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A Carl Menger si devono acquisizioni scientifiche di grande rilievo, sempre caratterizzate da straordinaria originalità. Quello monetario è uno dei problemi su cui egli ha applicato il suo ingegno. Ha infatti scritto una lunga voce enciclopedica, nella quale ha impiegato la teoria delle conseguenze inintenzionali delle azioni umane intenzionali. Ha così mostrato il processo che, senza la programmazione di alcuno, ha generato il "denaro", un mezzo che ha aperto la strada allo sviluppo e alla intensificazione della cooperazione sociale. Sulle spalle di Menger, è salito Georg Simmel, la cui grande opera sulla filosofia del denaro ha come sua imprescindibile base il lavoro mengeriano. Ma la stragrande maggioranza degli economisti ha colpevolmente trascurato Menger. E non si è resa conto dei disastrosi esiti dell'assorbimento del denaro, prodotto spontaneo della cooperazione volontaria, da parte dello Stato. Un fenomeno sociale si è allora trasformato in fenomeno politico. È nata la banca centrale e la moneta nazionale. Si sono creati i presupposti di una svalutazione permanente e delle crisi periodiche, che sono il puntuale portato delle decisioni di politica monetaria: tutte vicende che Menger aveva prefigurato con largo anticipo. Recentemente tradotto in lingua inglese, il saggio di Menger è una preziosa fonte di apprendimento, che consente di mettere a nudo alcuni inquietanti aspetti dell'attuale e grave congiuntura economica internazionale. Esce ora contemporaneamente in lingua italiana e spagnola, con la penetrante prefazione di José Antonio de Aguirre e di Lorenzo Infantino.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788849837353

1.

L’origine degli intermediari di uso universale dello scambio1

1. Introduzione

Da sempre l’attenzione dei filosofi sociali e di tutti coloro che operano nella vita economica pratica è stata particolarmente attratta dal fenomeno per cui certi beni diventano mezzi di scambio – beni che nella civiltà progredita sono l’oro e l’argento trasformati in moneta attraverso il conio, e in seguito anche titoli cartacei certificati rappresentativi di questi ultimi. Che un bene venga ceduto dal suo possessore in cambio di un altro bene per lui più utile, è un fatto che anche la persona più comune riesce a capire. Ma che in tutti i popoli giunti a un certo grado di civiltà, ciascun soggetto economico sia disposto, anzi si impegni incessantemente a convertire i propri beni destinati allo scambio in dischetti di metallo in sé inutili o in titoli cartacei che li rappresentano, questo è un fenomeno che contraddice a tal punto il corso normale delle cose che non c’è da meravigliarsi se persino un eminente pensatore come Savigny abbia visto in esso addirittura qualcosa di «misterioso»2.
Non si creda che l’aspetto enigmatico di tale fenomeno stia nella forma di moneta coniata o di titolo cartaceo che assumono attualmente i mezzi di scambio presso tutti i popoli civili. Anche se prescindiamo da questa forma e risaliamo a quegli stadi dello sviluppo economico nei quali, come accade ancora oggi presso numerose popolazioni, fungono da mezzo di scambio metalli nobili non coniati o anche certe merci d’altro genere (capi di bestiame, pelli, confezioni di tè, tavolette di sale, alcune specie di conchiglie, ecc.), noi ci imbattiamo sempre nello stesso fenomeno, a tutta prima inspiegabile: il fenomeno per cui gli uomini, nel loro agire economico, sono pronti ad accettare certi beni – anche se non ne hanno davvero bisogno o se il loro bisogno è già soddisfatto – in cambio dei beni che a loro volta portano sul mercato; mentre, quando si tratta di quei beni che altrimenti essi acquisiscono attraverso delle transazioni o per i quali affrontano un qualsiasi sacrificio economico, di solito si chiedono prima di tutto se ne hanno davvero bisogno.
Si spiega così anche quella catena ininterrotta di discussioni teoriche – che si trascina dai primordi dell’osservazione scientifica dei fenomeni sociali fino ai nostri giorni – intorno alla natura del denaro e alle caratteristiche specifiche che esso assume entro la sfera degli altri oggetti delle transazioni. Qual è la natura di quei dischetti di metallo o di quei titoli cartacei che in sé non sembrano avere alcuno scopo utile, e che tuttavia, contraddicendo qualsiasi esperienza, nello scambio con i beni più utili passano di mano in mano, e in cambio dei quali ognuno si premura persino di cedere le proprie merci? Com’è sorto il denaro? È un elemento organico del mondo dei beni, oppure una anomalia della economia di una società?

