Il meglio Sud
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Attraversare il deserto, superare il divario

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Il meglio Sud

Attraversare il deserto, superare il divario

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Chi ha detto che il Sud è solo Divario col Nord? Perché il temuto Deserto del Sud può attendere? Sappiamo che il Sud produce più di interi Stati europei? Come mai 500 anni dopo c'è un Galileo Galilei terrone? Conosciamo il Sud in grazia di Dio? Abbiamo mai visitato il Museo degli Orrori contro il Sud? Siamo sicuri che Mafia faccia rima con Sud? Qual è il Sud cui conviene restare peggiore Sud? Davvero crediamo che non ci sia anche un peggiore Nord? Cosa spinge sempre più giovani a restare al Sud o a tornarci? Tu non conosci Il meglio Sud. Tu non conosci le Resistenze del Sud: la traversata dei cento nuovi Mosè, il fior fiore delle cento Idee creative, le trincee dei cento Ribelli positivi. Questo libro è un viaggio nel giorno buono di un Sud che entra nel Futuro del mondo tecnologico partendo dal Passato della città di pietra.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788849845877
Categoria
Sociologia

Restare non è morire

E quanti, ma quanti, vorrebbero la luna nel pozzo, una strada sicura che non si rompa tuttora nei bivi
(Rocco Scotellaro, poeta lucano)
La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia
(Gandhi, politico indiano)
«L’altro giorno nel panificio ho incontrato un’amica che non vedevo da tempo. Mi ha detto che fra un po’ si trasferisce nell’Inghilterra del Sud col suo ragazzo per provare a costruirsi un futuro. Fra qualche giorno una mia collega istruttrice va a vivere in Svizzera: raggiunge il fidanzato che già ci lavora da mesi. E il bagnino del centro sportivo per il quale alleno e gareggio va a tentare anche lui la fortuna in Svizzera in un’azienda di salotti. Un altro istruttore è partito un anno fa per l’Australia. Stamattina ho incontrato un’altra ragazza che vive in Olanda dopo anni in Francia. Il tutto in meno di dieci giorni. Si scappa di corsa, anche se a malincuore. Perché andare via diventa l’unica soluzione per garantirsi un domani?».
È il post su Facebook di una ragazza della provincia calabrese. Ha aggiunto il titolo: «Si salvi chi può». Manifesto di quelli che alla fine devono partire. Ogni tanto non vedi più qualcuno, lo perdi di vista. Poi sai che è andato via anche lui.
Ma ci sono anche le storie di quelli che non mollano ma rimangono. Come Giusy Attianese, 28 anni, di Castel San Giorgio, provincia di Salerno, aspirante precaria della scuola. Giusy ha una laurea in Comunicazione e marketing, tanti sogni nel cassetto e un impiego precario come insegnante di informatica (che non c’entra nulla con Comunicazione e marketing). Da gennaio del 2012 ogni settimana viaggia di notte in autobus e poi in treno da Castel San Giorgio a San Giorgio di Nogaro, in provincia di Udine, per fare soltanto due ore di lezione nell’istituto comprensivo Malignani. Circa 1.600 chilometri a settimana e uno stipendio di 174 euro a fronte di una spesa mensile di viaggio di 547 euro. Insomma il paradosso di pagare per lavorare, pur di avere punteggio e scalare le graduatorie. Se non si fosse all’ultima spiaggia, chiunque avrebbe detto «no, grazie».
La storia è raccontata da Sara Angrisani, allieva della scuola di giornalismo Suor Orsola Benincasa di Napoli, in un cortometraggio col quale ha vinto il premio Ansa «Professione reporter» riservato appunto alle scuole di giornalismo. Di questo passo, aggiunge Sara riferendosi a Giusy, le ci vorranno almeno dieci anni di incarichi a termine per diventare docente di ruolo (o chissà cosa, ora che il precariato sarebbe abolito nella scuola). Ma la particolare sensibilità di Sara verso Giusy non è solo professionale, non vedendo neanche lei tappeti di fiori nel suo futuro di giornalista. Dice che il suo video, in realtà, vuole parlare di speranza, la stessa che vede negli occhi della sua amica quando racconta che è stanca di «progetti e progettini», che preferisce accumulare punteggio. Giusy sono io, aggiunge, che vado incontro a una carriera fatta di precariato, quando (e se) ti va bene contratti bimestrali poco o non retribuiti (bisogna ringraziarli perché ti consentono di lavorare), collaborazioni fantasma e tutela zero.
