

di Marco Damiani
A venticinque anni dalla caduta del muro di Berlino avanza una prospettiva politica nuova nella storia della sinistra europea. La tesi è che i partiti della new left post-’89, formatisi alla sinistra dei partiti socialisti e dei socialdemocratici, lungi dal presentarsi come organizzazioni rivoluzionarie, rappresentano formazioni politiche pro-sistemiche, che laddove si candidano alla guida dei governi nazionali non sono interessate ad avviare processi di abbandono delle regole del gioco democratico, perseguendo semmai programmi di trasformazione «radicale» della società, più in veste anti-establishment che in veste antisistema. In altre parole, pur conservando ancoraggi ideologici di tipo marxista, volti al conseguimento di una maggiore giustizia sociale a favore delle classi meno abbienti, le diverse formazioni della sinistra radicale europea s’iscrivono – a nostro avviso – interamente nel solco delle dinamiche liberaldemocratiche tipiche dei Paesi occidentali, facendosi interpreti di richieste economiche di stampo neokeynesiano fondate sul principio della redistribuzione delle ricchezze prodotte.
Nella storia del Vecchio continente, casi di questo tipo si riscontrano in varie circostanze. Due esempi su tutti: 1) nell’Italia della Seconda Repubblica, le formazioni della sinistra radicale si rivelano sempre indispensabili per la formazione dei governi progressisti. Nel 1996-1998 (con l’accordo della desistenza) e nel 2006-2008 (con l’adesione organica alla formazione dell’esecutivo) Rifondazione comunista e il Partito dei comunisti italiani partecipano al governo del Paese; 2) in Francia, dal 1997 al 2002, con l’esperienza della gauche plurielle, Lionel Jospin forma un governo con i voti e i ministri del Partito comunista francese, ripetendo l’esperienza già vissuta negli anni ottanta. A prescindere dagli esiti dei diversi esperimenti compiuti, in nessuna di queste circostanze si è posto un problema di carattere sistemico con riferimento al destino delle rispettive democrazie nazionali.
All’inizio degli anni Duemila, questa nuova opzione politica – anti-establishment, ma non antisistema – assume una visibilità e una forza tali, che a partire dalle coste meridionali del Mediterraneo arriva a spingersi fino al cuore delle istituzioni europee. Il riferimento è ai casi di Syriza in Grecia e Podemos in Spagna. In queste circostanze, si ripete una costante politica non irrilevante: alle difficoltà economiche incontrate dai due Paesi corrisponde il crack dei partiti della sinistra riformista. In sostanza, in condizioni storiche di enorme difficoltà dettate dalla «Grande recessione», e relative misure di austerità economica imposte dai governi dell’Unione, i partiti socialisti protagonisti della stagione precedente alla crisi (il PASOK e il PSOE), assistono impotenti allo svuotamento del proprio bacino elettorale a favore di formazioni politiche neonate o recentemente costituitesi sull’onda della critica alle policies neoliberiste, a loro avviso ugualmente perseguite dalle classi dirigenti di entrambi gli schieramenti. Da qui, l’emergere e la crescita di alternative di governo, che da sinistra propongono misure radicali («root and branch») di profonda trasformazione sociale. A partire da tali considerazioni, è allora il caso di descrivere le peculiarità delle esperienze indicate, per poi provare a rapportare la loro originalità all’analisi del contesto italiano.
Partiamo dalla Grecia. Syriza, in italiano: Coalizione della sinistra radicale, è una formazione politica nata nel 2004, che raccoglie al proprio interno diverse forze politiche, non soltanto di origine marxista, tra cui il Synaspismos (Coalizione della sinistra, dei movimenti e dell’ecologia), fondato nel 1989 da una costola del KKE, lo storico Partito comunista di Grecia. I comunisti del Kommounistikó kómma elládas che decidono di non confluire in Syriza contribuiscono a rappresentare la distanza osservata tra la sinistra radicale pro-sistemica e un’estrema sinistra (tuttora) anti-sistemica, individuabile seppur in forme e organizzazioni diverse in tutti i Paesi dell’Europa continentale. Sin dalla sua costituzione, Syriza è protagonista di un percorso politico a tappe forzate. Dopo il buon risultato conseguito alle elezioni politiche del 2007 (quando raccoglie il 5% dei voti), nel 2012 diventa la seconda forza nazionale (con quasi il 17% dei consensi). A seguito di quel successo, nel 2013, Syriza organizza il congresso che trasforma l’organizzazione della new left greca da coalizione di partiti a partito unico. In quella circostanza, l’allora trentottenne Alexis Tzipras (già leader del Synaspismos e di Syriza prima maniera) viene confermato alla carica di presidente. Alle elezioni europee del 2014, Tzipras è candidato alla presidenza della Commissione europea per il gruppo parlamentare che raccoglie i partiti della sinistra radicale (GUE/NGL). Nell’occasione, in Grecia, Syriza diventa il primo partito con quasi il 27% dei voti (fonte di tutti i dati elettorali: Ministero dell’Interno greco). Tuttavia, la grande novità è ancora dietro l’angolo. Alle elezioni politiche del 25 gennaio 2015, infatti, Syriza sfiora la maggioranza assoluta dei voti, formando un governo di coalizione presieduto dallo stesso Tzirpras.
