Nota storica sulla Calabria
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Nota storica sulla Calabria

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Nota storica sulla Calabria

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Il primo reportage pubblicato in Francia sullaCalabria del decennio, opera di un ufficiale alseguito delle truppe napoleoniche del generaleManhès. Di stanza in Calabria dal 1809 al 1812, Auguste de Rivarol ripercorre, con intento ricognitivo-resocontistico, l'esperienza militaredi quegli anni, offrendoci un'istantanea geografica, naturalistica e storica della regionealle prese in quel momento col virulento fenomenodel brigantaggio.Lo sguardo di de Rivarol si rivolge alla complessadimensione politica e sociale del contestocalabrese precorrendo, per certi versi, laletteratura sui moderni problemi della regionee rivelando una realtà fino ad allora ammantatadel mito fascinoso della Magna Graecia, chepure emerge dalle pagine di questo libro.

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788849830361
Categoria
Travel

1

Storia, topografia, itinerario

I geografi riducono a quattro le molteplici suddivisioni del Regno di Napoli: la Terra di Lavoro, gli Abruzzi, la Puglia e le Calabrie. Tuttavia noi conserveremo le antiche denominazioni, per meglio circoscrivere la provincia di cui ci occuperemo.
La Calabria propriamente detta è la parte più meridionale del Regno di Napoli: è delimitata a nord dai Principati, dalla Basilicata1 e dalla Puglia; il Mediterraneo la bagna a oriente e occidente, mentre Capo Spartivento la conclude a sud.
Si divide in Citeriore e Ulteriore, a seconda della distanza dalla punta estrema che guarda la Sicilia. Chiusa dai golfi di Gioia e Sant’Eufemia a ovest e da quelli di Squillace e Gerace a est, si estende per circa cento miglia2 in lunghezza e trenta nella larghezza media.
Questa provincia è divisa, nel suo prolungamento, dagli Appennini, che vi prendono il nome di Sila3, le cui montagne, spesso molto alte, ricoperte di boschi e neve, gli antichi avevano spesso circonfuso di un fascino misterioso, consacrando agli dei le loro foreste. Esse abbondano di fonti minerali, grazie alla natura vulcanica del terreno ricco di sostanze solforose e metalliche. Le acque di San Biagio e Cassano sono ancora famose per questo. La denominazione di Sila può applicarsi tanto alle montagne quanto ai boschi che le ricoprono. La gente del posto distingue tra Sila grande e Sila vera e propria o Serra stretta, a seconda che sia situata nella parte più larga o in quella più stretta della provincia.
Prima che l’oceano rompesse i suoi margini naturali, Calpe e Abila, questa catena di monti comunicava con la Sicilia, che ne fu separata da un terremoto. Le scosse dettero origine al piccolo arcipelago di Lipari, i cui isolotti non sono che creste degli Appennini sommersi. Gli antichi condividevano questa opinione, che Virgilio ha consacrato nell’Eneide. Nettuno, scrive il poeta, Hesperum siculae latus abscidit, arvaque et urbes/Littore deductos vasto interluit aestu (Separò la Sicilia dall’Occidente e circondò con le acque del grande mare campagne e città).
L’Appennino è l’immensa riserva dei brevi corsi d’acqua che solcano la Calabria, nessuno dei quali è navigabile. I più importanti, il Laino o Lao (un tempo Laüs), il Crati, il Neto, l’Amato non sono che torrenti precipiti da queste montagne, gonfiati dalle piogge e dalle nevi e prosciugati nei mesi estivi. Ciò che distingue questi ultimi dagli altri è che il loro alveo non è mai a secco; la loro piena, spesso improvvisa, li rende molto temuti dai viaggiatori e porta nei campi la distruzione e il terrore.
La Calabria è stata sede di molti vulcani nei secoli più lontani: le scorie, le lave metalliche, i basalti che si scoprono nelle sue montagne possono comprovare questa affermazione. In alcune parti della provincia essi sono stati sostituiti da laghi. Sconvolta dai terremoti, la Calabria presenta, in diversi punti, ambienti desolati. Le scosse del Vesuvio e dell’Etna vi si fanno sentire ed è assai probabile che, separata un giorno da faglie, il mare possa inondarne le voragini e trasformare la Calabria in un arcipelago come Lipari. Nel corso del famoso terremoto del 1783, quando Messina fu quasi distrutta, vi fu in Calabria un gran numero di villaggi sepolti in profondi baratri ed altri, situati su alture elevate, crollati fino alle pianure coperte delle loro macerie.