In Giusy, continua Sara, ho rivisto la stessa determinazione e le stesse difficoltà che siamo costretti ad affrontare tutti noi, «generazione di sfigati» come qualche anno fa la definì il privilegiatissimo viceministro Martone. Giusy rappresenta tutte le mie amiche laureate, ultraspecializzate e «masterizzate» che lavorano a nero per meno di 500 euro al mese in campi del tutto estranei ai loro studi. Noi, per quanto ne abbia potuto dire la ministra Fornero (soprannominata «una lacrima sul viso» per i suoi pianti in tv), non siamo «choosy», schizzinosi, col lavoro da fare. E tantomeno lo vogliamo fisso a tutti i costi, dovessimo scandalizzare l’ex capo del governo, Monti, secondo il quale così saremmo «noiosi», ignorando forse lo stesso Monti che ormai i posti fissi in Italia sono solo il 53,6 per cento grazie anche alle politiche di quelli come lui, quindi di cosa parla (quanto a questi ministri, pare che ci sia un concorso per sceglierli, a cominciare dall’antesignano, quel mitico Padoa Schioppa, ministro del Tesoro, il quale parlò dei ragazzi come «bamboccioni» da mandare fuori casa).
Conclude Sara: noi non abbiamo spalle coperte, ma genitori onesti che ci hanno dato l’occasione di poter studiare. E resistono.
Ma che il tiro al giovane sia diventato lo sport nazionale, lo avrebbe confermato uno che giovane lo è stato fino a qualche tempo fa, John Elkan, 37 anni, attuale presidente di Fiat Chrysler ed erede di una fortuna che non deve avergli fatto vivere qualcosa di simile a Giusy o Sara né a qualcuno dei ragazzi partiti di cui sopra. Un diversamente giovane. Il nostro John parlava agli studenti delle scuole superiori della Valtellina. E una ragazza a un certo punto gli ha chiesto: non crede che nel nostro Paese ci sia un problema di meritocrazia? Forse in certi contesti, ha risposto lui, non tutto funziona per il meglio, ma nella maggioranza delle organizzazioni la meritocrazia esiste. E c’è sempre bisogno di qualcuno che sappia fare bene le cose.
A questo punto il presidentissimo, con quella sua aria sempre un po’ inconsapevole, ha piazzato la frase storica: «In realtà credo che tocchi anche ai giovani essere più determinati. Forse non hanno una reale voglia di cogliere le opportunità perché non ne hanno bisogno, stanno bene a casa, oppure non ci sono sufficienti stimoli o non hanno la giusta ambizione a fare delle cose».
Riassumendo: non hanno una reale voglia di cogliere le opportunità; stanno bene a casa; non ci sono sufficienti stimoli; non hanno la giusta ambizione.
Ma tutto questo, «forse»: sia chiaro. Vano riferire cosa gli hanno mandato a dire soprattutto in Rete. La reazione più gentile: la sua unica scusante è che lui un lavoro non lo ha mai avuto (nel senso che non ha mai lavorato). Una più tosta: non può parlare chi non si è mai fatto il sedere quadrato.
Fino alla lettera di Luca Ghizzoni, sardo, su Facebook.
«Caro John, scusami se mi permetto tanta sfrontata confidenza. Vivo in Germania, a Monaco di Baviera, da circa 5 mesi. Faccio parte di quella generazione che “vola” da un posto all’altro, con un bagaglio e qualche ricordo da mettere su un mobiletto di un appartamento di 29 metri quadrati. Quelli che al mese costano 500 euro, se sei fortunato. Hai mai provato l’eccitazione di guadagnare 800 euro e spenderne più della metà per un affitto? Dio, dovresti provarlo John, è come un fungo allucinogeno, da quanto non sembra reale quello che ti capita.
«Voglio dirti una cosa, John. In questo mio soggiorno bavarese ho incontrato decine di italiani laureati e plurispecializzati, artisti, scrittori, ingegneri, matematici, chimici: quasi tutti trentenni, incazzati e sofferenti. E sai perché? Perché il loro “viaggio” non è una vacanza, ma una ragione di sopravvivenza, indotto da un mondo diseguale dove i ricchi sono molto più ricchi, mille volte più ricchi, del primo dei poveri. Lo sapevi questo, John? Andare lontano dal proprio Paese non è mai facile. Richiede forza di volontà, voglia di emergere, fortuna e altre qualità che, senz’altro, un imprenditore sagace e risoluto come te conosce bene. Uno come te che viene dal nulla, che si è fatto da solo: mica come quelli che nascono in famiglie ricche e benestanti, con cognomi importanti, che studiano in università private pagando rette mensili che valgono quanto lo stipendio annuale di un lavoratore qualsiasi. Di mio padre, per esempio.
