Cocaina
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Cocaina

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Informazioni sul libro

Un libro obiettivo che ci consente di conoscere senza pregiudizi tutta la verità su una sostanza di cui si discute continuamente senza conoscere realmente le implicazioni che ne derivano dall'uso.La cocaina è diventata senza dubbio lo stupefacente più famoso e più utilizzato fra i giovani e meno giovani.Ma cos'è veramente la cocaina?Gian Luigi Gessa, neuropsicofarmacologo, ci spiega in questo libro gli effetti di questa droga sia quelli positivi che quelli negativi.

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788849830248
Argomento
Medicina
Categoria
Farmacología

Anche gli animali si drogano

IL RATTO, IL TOPO, IL CANE, LA SCIMMIA, assumono non solo le droghe naturali, la cocaina, la morfina, la nicotina, il thc e l’alcol, ma anche ciascuna delle droghe di sintesi abusate dall’uomo come l’eroina, il metadone e altri oppiodi, le amfetamine, alcune potenti benzodiazepine. Come l’uomo, anche gli animali non si autosomministrano i classici antidepressivi, gli antipsicotici, gli allucinogeni o altri farmaci che non producono dipendenza nell’uomo. Il modello sperimentale dell’auto-somministrazione delle droghe consiste nell’inserire, in una vena dell’animale (ad esempio la giugulare), un catetere collegato ad una siringa il cui stantuffo viene azionato dalla pressione su una leva. Se la siringa contiene cocaina, l’animale impara velocemente ad autosomministrarsi la droga e trascura di azionare la leva collegata con l’offerta di cibo o acqua. Lo sperimentatore cerca di capire se il comportamento dell’animale è associato o dovuto a un’emozione coerente con quel comportamento: vuol capire, ad esempio, se l’animale prova piacere o desiderio quando si autoinietta la cocaina. Poiché le emozioni non si vedono, lo sperimentatore può solo dedurne la presenza e la natura dalle risposte comportamentali (ad esempio, premere su una leva), fisiologiche (sonno, stato di allerta, mangiare, etc.), biochimiche e neuronali (modificazioni dell’attività elettrica e del metabolismo in aree del cervello). Pertanto, lo sperimentatore anziché definire uno stimolo piacevole o spiacevole, lo definisce rispettivamente rinforzo positivo o negativo, perché aumenta la probabilità (rinforzo) di evocare risposte atte alla presentazione o alla soppressione dello stimolo. Queste risposte oggettive offrono “finestre” sulle emozioni (piacere, dispiacere, desiderio, rabbia, etc.) degli animali. Ad esempio lo sperimentatore deduce che l’iniezione di cocaina produce piacere dal fatto che induce un’azione (esempio pressione sulla leva) atta a riprodurre l’effetto. Un altro metodo per dedurre se un animale ha provato piacere da uno stimolo naturale o artificiale, ad esempio l’assunzione di una droga, è la conditioned place preference. Consiste nel confinare l’animale in un ambiente durante il tempo nel quale esso percepisce gli effetti piacevoli (ad esempio quello della cocaina) o negativi di uno stimolo. L’animale impara ad associare l’effetto dello stimolo all’ambiente nel quale è stato confinato e, in seguito, se sarà messo a scegliere tra due ambienti simili sceglierà quello dove in precedenza ha provato l’effetto piacevole dello stimolo, ad esempio della cocaina. Se invece l’esperienza è stata negativa, l’a nimale eviterà l’ambiente nel quale essa è avvenuta. In-fine, per comprendere quale sensazione soggettiva produca una droga nel cervello di un animale, indipendentemente dall’essere piacevole o meno, lo sperimentatore può impiegare il test della drug discrimination. Dopo ripetute somministrazioni di una droga o di un farmaco l’animale impara a riconoscere le sue peculiari qualità soggettive (discriminative stimulus effect), a distinguerle da quelle di altre sostanze e a segnalare, ad esempio con la pressione su una leva, l’avvenuto riconoscimento. Tale animale offre allo sperimentatore preziose informazioni sulla natura di una droga e sui meccanismi implicati nella sua azione, ad esempio un animale che identifica l’effetto soggettivo della cocaina lo distingue nettamente da quello dell’eroina, dell’alcol, della nicotina, ma non lo distingue dall’effetto prodotto dall’amfetamina, dal metilfenidato o da altre sostanze che agiscono con lo stesso meccanismo della cocaina. L’effetto soggettivo di dosi moderate di alcol è confuso con quello delle benzodiazepine, indicando che è mediato da uno stesso meccanismo; mentre l’effetto di dosi più alte di alcol non è discriminato da quello dei