La Rivoluzione democratica di Heine e la Costituzione per la pace perpetua di Kant
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La Rivoluzione democratica di Heine e la Costituzione per la pace perpetua di Kant

Una seconda lettera agli amici tedeschi

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La Rivoluzione democratica di Heine e la Costituzione per la pace perpetua di Kant

Una seconda lettera agli amici tedeschi

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Dopo aver lungamente negato l'esistenza di una "questione europea", l'uscita del Regno Unito dall'Unione ha aperto un dibattito sul come recuperare la perdita di consenso che ha colpito la libera circolazione delle persone nel territorio comunitario, l'euro e lo stesso mercato unico. Nel 60° dei Trattati di Roma, che tanto bene hanno fatto ai popoli europei, i media, il Parlamento e la Commissione UE, e i movimenti politici che aggregano le insoddisfazioni popolari avanzano proposte che riflettono la riemersione delle profonda diversità culturali tra le popolazioni del Vecchio Continente. Queste diversità risalgono indietro nel tempo e si erano assopite a seguito dei brillanti risultati raggiunti indistintamente dai paesi-membri, ma sono state riattivate dai persistenti divari di crescita economica e di occupazione intraeuropei e rispetto al resto del mondo, dagli ingenti flussi immigratori extracomunitari e dalla rigidità politica nell'affrontare tutti questi problemi. Queste radici sono state oggetto di due saggi scritti rispettivamente dal poeta Heinrich Heine e dal filosofo Immanuel Kant, quasi interamente riportati in questo lavoro, che servono di base per comprendere le esitazioni della Germania sia ad assumere un ruolo leader in Europa, sia a considerare le diversità culturali come un vincolo sul quale operare con adeguate politiche e non con ulteriori vincoli e proibizioni. L'Autore ne fa oggetto di una Seconda lettera agli amici tedeschi chiedendo di riesaminare la loro posizione partendo dalle idee dei due personaggi per ridare all'Unione la spinta vitale andata perduta.