«Cazzo John, tu sei diverso. Tu hai faticato, hai lavorato duro, hai rischiato e ci sei riuscito. Insegnami come si fanno i soldi partendo dal nulla, come si fa a prendere in giro quei “bamboccioni” che stanno bene solo a casa con la mammina che gli rimbocca le coperte. Insegnami le magie del jet-set con quella nonchalance che dimostri di avere negli ambienti che contano. Anche io voglio essere così, e fanculo la coscienza che mi dice qualcos’altro. Voglio essere un ricco spavaldo. Possedere una Ferrari, una squadra di calcio, avere un Rolex al polsino, abiti Ferrè e Valentino per tutti i giorni, far parte di una decina di consigli di amministrazione, partecipare a quelle feste mondane dove ci sono i giornalisti del gossip.
«Sai, John, io credo nella teoria del caos. Nessuno ha deciso di nascere in una famiglia povera o ricca, bello o brutto, alto o basso, in Congo o in Svizzera, in Afghanistan o in America. C’è sempre qualche causa maggiore che decide per noi. Tu non hai mica deciso volontariamente di far parte di quella élite italiana del 10% che detiene più della metà del Paese. Così come io non ho deciso volontariamente di nascere in una famiglia monoreddito in Sardegna e di far parte, invece, della squadra del 46%, quella dei disoccupati a cui politiche criminali a vantaggio di quelli come te stanno levando il futuro.
«Sai, John, le frasi che hai detto a Sondrio mi hanno fatto pensare che il più delle volte la ricchezza dà alla testa. In Italia non ci sono più imprenditori, tantomeno capitalisti disposti a rischiare. Tanti imprenditori non investono i loro capitali, li fanno girare nella finanza creativa, per creare denaro su denaro senza alcuna ricaduta sociale. Lo ha fatto anche la Fiat negli anni Novanta, ma tu ovviamente non lo sai, forse eri a Cambridge a studiare economia.
«La mia lettera, John, per non tediarti troppo finisce qua. Ma vorrei dirti ancora una cosa. Se mai un giorno dovessi diventare ricco come te e mi chiamassero a dibattere, non direi mai frasi come le tue. Ci sono valori che i soldi e la ricchezza non possono né comprare né valutare, cioè il rispetto e la dignità delle persone. Ricordati sempre che in un Paese di 60 milioni di cervelli c’è e ci sarà sempre qualcuno più intelligente, capace e preparato di te: ma purtroppo, forse, non altrettanto fortunato. Ogni mattina, alzandoti dal letto a baldacchino sul quale riposa tutte le notti il tuo plutocratico sedere, ricorda questo non secondario particolare, e ringrazia la teoria del caos alla quale devi tanto. Ti servirà per essere più umile e forse anche più avveduto di quanto dai l’impressione di essere. Il tuo bamboccione sardo-italo-tedesco».
Il merito e non la fortuna, appunto. Ma se la disoccupazione giovanile in Italia quanto in Europa (e soprattutto al Sud) ha raggiunto livelli mai prima visti, secondo i predicatori vari ed eventuali è colpa dei bamboccioni, degli sfigati, degli schizzinosi, dei noiosi, dei poco ambiziosi? Come si fa a dire che rifiutano un lavoro che non c’è, che si permettono di rifiutarlo travolti come sono dalla crisi più devastante dalla Seconda guerra mondiale? Per non dire quanto è difficile (per la verità non solo al Sud) assumere una ragazza o un ragazzo. Lo denuncia, fra gli altri, Beppe Servegnini sul «Corriere della Sera».
«Chiunque – dice – abbia provato ad assumere un ragazzo conosce l’odissea cui sono costretti il datore di lavoro e il lavoratore. L’apprendistato deve passare sotto le forche caudine di dodici (12!) autorizzazioni. Il part time non ha mai preso piede (e molte aziende non lo concedono). I contratti a progetto sono spesso una farsa, che nasconde la totale assenza di un progetto. I contratti a termine riguardano ormai cinque rapporti di lavoro su sei: ma generano quel precariato cronico che sta azzoppando due generazioni. Restano i classici contratti a tempo indeterminato. I neolaureati che entrano così in azienda sono scesi dal 20% al 5% del 2012: una percentuale irrisoria. Perfino lo stage – la cui importanza non deve essere sottovalutata: nove ragazzi su dieci passano di qui – è stato burocratizzato. La legge 148/2011 prevede che il datore di lavoro sia solo il tutor (sic) di un rapporto fra un’associazione di categoria e lo stagista. I due sono costretti a operare fianco a fianco: la legge ignora che, nel XXI secolo, il lavoro si svolge spesso a distanza e in movimento. Lo stagista, infine, deve pagare imposte sul reddito anche su un compenso di 500 euro mensili. Davvero questo Stato vorace vuole aiutare i ragazzi italiani?».