barbiturici, suggerendo che l’alcol agisce con diversi meccanismi a seconda delle dosi. Coerentemente con l’idea che gli effetti centrali della cocaina sono mediati dal rilascio di dopamina, l’animale perde la capacità di riconoscere la cocaina se vengono bloccati i recettori della dopamina. Il test della drug discrimination può essere adattato anche all’uomo che, come il ratto, impara a riconoscere e distinguere (discriminare) le sensazioni soggettive prodotte da differenti sostanze psicoattive. Come il ratto, anche l’uomo non discrimina gli effetti soggettivi della cocaina da quelli di una dose equipotente di amfetamina o di metilfenidato, né gli effetti soggettivi dell’eroina da quelli del metadone; inoltre perde la capacità di riconoscere l’eroina se ha ricevuto il naloxone, l’antagonista dei recettori degli oppiodi.
Modello di autosomministrazione di una droga per via endovenosa.
Modello di autosomministrazione di una droga per via endovenosa
Il ratto preme sulla leva in risposta ad uno stimolo luminoso condizionato dalla somministrazione di cocaina
Il ratto preme sulla leva in risposta ad uno stimolo luminoso condizionato dalla somministrazione di cocaina
Aspettando lo “spacciatore”. L’animale sceglie di stare nell’ambiente dove ha provato gli effetti della cocaina
Aspettando lo “spacciatore”. L’animale sceglie di stare nell’ambiente dove ha provato gli effetti della cocaina
Questi fatti indicano che le analogie tra l’animale e l’uomo, rispetto agli effetti delle droghe, non si limitano al comportamento ma riguardano anche gli effetti soggettivi, le sensazioni, le emozioni che esse producono.
L’animale che si autosomministra una droga può anche dare un’idea dell’efficacia di questa nel produrre euforia. Ad esempio, per ottenere una “dose” di cocaina, il ratto arriva a premere sulla leva più a lungo e con maggiore energia di un animale che si inietta nicotina. Al contrario, l’animale impara con difficoltà ad iniettarsi il thc, il principio attivo della cannabis, e quando ha imparato a farlo non spende molte energie per ottenere la sostanza. Inoltre, l’animale impara più velocemente a premere sulla leva per ottenere la cocaina che per ottenere le altre droghe. Se all’animale che lavora per auto-somministrarsi la cocaina, questa viene tolta dalla siringa, esso compie numerose pressioni sulla leva prima di arrendersi e smettere di toccarla; il numero di pressioni che l’animale compie prima di arrendersi (breakpoint) è proporzionale al piacere che la droga produce: ad esempio è più elevato con la cocaina che con la morfina e la nicotina.
Infine, l’animale a cui è stata sottratta la cocaina o altra droga da cui è dipendente riprende a comportarsi come un animale normale. Esso ricorda i numerosi veterani del Vietnam dipendenti dall’eroina che, una volta rientrati in patria, in ambienti dove l’eroina non era disponibile, avevano perso la grave dipendenza contratta in quel paese dove la sostanza era pura, abbondante, a buon prezzo e c’erano altre buone motivazioni per usarla.
L’animale nel quale si è ottenuta la “guarigione” dalla dipendenza (extinction) è però, come l’uomo, vulnerabile alle ricadute (relapses) anche a distanza di giorni o mesi.
Gli stimoli che provocano le ricadute sono di tre tipi: lo stress, la droga, gli stimoli condizionati.
Ad esempio, se all’animale astinente dalla cocaina viene inviata, dallo sperimentatore, una scossa elettrica o viene iniettata la sostanza da cui era dipendente, esso riprende a premere con energia quella leva che pareva avesse dimenticato. Infine, possono scatenare le ricadute gli stimoli condizionati (una luce, un odore, un segnale acustico, meglio se tutti questi insieme) che erano associati alle precedenti autosomministrazioni di cocaina. Infatti, l’animale non solamente impara a premere sulla leva (comportamento operante) per ottenere la cocaina o altre droghe, ma anche ad associare alla disponibilità della droga stimoli inizialmente indifferenti. Ad esempio, se la droga è presente quando si accende una luce verde, questa diviene uno stimolo condizionato perché predittivo della gratificazione. È di grande interesse anche pratico l’osservazione che la cannabis e i cannabinoidi di sintesi, la nicotina e l’alcol, hanno la capacità di sostituire la cocaina nel provocare le ricadute nell’animale astinente da essa. Il meccanismo di questo fenomeno è oggetto di intense ricerche, ma dal punto di vista pratico queste osservazioni suggeriscono l’utilità di una completa astensione da tutte le droghe, legali e illegali, nel recupero dei soggetti dipendenti dalla cocaina.