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Informazioni

Cari amici tedeschi,
vi scrivo questa Seconda lettera con gli stessi intenti della Prima1. Vi chiedo se intendete abbandonarvi alla componente “deterministica” del vostro dna che vi porta a trascurare il ruolo importante che avete svolto nel mondo e svolgete ancora in Europa sul piano culturale, oppure se intendete usare la vostra intelligenza e forte volontà per costruire quell’unità che siete stati capaci di realizzare tra i 300 staterelli in cui era diviso il vostro territorio, quando ancora mancava, come dicono gli storici, l’idea stessa di Germania. Solo se vi dedicaste a questo importante compito anche nell’attuale Europa emergerebbe la vostra indubbia leadership, che non volete riconoscere ma sotto sotto esercitate, da intendere come viatico di progresso economico e civile dell’intera Europa, un conclave territoriale di cui avete bisogno se volete contare nel mondo. Il riferimento naturale è l’esperienza positiva degli Stati Uniti che con il discorso di Roosevelt al Congresso americano del gennaio 1941, detto delle “quattro libertà” (di parola, di credo, dal bisogno e dalla paura) ha avviato un processo di conquiste civili in termini di democrazia e di benessere, di cui anche voi avete largamente beneficiato.
Il dilemma che vi pongo può essere così sintetizzato:
Intendete restare un popolo di problem raising per l’Europa o trasformarvi in uno di problem solving?
Poiché sono certo che non starete a sentirmi, come è già accaduto dopo la prima lettera, tenterò di dialogare con voi per voce di due illustri letterati tedeschi: Heinrich Heine e Immanuel Kant. La scelta è caduta su questi due letterati per motivi di studio e casuali che considero utili per ciò che intendo dirvi: dovete reagire alla deriva verso cui vi trascina il vostro dna, così come illustrato da Heine, e meditare sui contenuti del suggerimento di patto giuridico per una pace perpetua, che mezzo secolo prima diede Kant. Ricordo per i miei eventuali lettori italiani che il primo, forse il meno popolare, è un illuminista hegeliano-kantiano alfiere di quelle libertà che accesero gli spiriti all’inizio dell’Ottocento. Il secondo, decisamente più noto, è anch’egli un illuminista del Settecento, che ha raggiunto vette filosofiche eccezionali ma anche espresso riserve sulle possibilità della ragione sulle quali l’illuminismo basava le sue speranze di riscatto del genere umano2.
Premetto ancora una volta che su molti punti delle accuse che muovete agli italiani avete, come suol dirsi, ragione da vendere; ma non potete imporre la vostra concezione della convivenza sociale avvalendovi delle clausole di accordi raggiunti con gli altri paesi europei in epoca consegnata anche per voi alla storia. Molte di queste scelte sono state fatte sulla base di un’errata visione del futuro o perché alcuni paesi si trovavano in uno stato di incertezza che li portava ad appoggiarsi a qualcosa ritenuta più solida, appunto l’Unione Europea. Preciso, l’Unione Europea con la Germania. Gli errori fanno parte della storia dell’umanità, anzi sono i veri vettori del progresso. Credo che nessuno possa smentire la saggezza del detto che errare humanum est, perseverare autem diabolicum, come pare abbia sostenuto per primo Seneca e abbia rilanciato di seguito sant’Agostino.
Per le vicende dei millenni di esperienze trascorse, le componenti del dna di molti popoli divergono dalle vostre e, pertanto, la soluzione per raggiungere l’unità europea indispensabile nel contesto geopolitico attuale non si può rinvenire nel rispetto di meccanismi rigidi come i parametri di Maastricht applicati secondo le vostre idee comma zero, ma trovando un punto di convergenza, forse è meglio dire convivenza, basata su un minimo di criteri di tolleranza, uno dei primi viatici per i sistemi di libertà. Altrimenti l’Unione nata dopo la Seconda guerra mondiale e via via maturata nei decenni successivi, che ha dato inizialmente buoni risultati, finirà con il dissolversi, se già la situazione non è arrivata al punto di non ritorno e tardiamo solo nel prendere nota del fallimento. Se così fosse, anche il disfacimento governato, come la ricostruzione, richiederebbe comunque d’essere governato, nell’interesse di tutti, anche del vostro. Che senso ha, cari amici tedeschi, porre fine al disegno razionale di un’unione europea di pace e di benessere, che è parte della vostra come della nostra storia più recente, con tutti i problemi che avete e abbiamo all’interno e fuori dalle vostre porte? I mutamenti geopolitici al di là dell’Atlantico, nel Medio Oriente e nel Pacifico dovrebbero spingere a stringere i rapporti per difendersi, invece del contrario, come sta accadendo.
