Donne, bioetica e cittadinanza
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Donne, bioetica e cittadinanza

Spunti teorici e sguardi sul contesto italiano

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Donne, bioetica e cittadinanza

Spunti teorici e sguardi sul contesto italiano

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È possibile parlare di una "bioetica differente", in cui l'appartenenza di genere risuoni con un timbro comune, pur nella diversità delle voci? E che senso ha la domanda oggi, in un tempo in cui identità di genere e differenza sessuale sono oggetto di radicali ripensamenti? Questi interrogativi circolano nel testo, declinandosi a cavallo tra teoria e narrazione di esperienze. La prima parte offre spunti di riflessione sul senso che la differenza uomini/donne assume oggi tra ethos, bios e polis, fermandosi per un verso sul rischio attuale di un'eclissi della differenza sessuale, per l'altro sul valore della cultura della differenza per la vita della famiglia e per i diritti di cittadinanza. Questi e altri spunti teorici fanno da sfondo all'ultima parte, dedicata a due temi caldi sul versante della cittadinanza: il nesso tra il pensiero della differenza di genere e una nuova visione della disabilità e le diverse letture del pensiero delle donne sulla maternità surrogata. Gli stessi interrogativi di fondo animano le narrazioni di esperienze sul rapporto tra donne e bioetica nel contesto italiano. Suggestioni, indicazioni di senso sulla peculiarità dei contributi delle donne giungono dalle analisi condotte da autorevoli componenti di comitati o associazioni in cui "si fa bioetica" nel nostro paese, dal Comitato Nazionale per la Bioetica, ai Comitati Etici Locali, all'Istituto Italiano della Bioetica. In modo speculare, a partire da uno sguardo d'insieme storico e sociologico e da esperienze associative, si riflette su come le tensioni del dibattito bioetico tornino nella vita delle associazioni di donne presenti nel nostro paese, come il Centro Italiano Femminile e l'Unione Donne in Italia.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788849853056
Categoria
Sociology

Parte terza
I movimenti delle donne e la bioetica: tra storia, sociologia ed esperienze associative