Servegnini scriveva prima che nel cielo italiano spuntasse la stella Jobs Act, la riforma del lavoro con la quale il governo Renzi intende rilanciare lavoro e Italia. Nel frattempo non si rilanciava niente.
Così abbiamo anzitutto i disoccupati.
Il giochino funziona così. Tutti a dire che i giovani sono il nostro futuro, ma in realtà rischiano di non poter mai raggiungere questo futuro perché il presente gli riserva solo mancanza di lavoro. I numeri sono ballerini nel Paese in cui tutti li danno. Ma come abbiamo visto, a ottobre 2014 i giovani fra i 15 e i 34 anni disoccupati sono in Italia il 30,2% ma al Sud il 44,2%, cioè uno su due. Uno per cento in più su luglio, addirittura 3,6% in più sul 2013. Il massimo dal 1977, anno di contestazioni e terrorismo.
Poi ci sono gli scoraggiati.
Sono i «Neet», quelli che il lavoro non lo cercano più, ma neanche studiano o frequentano un corso di formazione. Quasi 3 milioni al Sud sotto i trent’anni: il 47,1% della popolazione giovanile (contro il 29,6% del Nord e il 31,5% del Centro). Scoraggiati come nuova categoria sociale. Italia non solo popolo di poeti, santi e navigatori: anche popolo di scoraggiati. Stanno lì in attesa. Una parte delusi da precedenti esperienze, una parte convinti che non ci sia più nulla da fare dopo aver bussato inutilmente a tante porte. E sono la maggioranza di quei giovani italiani che vivono grazie all’aiuto dei genitori. Scoraggiati che cominciano dalla scuola: il 26% degli studenti del Sud non arriva alla maturità. È il tasso di dispersione scolastica peggiore in Europa. In un Paese che nell’Ocse (i maggiori Paesi occidentali) ha già la più bassa percentuale di diplomati (54% contro il 73 media Ocse), la più bassa percentuale di laureati (19% contro il 30) e la più bassa percentuale di iscritti a un master (11,3%). E al Sud nel 2014 le iscrizioni all’università sono scese del 15% (meno 1% al Nord). Italia peggiore in Europa anche per le disparità sociali, compresa quella fra Nord e Sud. E pur con un Nord che non se la passa affatto bene nel Paese andato indietro con la recessione e senza luce con la deflazione: i prezzi che calano perché la gente, pur potendo, non consuma per paura del domani, quindi le industrie non producono e il lavoro si perde. E così, più che essere il futuro, con i giovani stiamo bruciando un pezzo di futuro. Il futuro alle spalle.
Allora ci sono quelli che partono: i nuovi emigranti.
Secondo l’Istat, negli ultimi vent’anni sono stati 2 milioni 700 mila quelli andati via dal Sud (oltre 130 mila l’anno). Giorno per giorno, una epopea di gente che risale il Paese. Soprattutto giovani: il 70% (quasi 100 mila l’anno). Il 25% laureati, una percentuale molto maggiore di diplomati. La maggior parte a caccia non solo di un lavoro, ma di una vita. Infine stremati e convinti che al Sud il merito non ha e non avrà grande spazio. E che quel cosiddetto capitale sociale fatto di relazioni, parentele, conoscenze e affiliazioni varie conti più di ciò che umanamente sei e di quanto professionalmente vali. Meglio una raccomandazione che conoscere le lingue. Per molti è un addio etico, rivolta verso il proprio Sud che costringe a farlo perché non offre opportunità. Rivolta contro il clientelismo. Senza potersi e volersi caricare addosso le pur tante ragioni del Sud che conoscono. Francesco Saverio Nitti li chiamava «gli spostati». Sono una rivoluzione silenziosa.