Dopo il referendum inglese, le elezioni americane e quelle incombenti vostre e forse anche quelle italiane, è un nostro dovere pretendere dai nostri Governi la convocazione di un incontro di lavoro tra i Capi di Stato e di Governo europei che funga da effetto di annuncio che essi hanno intenzione almeno di esaminare come affrontare la situazione così come la giudica il popolo, giusto o sbagliato che sia, per trovare una soluzione che contrasti l’attuale tendenza allo sfaldamento dell’Unione, iniziata con la Brexit e continuata con l’innalzamento di muri che ostacolano la libera circolazione delle persone in Europa. L’occasione ideale sarebbe dovuta essere la celebrazione del 60° anniversario dei Trattati di Roma voluti dai 6 paesi fondatori del mercato comune, ai quali se ne aggiunsero altri 22 attratti dai successi raggiunti e dagli ideali indicati con dovizia di particolari negli accordi raggiunti. Ma anche questa occasione si è conclusa ribadendo quegli ideali, sempre vivi, senza però indicare gli strumenti da attivare, sempre carenti.
Se non intendete assecondare una riduzione delle libertà democratiche – e sono convinto che così sia e non lo affermo per pura cortesia – dovete concorrere a dare una risposta a quella che si va facendo strada all’interno di molti paesi membri dell’UE: rompere tutto ciò che con pazienza è stato costruito in sessant’anni, dopo il disastro della Seconda guerra mondiale. Se prendeste questa iniziativa, gli altri paesi ancora vi seguirebbero, ma un ritardo potrebbe essere fatale. La voglia di una riedizione culturale e politica del fascismo sociale e nazionalistico è troppo forte per non ricevere un’adeguata risposta razionale ed europeista. Spero che non vi illudiate che siete immuni da questa nuova follia.
Mentre riflettevo sulla realizzabilità di questa mia idea di una Costituente gestita dai capi di Stato e di Governo, mi è capitato tra le mani un prezioso libretto intitolato La Germania, nel quale Heine spiega ai francesi chi sono i tedeschi, dopo aver spiegato ai suoi connazionali chi sono i francesi3. Sono risalito al testo originale, appurando che è parte di uno dei suoi più importanti scritti, Sulla storia della religione e della filosofia, pubblicato nel 1835, la stessa data del divieto deciso dal Re di Prussia di pubblicare rivolto alla scuola liberal-democratica e quindi, per l’epoca, rivoluzionaria4. La Storia di Heine muove infatti dall’esperienza della Seconda rivoluzione francese del 1830. La sua lettura mi è stata utile ed è perciò che intendo riproporla alla vostra attenzione per stabilire tra noi un dialogo.
Sono certo che voi conoscete Heine, ma intendo ricordarne i tratti principali della sua attività culturale e di vita per colmare un’eventuale ignoranza dei miei connazionali, pur conscio che alcuni sono sufficientemente preparati in materia. Egli aderì al movimento politico Giovane Germania fondato nel 1834 dal giurista Carl Theodor Barth ponendosi sulla scia delle Trois Glorieuses, le tre giornate gloriose del luglio 1930 così ben effigiate dal celebre dipinto di Eugène Delacroix intitolato La libertà guida il popolo. A questa iniziativa aderirono i sindacalisti tedeschi Joseph Moll e Karl Schapper, socialisti rivoluzionari e iniziali collaboratori di Marx, interpreti di quel sussulto che investì l’intera Europa con moti popolari. La richiesta del popolo era allora il riconoscimento di Carte (Statuti o Costituzioni) che garantissero i diritti di cittadinanza senza porre inizialmente la questione monarchica, che comunque andava già maturando. In quegli anni l’Impero prussiano degli Hohenzollern (dove “imperava” Bismarck) e l’Impero austriaco degli Asburgo-Lorena (dove “imperava” Metternich, regista della restaurazione monarchica dopo lo tsunami napoleonico), vivevano all’ombra della Confederazione degli Stati tedeschi, di cui facevano parte i territori che avrebbero dato vita nel 1871 alla Germania, dieci anni dopo l’unità d’Italia. L’Impero austro-ungarico aveva la maggiore influenza sulla Confederazione e, dopo le dimissioni di Metternich decise a seguito della rivoluzione popolare del 1848, fu eletto imperatore il diciottenne Francesco Giuseppe. Sotto l’influenza della Madre Sofia di Baviera egli fu inizialmente portatore della filosofia assolutista regia, ma poi comprese i tempi e cambiò politica, accettando la monarchia costituzionale. Lo ricordo perché in questo mutamento ebbe un ruolo importante la consorte, Elisabetta di Baviera, la celebre imperatrice Sissi esaltata dalla cinematografia, in quanto amica ed estimatrice di Heine.