Lina Severino

I movimenti delle donne: uno sguardo storico

1. Il corpo delle donne

La riflessione teorica che si è sviluppata negli anni Ottanta e seguenti sul corpo delle donne e sulle questioni etiche conseguenti non può non partire, in una prospettiva storiografica, dalle analisi e dalle iniziative politiche che a partire dagli anni Settanta hanno visto protagoniste le associazioni e i movimenti femminili e femministi. Le considerazioni sul corpo e sulla necessità di presa di coscienza di esso da parte delle donne assumono negli anni Settanta un ruolo fondamentale.
Lea Melandri, nel ricordare le esperienze di quegli anni, afferma che la “riappropriazione” del corpo in tutti i suoi aspetti, dal biologico a quello della vita psichica e intellettuale, aveva significato per il femminismo anni Settanta partire dalla storia personale, dal vissuto, dalla narrazione di sé, per esplorare tutto ciò che la subordinazione al dominio maschile, alla sua visione del mondo, aveva comportato, come interiorizzazione di modelli e cancellazione di un sentire proprio. Le istituzioni della vita pubblica, che sulla cancellazione del corpo avevano costruito il loro sapere e potere, erano pertanto sottoposte a una critica accesa. Le donne del Centro per la salute della donna, costituitosi a Padova nel 1974, scrivevano infatti che la loro controparte nella lotta non era la medicina, ma lo Stato che, attraverso la medicina e l’organizzazione sanitaria, voleva continuare a espropriare la donna del proprio corpo, che trasformava in strumento di lavoro domestico di riproduzione materiale e cioè fisica, affettiva e sessuale del marito, e di riproduzione biologica e affettiva dei figli1.
Si diffusero in tutta Italia i consultori autogestiti che perseguivano la riappropriazione del corpo, della medicina e il diritto alla salute. I saperi costituiti venivano sostituiti dalla “pratica dell’inconscio”, il self help, l’“autovisita”, metodi che affidavano alla sola relazione tra donne il diritto di occuparsi del corpo delle donne. Bisognava, in altri termini, sottrarre al medico, allo psicanalista, all’esperto, la conoscenza e la modificazione di sé2.
Sulla questione della politica organizzata e delle leggi i movimenti femminili e femministi si dividono; il problema dell’aborto ne costituisce l’esempio lampante. Si trattava cioè di accettare la possibilità che la questione dell’aborto venisse portato sul piano parlamentare o viceversa che l’aborto venisse considerato una questione privata. I due diversi atteggiamenti più diffusi e dibattuti tra le donne nei confronti della richiesta di una normativa sull’aborto si possono così sintetizzare:
Mentre i laici, [in particolare l’UDI], e i cattolici, [il CIF], contrapposti portavano avanti la battaglia per l’aborto a livello parlamentare, il Movimento delle donne ha continuato separatamente il suo dibattito. Schematizzando si possono individuare due posizioni di fondo: una che ha visto nella formulazione di una legge che legalizzasse e rendesse assistito e gratuito l’aborto, la conquista di un diritto civile e il riconoscimento sociale dei diritti e della forza delle donne; l’altra posizione non ha ritenuto invece utile per le donne una riforma sociale, come è una normativa dell’aborto, attuata da un sistema che non comprende le donne e in cui le donne non hanno diritto di espressione. Non si è voluto soprattutto affermare il ‘diritto civile’ a subire la violenza dell’aborto. Rimanere incinte senza desiderarlo o essere costrette ad abortire anche se si desidera un figlio, provoca nelle donne conflitti e situazioni tali che nessuna legge può pensare di regolare, sistematizzare o risolvere. Per questo si è chiesta semplicemente l’abolizione del reato di aborto, la depenalizzazione… Il rapporto con la maternità e la riproduzione, e quindi in negativo anche quello con l’aborto, si può chiarire solo attraverso la ricerca di una sessualità non segnata dall’uomo, affrontando l’analisi del rapporto uomo-donna, comprendendo i motivi e le dinamiche per cui si resta incinte, pur dovendo poi abortire3.
I movimenti delle donne si dividono profondamente su questa questione: la contrapposizione perdura ed è ripresa anche oggi; le femministe più giovani, ad esempio quelle del gruppo A/Matrix di Roma, vedono la legge 190 come subordinata all’interesse dei partiti e delle logiche parlamentari, e denunciano il dispendio di energie in una lotta difensiva le cui regole sono date dalle istituzioni ospedaliere, giudiziarie, amministrative. Quel testo, con tutte le sue ambiguità, viene oggi attaccato e svuotato di senso.
Scrive Angela Azzaro sul quotidiano «Liberazione»:
La maggior parte delle donne si batteva non per una legge, ma per la depenalizzazione del reato di aborto. Il ragionamento era chiaro: la legge avrebbe significato che lo Stato metteva bocca sul corpo delle donne. Così è stato, anche perché alcuni degli articoli del testo aprono di fatto all’obiezione di coscienza da una parte, e dall’altra alle varie interpretazioni su quando e come inizia la vita. Il bilancio da fare ci riporta direttamente agli anni 70, quando le donne non chiedevano diritti concessi da parte degli uomini, ma libertà4.
Beatrice Busi aggiunge:
Qualsiasi forma di legislazione sull’aborto, anche la più ampia, presuppone un controllo sulla donna. L’autodeterminazione non è più tale, se si subordina all’interesse dei partiti e delle logiche parlamentari, se una volta ottenuta la legge si impiegano le energie in una lotta difensiva le cui regole sono date dalle istituzioni ospedaliere, giudiziarie, amministrative. La storia recente dà ragione di questi dubbi. Quel testo, con tutte le sue ambiguità, viene oggi attaccato e svuotato di senso. La lotta contro l’aborto è stata una lotta a tutto campo, di certo non liquidabile con l’idea di rivendicare e ottenere un ‘diritto’. Parlare pubblicamente di aborto ha significato anzitutto una radicale messa in discussione della sessualità e dei rapporti tra uomo e donna. Ha significato praticare la consapevolezza e la riappropriazione del proprio corpo attraverso strutture e relazioni diverse, come hanno fatto i centri per la salute delle donne. Ha portato con sé anche la reinvenzione del pubblico, la costruzione di nuove istituzioni dal basso, attraverso l’apertura dei consultori autogestiti, dei centri di medicina delle donne5.
Da parte del femminismo radicale, oggi come allora, parlare di aborto, ma anche di fecondazione assistita, eutanasia, ricerca sulle cellule staminali, significa contrapporsi alla politica tout court e alla legislazione che se ne occupa. In altri termini il femminismo radicale in Italia propende a pensare che gli interessi delle donne siano meglio tutelati da una regolazione giuridica leggera. Il dibattito sul diritto ha interessato poco il movimento femminista italiano, l’interesse si è concentrato piuttosto sull’essere donna, sulla libertà di decidere del proprio corpo. Si può dire in generale che il diritto ha continuato a essere per il femminismo un oggetto ambiguo e controverso, visto come strumento di miglioramento, ma anche come l’espressione più pericolosa della cultura maschile6.