Ma non solo fuga di cervelli, brain drain. Lasciano il Sud anche i pendolari di lungo raggio, perché se dovrà andare sempre così, tanto vale non continuare a fare avanti e indietro. Lo lasciano moltissime giovani coppie anticipando una scelta che forse sarebbero state costrette a fare dopo. Lo lasciano molti piccoli imprenditori stanchi di fare i conti ogni giorno con una burocrazia debilitante e prima responsabile dei problemi del Sud. Ma sono sempre di più quelli che vanno a fare l’università direttamente fuori, per cercare di inserirsi nel lavoro già durante gli studi, anticipando un futuro migliore. Per molti, più che la ricerca di un futuro migliore, la fuga da un presente peggiore.
I giovani del Sud partono per non continuare a vivere nel limbo. Quello dei piccoli impieghi in nero e sottopagati. Quello dei bar che si riempiono tra un aperitivo e un caffè dietro lo schermo di un iPad o smanettando un iPhone in attesa di una svolta che non arriva. Destinazioni principali, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto. Dove i ragazzi del Sud sbarcano in cerca di qualcosa che neanche lì deve essere troppo a portata di mano visto che trovano sempre meno ragazzi del posto partiti anch’essi: all’estero. Secondo i dati della Fondazione Migrantes, sono 94.126 gli italiani espatriati nel 2013 (il Censis aumenta a 106 mila). In termini burocratici: cittadini cancellati per trasferimento. Cancellati. In gran maggioranza sono giovani con laurea o diploma. Prima destinazione: Inghilterra. Poi Germania, Svizzera, Francia, Argentina, Brasile, Stati Uniti.
E oltre la metà va via dal Nord, cioè dalla parte più ricca del Paese. Per una volta anch’essi sudisti, sudisti del Nord Europa, tanto per imparare che si è sempre sudisti di qualcuno. Cominciando a capire anche loro cosa significa dover vivere senza poter vivere, per una ragione qualsiasi non poter restare a casa propria. Sono anzitutto lombardi (16.418), veneti (8.743), laziali (8.211), solo quarti i siciliani (7.818), poi piemontesi (7.267) e romagnoli (6.682).
Quasi la metà non torna più, sentenzia il napoletano Luigi Nicolais, presidente del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) ed ex ministro. E come li fai tornare? Fuga della meglio gioventù, scrive allarmata la stampa del Nord. Fuga dei cervelli. Proprio quella classe dirigente che domani potrebbe aiutare l’Italia a uscire dalla crisi. Trolley, computer e voli low cost. Ma non solo: fuga di tutti. È come se una Alessandria o una Piacenza si fossero svuotate, dice un giornale, perché adesso vanno via dalle città non dalle campagne (fatte le proporzioni, con tutta l’emigrazione dal Sud, è come se fossero sparite Napoli e Bari). In quei Paesi, con una laurea, possono essere pagati fino al 50% in più, aggiunge. E la finora distratta stampa settentrionale scopre per i ragazzi del Nord ciò che per i ragazzi del Sud nessuno si era finora preoccupato di scoprire: ciascuno di loro costa alla famiglia, dalle elementari all’università, 130 mila euro, quanto una Ferrari (calcoli Ocse). Valore che viene regalato a chi ottiene i ragazzi chiavi in mano e può subito utilizzarli a costo istruzione zero. I Paesi esteri per quelli del Nord. Calcolando, come abbiamo visto, che il 25% dei quasi 100 mila giovani meridionali emigrati ogni anno negli ultimi vent’anni sono laureati, e moltiplicando 25 mila (appunto il 25% di 100 mila) per 130 mila si ottengono 3 miliardi 150 milioni di euro, quanto le famiglie del Sud regalano ogni anno al Nord.
Sara De Marco, 20 anni, di Napoli, è partita per Londra senza nemmeno conoscere bene l’inglese. Dice: «Non so se tornerò e quando tornerò. Ho comprato solo il biglietto di andata e per ora va ben...

Indice dei contenuti

  1. Il meglio Sud
  2. Colophon
  3. Tra Rocco e Galileo
  4. Le campane a morto
  5. A qualcuno non piace sveglio
  6. Per me si va nella città dolente
  7. Un treno chiamato desiderio
  8. Chi ingrassa la mafia
  9. Un politico che viene da lontano
  10. Il peggio Sud da scacciare
  11. Guarda quale Nord predica
  12. Restare non è morire
  13. Tu non conosci il Sud
  14. I cento nuovi Mosè
  15. Le cento nuove Idee
  16. I cento nuovi Ribelli
  17. Il futuro è di pietra
  18. Indice