L’iniziativa della Giovane Germania aveva tra i suoi ispiratori Giuseppe Mazzini e la sua Giovane Italia che, a seguito della diffusione dei princìpi che proponeva a molti paesi, venne trasformata in Giovane Europa. Evidentemente esiste nella vostra cultura un punto di convergenza-convivenza con quella italiana, almeno quando il pathos della rivoluzione liberale e socialista aleggiava in Europa, mentre oggi stenta a manifestarsi nuovamente sotto la cappa di un assolutismo di tipo burocratico. Tuttavia le posizioni che assume oggi il popolo tedesco autorizzano a ritenere che la cultura aperta agli ideali democratici e sociali sia ancora presente, ma in buona parte latente, pur mantenendo il carattere duro descritto da Heine nella sua Storia, che si colloca nel processo di transizione tra il romanticismo e il realismo (che manca all’Europa). La sua posizione espressa in termini crudi è sintetizzata nella prima frase, lungimirante, ma in linea con l’intero contenuto del lavoro: «Chi brucia i libri, presto o tardi arriverà a bruciare esseri umani». Egli l’accompagnò con un’altra frase che suscitò scalpore: «Dovremmo perdonare i nostri nemici, ma non prima che siano impiccati». Quasi due secoli dopo lo scrittore inglese Joe Abercrombie [1974-] la usò come titolo di un suo libro5.
Non trovo coerenza tra quest’ultima frase e la pacatezza poetica di Heine, che nel testo in esame dichiara d’essere coerente con l’insegnamento kantiano. Il poeta non entrò direttamente nel cimento politico, ma affiancò l’iniziativa della Giovane Germania dando vita a una scuola letteraria che diede molto fastidio alle autorità tedesche del tempo, a causa degli afflati di libertà e di democrazia che diffondeva, all’origine del divieto di pubblicazione del 1835. Forse pronunciò quella frase pesante come un macigno perché particolarmente indignato per la proibizione patita, nonostante fosse una reiterazione di quella imposta dal re di Prussia Guglielmo Federico II a Kant di non più insegnare, né scrivere, che il figlio Federico Guglielmo III, grande estimatore di Kant, rimosse dopo essere asceso al trono. Il governo nazionalsocialista di circa un secolo dopo fece anche peggio, dando fuoco a pubblicazioni simili, assegnando implicitamente alla prima delle due frasi di Heine valore profetico.
Parafrasando au contraire il titolo del dipinto di Delacroix, le vicende degli ultimi secoli mi inducono a ritenere che l’interpretazione oggi prevalente è che sia e, ancor peggio, che debba essere il potere, non la libertà, a guidare i popoli di Europa. In tutta onestà la cosa mi preoccupa e dovrebbe preoccupare anche voi.
Purtroppo, la tesi che debbano essere i detentori del potere a scegliere il da farsi e non il popolo sovrano trova crescente consenso tra i gruppi dominanti dell’attuale Europa. Vi è una crescente insofferenza verso la democrazia sulla base del fatto che il popolo non sa scegliere, tesi che risale lontano nel tempo ed era già presente nei principali filosofi greci, Platone in testa e Aristotile dubbioso; se accettata, questa idea cancellerebbe i risultati ottenuti da secoli di lotta popolare, a tratti veramente traumatica, come era chiaro in Heine. La deriva antidemocratica è insita in questo convincimento. Suggerisco di non intraprendere neanche l’impervio sentiero di individuare i limiti da imporre alla democrazia, perché non sappiamo dove esso conduca. Si può però ipotizzare che comporti gravi conseguenze disequilibranti nella Vecchia Europa, dopo aver sperato che la democrazia si rafforzasse in quella Nuova, non solo quella Giovane ideata e sperata agli inizi del XIX secolo e che sembrava realizzarsi nei decenni del XX successivi alla Seconda guerra mondiale.
Ritorniamo al testo del piccolo libretto di preziosa fattura6. In esso vengono riportate riflessioni di filosofi tedeschi come Lessing, Kant, Fichte, Schelling e di tanti altri illustri personaggi, tra i quali ovviamente non può mancare il grande Goethe. Lo scritto di Heine spiega quali manifestazioni possa assumere La rivoluzione tedesca, iniziando da quella avviata da Lutero. Ho trovato questa analisi di una sconcertante attualità. Leggere questo breve saggio aiuta a capire molte cose accadute dopo la fondazione della Giovane Germania. Gli scienziati spiegano che i comportamenti ripetuti nei secoli, volontariamente o inconsciamente, vengono acquisiti dal dna delle persone, trasforman...

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