A questo punto, l’analisi dell’ascesa politica di Syriza impone la formulazione di due quesiti fondamentali: cosa rappresenta la new left ellenica per il futuro del Paese? E cosa può rappresentare il partito di Tzirpas per l’intero equilibrio politico europeo e internazionale? Di seguito proviamo a fornire una risposta sintetica ad ognuno degli interrogativi indicati. Sul fronte nazionale si è già detto che, per la sua natura pro-sistemica, Syriza potrebbe rappresentare una novità per il destino politico della Grecia, ma non certo un rischio per le modalità di funzionamento della più antica democrazia del mondo. Al riguardo, indipendentemente dalle valutazioni di merito, il programma con cui il partito vince le elezioni del 2015 è piuttosto chiaro: restare nell’eurozona, ristrutturare il debito con gli Stati europei agganciandolo alla crescita nazionale, rilanciare il sistema produttivo attraverso un progetto di investimenti pubblici, combattere il dilagante fenomeno della povertà, applicare un piano speciale per l’occupazione che prevede tra le altre cose la riassunzione di una parte dei dipendenti pubblici precedentemente licenziati e l’aumento dei salari minimi. Un programma di sogni (forse) difficilmente realizzabile, ma certamente privo di ogni venatura antisistemica. Dal lato sovranazionale, con particolare riferimento all’ordinamento dell’Unione, la sfida è altrettanto ambiziosa: spingere per la trasformazione delle istituzioni comunitarie, mettendo in discussione la rigidità del pacta sunt servanda fino ad allora agitato dalle classi dirigenti dell’UE per il rispetto degli accordi stabiliti tra gli Stati in materia di politica economica e finanziaria. Da questo punto di vista, quella ellenica rappresenta una vera e propria terza via, incuneata tra l’irremovibilità delle politiche «del rigore» dettate dalla cosiddetta Troika (Commissione europea, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale), con il favore della Germania della Cancelliera Merkel, e la reazione antieuropeista di ampie fasce di popolazione organizzate in partiti populisti, contro l’élite politica e finanziaria internazionale. Collocata tra i due estremi, Syriza rappresenta la via del cambiamento istituzionale: né austerità né recinzioni nazionaliste, bensì revisione dei trattati costitutivi del patto europeo. Un ipotetico, anche parziale, successo delle proposte à la Tzipras potrebbe costituire un’occasione e un precedente importante per ridiscutere le politiche economiche comunitarie e gli equilibri dei rapporti di forza tra i Paesi dell’Unione.
L’esito del piano Syriza appare, però, fortemente condizionato dall’equilibrio politico sovranazionale. Ciò significa che se, per effetto contagio, a partire da Atene venissero a determinarsi le condizioni per la composizione di un fronte anti-establishment, capace di avanzare ipotesi alternative rispetto alle risposte neoliberiste fornite dai piani di austerità economica, i dirigenti della new left ellenica potrebbero trarne immediato beneficio. Da qui, il grande interesse rivolto verso il secondo fronte izquierdista europeo, quello spagnolo di Podemos, che all’inizio del 2015 viene dato come secondo partito a livello nazionale, con quasi il 24% dei consensi (fonte: «El País», sondaggio del 2/2/2015). Rispetto a Syriza, Podemos ha una storia e una collocazione politica leggermente diversa. Nasce nel 2014, dieci anni dopo la formazione della Coalizione della sinistra radicale greca e, in occasione delle europee di quello stesso anno, alla sua prima prova elettorale, consegue un sorprendente 8% dei voti e cinque seggi al Parlamento di Strasburgo (fonte: Ministero dell’Interno spagnolo). In quella circostanza, Podemos riesce a eleggere anche l’allora trentaseienne leader carismatico, Pablo Iglesias, detto el coleta (cioè: codino, per i lunghi capelli raccolti dietro alle spalle), docente all’Università Complutense di Madrid e conduttore televisivo di un talk-show di approfondimento politico intitolato La Tuerka. Il programma elettorale della neonata formazione politica è contenuto in nuce nella propria ragione sociale. Podemos, infatti, in italiano significa “Possiamo”, “ce la possiamo fare”. Nato sull’abbrivio del Movimiento 15-M, o movimento degli indignados (che il 15 maggio 2011 scende in piazza per protestare contro il governo di Zapatero e le difficili condizioni economiche in cui versa il Paese), Podemos si rivolge indifferentemente contro il PP e contro il PSOE, affermando che i principali partiti spagnoli sono la misma cosa, entrambi sostenitori delle stesse politiche neoliberiste. Da qui, gli slogan rivolti contro la casta, per l’abolizione dei privilegi della classe politica e contro gli sprechi della corruzione. Podemos è una forza «15maysta», direttamente ispirata agli indignados e ai successivi movimenti sociali di tipo bottom-up (tra questi: il Movimento per il diritto alla casa), rispetto alle cui esperienze si pone come naturale espressione politica, traendone diretta ispirazione e immediato sostegno elettorale. Dalle forme tipiche dei movimenti Podemos eredita un linguaggio semplice, chiaro e diretto a tutti, nonché la capacità di utilizzare efficacemente gli strumenti informatici messi a disposizione dalla rete e le pratiche di democrazia deliberativa acquisite dai leader e dalla maggioranza degli attivisti all’interno dei medesimi movimenti di rivendicazione sociale.
Podemos, però, in Spagna è costretto a condividere lo spazio politico a sinistra del PSOE con un altro partito della new left pro-sistemica, e cioè con Izquierda unida (Sinistra unita), al cui...

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