Gli antichi avevano dato il nome di Calabria4 a una parte d’Italia chiamata Messapia, non corrispondente a quella odierna, poiché comprendeva il territorio di Brindisi nella Puglia. La Calabria attualmente include l’antico Bruzio5 e una parte della Magna Grecia. È dunque un paese ricco di memorie. La costa, come si sa, era popolata di colonie greche attratte in Calabria dal suolo e dal clima. Quelle situate lungo il mare Jonio, artisticamente sviluppate e commercialmente attive, conservavano l’impronta della loro origine e formavano la Grecia indipendente. Là fiorivano Taranto, Eraclea, Sibari, Crotone, Locri, ecc6. La concentrazione di colonie sulle coste tirreniche formava la Grecia barbara. Le popolazioni erranti nei boschi in cima all’Appennino non ebbero dapprima alcuna fissa dimora. Quasi nomadi e di costumi arcaici, solo dopo gli scontri con i Lucani i Bruzi sentirono il bisogno di arroccarsi. Costruirono Cosenza, Hipponion (oggi Monteleone), Mamertium (Oppido Mamertina), ecc., espressioni della loro potenza. Bellicosi e abili cavalieri, erano chiamati “soldati di Marte” (Mamertini) dal nome della loro capitale. Sostennero con accanimento Annibale e furono sottomessi con difficoltà dai Romani che li considerarono a lungo temibili nemici.
È verosimile, secondo l’opinione di Strabone, che i Bruzi non erano originariamente che schiavi lucani ribelli, fuggiti e stabilitisi in queste contrade dove avevano trovato rifugio e a cui diedero il loro nome. Erano chiamati anche “bilingues”, perché parlavano la lingua greca e quella osca, che era l’idioma abituale della nazione. Il nome di Magna Grecia appartenne per molto tempo a tutte le colonie stabilitesi nel Mediterraneo; ma siccome i Lucani, gli Enotri e le altre popolazioni italiche si erano impossessati di numerose colonie, il nome di Magna Grecia circoscrisse il territorio compreso tra Locri e Taranto sul mare Jonio. I tarantini, i sibariti, i crotoniati, i locresi (Epizephirii) si contendevano queste spiagge stupende. Sono abbastanza noti il lusso e la fine di Sibari, così come le ricchezze di Taranto e Crotone, che i suoi giochi, i suoi atleti, le scuole di Pitagora hanno resa celebre.
Non restano che poche rovine e il ricordo di queste città e del loro splendore. Il tempo e le trasformazioni subite dal suolo, spesso sconvolto, hanno seppellito le loro ultime vestigia. Le stesse ricerche relative alle monete antiche non possono che essere infruttuose e richiedono comunque un lungo soggiorno. Oggi si rinvengono poche medaglie d’età greca; altre, meno rare, appartengono ad epoche più vicine, allorché i Romani, diventati dominatori di queste province, vi fondarono delle colonie. Il Muratori, che ci ha lasciato numerosi e utili materiali per la storia d’Italia, le ha distinte con cura nei suoi annali sul Medioevo.
È a torto che alcuni viaggiatori hanno preteso di individuare le vere ubicazioni delle città della Magna Grecia seguendo il corso dei fiumi, sui quali la maggior parte era situata. Metodi inesatti e inutili.
Il Neto, il Crati, il Lao, il Coscile sono gli unici fiumi di cui i terremoti non hanno deviato la sorgente; ma gli sconvolgimenti del terreno hanno modificato il loro alveo e alterato il loro corso. Il tempo ha però rispettato i resti del tempio di Giunone Lacinia, all’isola presso Crotone, cosa che al promontorio (un tempo Lacinium) ha fatto dare il nome di Capo Colonna.
La Calabria, sia ai bei tempi di Roma sia dopo le invasioni dei popoli del nord, seguì la sorte di questo vasto impero. Dopo la conquista normanna7 fu costituita in ducato, di cui Roberto il Guiscardo fu il primo signore; Boemondo, che gli succedette al suo ritorno dalla Palestina, le diede come simbolo una croce d’oro in campo azzurro.
Due nature ben distinte corrispondenti alla differenza dei luoghi caratterizzano questa provincia. La prima, senza dubbio la più ragguardevole, è la natura cupa e imponente che presentano i picchi silani; l’altra è quella ridente e variegata delle marine ioniche o delle spiagge aride e assolate del litorale tirrenico. Questi contrasti tra le località influiscono assai sul carattere degli abitanti, per non essere distinti con cura.
È in mezzo a queste località agresti e selvagge dell’Appennino che gli antichi popoli bruzi, Bruttii mediterranei, avevano conservato l’asprezza e la rudezza indomabile che le conquiste romane e la mescolanza con sangue straniero non hanno mai cancellato, trasmettendosi ai discendenti.
Montagne “annerite” da foreste di pini, il cui tenebroso effetto contrasta con il bianco delle cime innevate; rocce sospese su profonde voragini solcate dalla lava vulcanica; un terreno calcinato, scurito dalle lave accumulatesi nei secoli; qui una natura morta e spoglia, un suolo abbandonato e lacerato dalle scosse telluriche; più lontano la lussureggiante vegetazione delle piane e l’animazione delle zone industriose; torrenti rumorosi e vorticosi che distruggono le strade e devastano i campi: questi sono gli aspetti che si ripetono nell’interessante viaggio in Calabria.