Storia di due scoperte: le aree del piacere e la dopamina

Lo studio dell’animale che si inietta una droga ha offerto importanti informazioni sui circuiti neuronali, sui neurotrasmettitori e sulle aree cerebrali implicati in questo fenomeno e sulle omologie tra gli effetti delle droghe e quelli prodotti da stimoli naturali quali il cibo e il sesso.
La grande conquista nella conoscenza del meccanismo delle droghe d’abuso è stata l’aver scoperto che queste molecole pur così differenti per struttura chimica e per effetti farmacologici (inibitori o eccitatori, downers o uppers) hanno in comune la capacità di attivare, con meccanismi differenti, il rilascio di un neurotrasmettitore, la dopamina, da parte dei neuroni dopaminergici che innervano aree del cervello responsabili del controllo del desiderio, della motivazione e del piacere. Inoltre, quella di avere scoperto che l’uso continuato delle droghe produce modificazioni adattative persistenti nelle aree di innervazione di questi neuroni, le quali sembrano responsabili del comportamento compulsivo di ricerca della droga e della tendenza alle ricadute dopo l’astinenza.
Le attuali conoscenze sono originate da due distinte scoperte avvenute circa cinquanta anni fa, una a Göteborg e una a Montréal. A Göteborg Arvid Carlsson scopriva che la dopamina è un neurotrasmettitore nel cervello, a Montréal James Olds scopriva la presenza delle aree del piacere nel cervello. La storia della dopamina inizia nel 1955 quando Brodie, Pletcher e Shore nel laboratorio di Chemical Pharmacology dei National Institutes of Health di Bethesda, scoprirono che la reserpina, un farmaco usato come antipsicotico, faceva scomparire dal cervello dell’animale da esperimento un neurotrasmettitore, la serotonina, durante tutto il lungo periodo (giorni) in cui erano presenti gli effetti della reserpina, quali la profonda sedazione, l’immobilità, la mancanza di motivazione, la rigidità, i tremori e l’acinesia (i sintomi del morbo di Parkinson). La reserpina in dosi più alte di quelle necessarie per sopprimere le allucinazioni e il delirio nel paziente schizofrenico, produce una sintomatologia analoga a quella osservata nell’animale. Poiché la serotonina ha una stretta somiglianza strutturale con la molecola del più potente degli allucinogeni, l’lsd, era suggestivo pensare che le allucinazioni e il delirio nella schizofrenia fossero mediati da un eccesso di serotonina e che la reserpina “curasse” questi sintomi eliminando il neurotrasmettitore responsabile. Questa ipotesi aveva il sostegno della indiscussa autorità scientifica di Brodie e la scoperta, pubblicata su «Science», venne accolta dalla comunità scientifica come un evento storico. Tuttavia, con grande disappunto di Brodie quell’ipotesi venne presto invalidata da Arvid Carlsson, un suo giovane allievo, che, appena rientrato da Bethesda nel suo laboratorio in Svezia, scoprì che la reserpina non solo era capace di ridurre le scorte cerebrali di serotonina ma era altrettanto potente nello svuotare quelle della noradrenalina, un neurotrasmettitore già noto, e della dopamina, un neurotrasmettitore che lo stesso Carlsson aveva appena identificato nel cervello. Carlsson mise in dubbio l’ipotesi del suo maestro e suggerì che gli effetti della reserpina erano dovuti alla deplezione (svuotamento) delle catecolamine (dopamina e noradrenalina) nel cervello. Egli fece un esperimento che rafforzava in modo inequivocabile la sua ipotesi. Iniettò per via endovenosa agli animali trattati con reserpina un aminoacido, la diossifenilalanina (dopa), il precursore diretto della dopamina. Dopo pochi minuti dall’iniezione endovenosa