2. Le due correnti del femminismo contemporaneo

È a partire dai movimenti degli anni Settanta che prendono corpo nei Paesi occidentali di lingua inglese e in Francia, oltre che in Italia, le due correnti del femminismo contemporaneo, quella egualitaria, orientata al genere (gender theory) e quella differenzialista, cui conseguono due diverse risposte politiche alla questione femminile.
La corrente differenzialista tende a criticare e ad accantonare le lotte per l’emancipazione, le lotte attuali per la parità e per le pari opportunità perché espressione di una omologazione al mondo maschile. La presunta neutralità (valida per entrambi i sessi) delle categorie universali di uomo, cittadino, Stato, Parlamento, leggi, sottintende la permanenza di un mondo modellato sul maschile, a cui la corrente del femminismo differenzialista contrappone la costruzione di un modello basato esplicitamente sulle differenze sessuali e sui diritti sessuati. La proposta è allora quella di marcare la realtà politica con il segno della differenza sessuale (per esempio diritti sessuati diversi per l’uomo e per la donna), che significa costruire il politico su basi biologiche, e quindi rifiutare la distinzione fra sesso anatomico e genere. A questa corrente si possono far rientrare sia l’etica della differenza sessuale di Luce Irigaray7 e la diversa moralità femminile e l’etica della cura proposta da Carol Gilligan8, sia il pensiero materno di Sarah Ruddick9 e il femminismo sociale di Jean Bethke Elshtain10.
Secondo la gender theory la distinzione sex/gender è necessaria per storicizzare la differenza sessuale e mostrare come la distinzione dei ruoli maschili e femminili sia imputabile non alla natura ma alla società e alla politica. L’assegnazione degli individui alla sfera pubblica o privata in base alle sue caratteristiche cosiddette naturali – uomo o donna – sono da riferire a una costruzione umana e non a una condizione di natura. In quanto costruzione culturale la distinzione sex/gender può essere usata al fine di riequilibrare l’allocazione del potere fra uomo e donna.
La lettura di questa diversità di approccio ruota quindi intorno al sex/gender system, giacché per la corrente orientata al genere vi è una differenza fra sex e gender, laddove per sex si intende la diversità biologica fattuale, per gender la costruzione culturale, sociale e politica che ascrive ruoli, poteri, risorse differenti per uomo e donna basandole sul sex.
Per la corrente differenzialista la distinzione fra sex e gender sarebbe epistemologicamente errata e politicamente fuorviante. Il concetto di uguaglianza fra uomo e donna viene cioè sottoposto a una critica il cui esito politico consiste per la corrente differenzialista nel sostenere una libertà esclusivamente femminile. Per tale corrente la libertà è in antinomia rispetto all’eguaglianza. Al contrario per la gender theory, uguaglianza e libertà sono strettamente connesse. Così vediamo per esempio che in Anne Phillips l’uguaglianza si ottiene attraverso una politica di quote sia nel mondo del lavoro sia nel mondo della politica che possano rimuovere gli svantaggi iniziali delle donne, anche attraverso il vaglio dell’uguaglianza dei risultati. L’uguaglianza è uno strumento per aumentare le possibilità delle donne di affermarsi non più soltanto come madri, ma come lavoratrici e cittadine, e quindi di essere più libere come individui11. Per Susan Moller Okin la mancata uguaglianza fra uomo e donna ha la sua origine nella storica assegnazione della donna al lavoro domestico e di cura, per cui diminuiscono le possibilità di affermazione nell’ambito lavorativo e politico12.
Il dibattito interno alla gender theory, in contrapposizione al femminismo differenzialista, si approfondirà con il femminismo lesbico, la queer theory di Teresa De Lauretis e Judith Butler, e con il cyborg-femminismo di Donna Haraway. La queer theory mette in discussione la naturalità dell’identità di genere, dell’identità sessuale e degli atti sessuali di ciascun individuo, affermando invece che esse sono interamente o in parte costruite socialmente, e che quindi gli individui non possono essere realmente descritti usando termini generali come “eterosessuale” o “donna”13. Il cyborg-femminismo è invece quella branca del pensiero femminista che studia il rapporto tra scienza e identità di genere14.