Dopo aver attraversato Laino, un tempo Laüs, punto di confine tra Lucania e Bruzio, si scorge Rotonda e si entra in Calabria. Questa strada interna in mezzo agli Appennini presenta molte difficoltà, soprattutto in inverno. Il Lao ha delle piene improvvise che lo rendono molto pericoloso e che ritardano spesso il transito. La strada che conduce da Rotonda a Castrovillari è importante per Campotenese, una piccola pianura su un pendio elevato, soggetta a frequenti tormente di neve e ai rigori dell’inverno anche in piena estate. Gli antichi avevano segnalato questo terribile passo che credevano abitato da uno spirito maligno, tanto che quando citavano un luogo di difficile accesso aggiungevano, come per un sinistro presagio, aderit genius Temesis (“comparirà lo spirito di Temesa”). Gli insorti approfittarono con successo dei vantaggi offerti da questa postazione aperta su paurosi strapiombi.
A qualche miglio da Castrovillari, città lunga e stretta, e nei pressi di Cassano, si trova il sito dell’antica Sibari, ubicata alla foce del Coscile e del Crati nel mare Jonio8. È dalle sommità del borgo di Francavilla che si ha la vista della piana dove dominava questa celebre città. I crotoniati, gelosi della sua potenza e delle sue ricchezze, dopo averla distrutta fecero inondare le sue rovine dalle acque convogliate dei due fiumi che ne dispersero gli ultimi resti. Non lontano si trovavano Eraclea e Turio, di cui non resta alcuna traccia9.
A ovest di Castrovillari, verso il Tirreno, l’Appennino si presenta con fisionomie terrifiche. I francesi ricorderanno le vallate oscure e profonde di Orsomarso, Papasidero e Castel Brancaccio, dove i briganti, difesi dall’impraticabilità dei luoghi, avevano trovato riparo contro le colonne mobili dell’esercito napoleonico, assicurandosi l’impunità dei loro crimini10.
Dopo Castrovillari, costeggiando il Crati, si arriva a Cosenza (Consentia), capitale della Calabria citeriore, passando per Tarsia e lasciando Montalto sulla destra. Il panorama di questi due borghi è tra i più pittoreschi, offrendo gli scenari variegati del serpeggiare del Crati e delle colline che lo delimitano. Questo fiume, che scorre da tanti secoli su questa terra classica, non ha perso il nome originario. Attraversa Cosenza e vi lascia degli acquitrini che vi rendono pericoloso il soggiorno nei mesi estivi. Nel fango del Crati si scoprì nel XV secolo il corpo di Alarico chiuso in due scudi ben saldati. Egli morì sotto le mura di Cosenza, momento conclusivo delle sue conquiste. Cosenza è una città industriosa e commerciale.
Non lontano, sulle colline più elevate, si trovano le rovine di Pandosia, città degli Enotri. Alessandro, re d’Epiro, morì nelle sue mura, come aveva predetto l’oracolo. A est di Cosenza, dove le strade non sono praticabili dalle carrozze, vi è una via che, attraversando la Sila, conduce a Catanzaro, sede di vescovado. Gli abitanti di questa città sono civili e ospitali verso i forestieri. Sul mare Jonio si trova Squillace, che dà il nome al golfo e che è la patria del celebre Cassiodoro, segretario di Teodorico.
La strada da Cosenza a Reggio è tagliata da burroni e torrenti che non permettono il trasporto dell’artiglieria, né il passaggio delle carrozze. Le discese di Rogliano e Scigliano sono impraticabili. Nicastro, che viene subito dopo, è il Neocastrum degli antichi. Monteleone, costruita sulle rovine di Hipponion o Vibona, era, durante la guerra, il quartier generale dell’esercito francese. I suoi abitanti sono dediti al commercio e alle manifatture. Sei miglia più lontano compare Mileto, dove il principe di Hesse-Philipstadt fu sconfitto dal generale Régnier. Segue Seminara, famosa per le rovine di Taurianum e la sconfitta del d’Aubigny nel 1503, proprio là dove era riuscito vincitore otto anni prima; Palmi, graziosa cittadina vicino al mare; Scilla o Sciglio, cantata dai poeti e la cui voragine è famosa per i loro racconti fantastici; infine Reggio, da dove ci si imbarca per la Sicilia. I fitti aranceti e limoneti che profumano i dintorni di Reggio ricordano le antiche Esperidi e rendono la conoscenza e il soggiorno deliziosi.
Da Cosenza all’estremità meridionale della Calabria, la strada per Monteleone e Reggio è la più frequentata e tuttavia è comoda da percorrere solo a piedi o a cavallo. D’inverno non è priva di pericoli, in particolare da Rogliano a Nicastro, tanto che nel corso della guerra il trasporto dell’artiglieria è avvenuto in parte per mare.
Si può avere un’idea, da questo cenno, della natura delle strade interne. La carenza di comunicazioni dovuta alle strade difficili non poco ha contribuito a ritardare il progresso delle arti e della civiltà in questa parte del Regno di Napoli. Solo gli abitanti delle zone costiere, avendo, grazie al mare, rapporti più frequenti con la capitale e con i forestieri richiamati dal commercio, sono molto più aperti e differiscono completamente dalle popolazioni dell’interno.