della dopa, la sindrome reserpinica scomparve come neve al sole: come per miracolo gli animali immobili e rigidi come statue riprendevano a muoversi, prestavano attenzione all’ambiente, diventavano normali. I sintomi del morbo di Parkinson si erano volatilizzati. Anzi, gli animali che avevano ricevuto una dose eccessiva di dopa, sembrava che fossero diventati “paranoici”: si muovevano in modo eccessivo e prestavano “troppa” attenzione all’ambiente circostante. Il topo o il ratto annusavano sospettosamente tutti gli angoli della gabbia. Il gatto volgeva di scatto la testa da destra verso sinistra, ripetutamente, come se temesse un agguato. La scimmia controllava con apprensione tutti gli angoli del suo ambiente, diventava diffidente e aggressiva nei confronti degli altri compagni di gabbia e dello sperimentatore. Inoltre, gli animali si muovevano continuamente in una straordinaria stimolazione psicomotoria. Come mai la dopa aveva annullato o ribaltato gli effetti della reserpina? Quell’aminoacido, il diretto precursore della dopamina, quando arriva nel cervello viene catturato dai neuroni dopaminergici nei quali è presente l’enzima (decarbossilasi) che lo trasforma immediatamente in dopamina. Qualcuno potrebbe chiedersi perché non iniettare direttamente la dopamina? La dopamina iniettata in vena non ha alcuna possibilità di arrivare al cervello perché è neutralizzata immediatamente nel sangue e nei tessuti periferici da differenti enzimi e sistemi di cattura. Nei cervelli degli animali trattati con la dopa Carlsson trovò che, negli animali che erano tornati ad un comportamento normale, l’aminoacido aveva riportato alla norma le scorte di dopamina, mentre nel cervello degli animali che erano diventati “paranoici” la dopamina si era accumulata in quantità di gran lunga superiori che di norma. La conclusione di questi esperimenti era che la reserpina produce i suoi effetti comportamentali, e presumibilmente il suo effetto antipsicotico, perché riduce le scorte di dopamina nel cervello. Poiché gli effetti comportamentali di un eccesso di DOPA sono quasi identici alla stimolazione psicomotoria prodotta dalla cocaina, quegli esperimenti suggerivano che gli effetti della cocaina sono mediati da un eccesso di dopamina. Suggerivano inoltre che un eccesso di dopamina poteva essere responsabile sia dei sintomi psicotici “positivi” presenti nello schizofrenico che dei sintomi psicotici prodotti nell’uomo dalla cocaina e dall’amfetamina. Infine, poiché la stimolazione psicomotoria nell’animale era allora considerata il correlato comportamentale dell’euforia, la dopamina veniva per la prima volta sospettata di essere responsabile dell’euforia, sia quella naturale che quella prodotta dalle droghe d’abuso.
Arvid Carlsson e i suoi collaboratori, con un semplice e coraggioso esperimento, offrirono una convincente evidenza nell’uomo che anche l’euforia dell’alcol ha bisogno di dopamina per manifestarsi. Per quell’esperimento tutto il personale dell’Istituto di Farmacologia di Göteborg, docenti, studenti e tecnici, venne suddiviso in due gruppi: il primo ricevette un farmaco, l’α-metiltirosina, che inibisce la sintesi della dopamina e ne riduce i livelli cerebrali fino a zero. Il s...

Indice dei contenuti

  1. Copertura
  2. Titolo Pagina
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Le magnifiche cinque, “the top five”
  6. Geografia, leggende e storia della coca
  7. Cocaina oggi
  8. Perché la dipendenza
  9. Anche gli animali si drogano
  10. Dopamina, cocaina e amore romantico
  11. Il mercato legale e illegale: dal Vin Mariani al crack
  12. La diffusione della cocaina oggi