3. Il femminismo italiano

Nella riflessione femminista italiana a prevalere, a partire dagli anni Settanta, sono le riflessioni incentrate sulla differenza. In particolare è il gruppo che fa capo alla Libreria delle donne di Milano a diffondere le teorie differenzialiste. Fondata nel 1975, con essa partecipano il Gruppo demistificazione autoritarismo (DEMAU), il Collettivo di via Cherubini, il gruppo della “pratica dell’inconscio” e il gruppo di via Col di Lana. Oltre alle tipiche attività di raccolta del corposo materiale librario esistente sulle tematiche femminili e femministe, la Libreria si distingue per la sua attenzione alla raccolta delle fonti ma soprattutto per la sua attività di analisi e di dibattito politico. L’attività editoriale si concretizza nella pubblicazione della rivista «Sottosopra», nel testo Non credere di avere dei diritti e nel giornale «Via Dogana». Il gruppo di donne della Libreria è fortemente orientato verso la rivendicazione della differenza femminile e pertanto diffonde il pensiero delle femministe francesi, quelle del movimento Psychanalyse et Politique e soprattutto di Luce Irigaray, con la quale collabora e che invita spesso. Nella contestazione dei movimenti emancipazionisti presenti in Italia, specie l’UDI e per qualche aspetto anche il CIF, la Libreria si richiama esplicitamente alle riflessioni del DEMAU, movimento antesignano del femminismo milanese. Il rischio che correvano le associazioni femminili rivendicatrici dell’emancipazione della donna era, a parere della Libreria e dei collettivi che facevano della rivendicazione della uguaglianza con l’uomo il loro cavallo di battaglia, quello di passare dalla “inesistenza” della donna alla sua completa omologazione all’uomo. Agnese Seranis sintetizza molto bene quello che è stato il percorso intrapreso nella direzione non solo della riappropriazione di sé ma anche della affermazione della donna come “altro” rispetto all’uomo:
In ogni luogo io mi scoprivo inesistente ché non ero che l’ombra dei loro desideri o dei loro bisogni mentre io volevo essere io volevo conoscere volevo tenere nelle mani ciò che ero magari per offrirlo per scambiarlo è solo questo che desideravo donare alla pari ciò che effettivamente ero io mentre sino ad oggi mi sembrava di non donare nulla se non il mio corpo a cui essi davano pensieri a cui essi prestavano immagini. Io l’avevo capito che essi volevano solo dialogare con se stessi o con un’altra inventata da loro stessi ché non inquietasse che non proponesse una lettura diversa della vita e con cui dovessero confrontare il loro stesso ruolo15....

Indice dei contenuti

  1. Donne, bioetica e cittadinanza Spunti teorici e sguardi sul contesto italiano
  2. Colophon
  3. Prefazione
  4. Parte prima: La differenza uomini/donne tra bios, ethos e polis
  5. Parte seconda: L’impegno delle donne nel contesto della bioetica italiana: esperienze
  6. Parte terza: I movimenti delle donne e la bioetica: tra storia, sociologia ed esperienze associative
  7. Parte quarta: Differenza di genere e questioni di bioetica e di cittadinanza
  8. Gli autori
  9. Indice