2

Carattere, costumi, insurrezione

I costumi, il carattere delle nazioni, hanno, come la natura, le loro epoche, le loro rivoluzioni. Il tempo porta di volta in volta la celebrità o la dimenticanza sugli imperi. La Calabria, un tempo patria delle arti, dove i sapienti della Grecia avevano le loro scuole e che era abitata dal popolo più colto d’Europa, è oggi l’asilo dell’ignoranza e della superstizione.
Poco gelosi della loro origine, gli abitanti di questa provincia vegetano nell’indifferenza e nell’apatia più completa. Apatia in se stessa colpevole e che rende queste popolazioni arretrate di almeno tre secoli rispetto alle nazioni più civilizzate, facendone i selvaggi d’Europa.
Non è che manchino in Calabria le classi colte, benché poco numerose, che abbiano fornito nelle armi, nelle lettere e nel campo legislativo uomini di cui la storia conserverà i nomi1. Ma l’abitante civile di Catanzaro, di Cosenza o di Reggio non rappresenta il calabrese. È in mezzo ai boschi, tra le montagne, che bisogna cercarlo. È nell’interno della Sila, sulle pendici dei monti che si trova il rappresentante tipico, il carattere distintivo della provincia.
I calabresi hanno lo sguardo vivo e acuto; sono vigorosi, più spesso di statura media e le donne sono meno belle che nel resto d’Italia. È difficile incontrare esemplari belli, anche se i tratti delle donne sono generalmente regolari e la loro figura ricca di movimento e grazia.
La natura dei luoghi, le abitudini apprese sin dall’infanzia e la caccia, che è uno dei loro passatempi preferiti, rendono ben presto i calabresi rotti a tutte le fatiche; sono buoni marciatori e di ammirevole sobrietà. Durante le marce più lunghe si accontentano di qualche galletta e di olive secche. Preferiscono i liquori forti al vino. È abituale tra di loro esprimersi a gesti con una pantomima molto eloquente, più immediata e comprensibile delle parole.
L’idioma calabrese è un italiano epurato, come il provenzale e il guascone rispetto al francese. È un gergo irregolare che cambia da luogo a luogo; è gutturale o nasale con un’accentuazione insopportabile. Vi si riscontrano diversi latinismi e grecismi, mentre il resto è un italiano molto approssimativo. La loro lingua è come le loro usanze, che conservano ancora i tratti barbarici dei tempi antichi.
L’influsso di un clima spesso tor...

Indice dei contenuti

  1. Copertura
  2. Titolo Pagina
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione di Saverio Napolitano
  6. Nota storica sulla Calabria
  7. Avvertenza
  8. 1. Storia, topografia, itinerario
  9. 2. Carattere, costumi, insurrezione
  10. 3. Prodotti, commercio, agricoltura
  11. 4. Temperatura, epidemie
  12. 5. Conclusione
  13. Note