2. Le difficoltà degli scambi in natura

La ricerca teorica sull’origine dei mezzi di scambio deve cominciare da quello stadio di sviluppo delle società umane nel quale è già avvenuta la transizione dalla «economia naturale senza scambi» alla «economia naturale con scambi in natura» o baratto3. Prima che questo sviluppo si compisse, gli uomini per periodi di tempo sterminati hanno perseguito il soddisfacimento dei loro bisogni sostanzialmente in una economia tribale e familiare senza scambi, fino a che sono comparse gradualmente, favorite dalla nascita della proprietà privata e soprattutto della proprietà personale, molteplici forme di transazione preparatorie dello scambio di beni vero e proprio, e alla fine è comparso quest’ultimo, come risultato dello sviluppo generale della civiltà4. Solo allora – e non certo prima che lo scambio di beni in natura fosse diventato un bisogno grazie alla sua estensione e alla sua importanza per la popolazione o comunque per determinate fasce di popolazione – si creò la base oggettiva e la premessa per la nascita del denaro5.
Tuttavia, sui mercati caratterizzati dal baratto, alcuni ostacoli derivanti essenzialmente dalla sua stessa natura finirono inevitabilmente per contrapporsi allo sviluppo ulteriore delle transazioni e quindi anche allo sviluppo della divisione professionale del lavoro – ostacoli che era difficile e talvolta impossibile rimuovere restando nell’ambito di quelle forme di scambio. In verità, la difficoltà che spesso si è voluto enfatizzare – e cioè che, in regime di baratto, colui che offre una merce avrebbe scarse prospettive sia di trovare le persone delle cui merci ha bisogno, sia di essere a sua volta trovato dalle persone che hanno bisogno della sua merce – è stata superata già con la nascita di mercati, dovunque cioè gli scambi avevano acquistato una maggiore estensione e importanza ed era stato possibile dotarli della necessaria sicurezza giuridica. Di regola infatti sui mercati in cui vige il baratto – e tali mercati li incontriamo, con istituzioni assai simili, tanto nel Sudan quanto nelle steppe asiatiche, nelle isole dell’Oceano indiano come nell’antico Messico – si ha cura di esporre le merci messe in vendita in modo così funzionale che chiunque vada al mercato possa trovare coloro che gli offrono le merci che egli desidera con la stessa facilità con cui egli può viceversa essere cercato e trovato da coloro che hanno bisogno delle merce da lui messe in vendita. Questo ci dice che la difficoltà vera e propria del baratto non sta nell’incontro dei contraenti. Allo stesso modo a me pare che nella teoria venga eccessivamente enfatizzata la difficoltà che sui mercati in cui vige il baratto si frappone all’adattamento quantitativo dell’offerta e della domanda dei singoli contraenti come conseguenza dell’indivisibilità di certi beni. L’esperienza ci conferma infatti che su quei mercati di solito non si scambiano beni all’ingrosso (per es. schiavi, buoi, zanne di elefante, ecc.) con beni al minuto; il più delle volte anzi questi ultimi, talvolta le stesse conchiglie cauri, non vengono neanche accettate in cambio di quegli altri, e viceversa chi vuole ottenere in cambio un piatto di miglio o una manciata di banane non va certo al mercato portando con sé schiavi o buoi. In realtà le difficoltà che si frappongono allo sviluppo dello scambio dei beni in natura stanno altrove. Stanno nel fatto che, nei mercati in cui vige il baratto, solo in un numero relativamente esiguo di casi esistono effettivamente coppie di contraenti che hanno bisogno l’uno delle merci dell’altro, sicché per chiunque offra una merce non è affatto facile trovare un altro che sia venuto al mercato per offrirgli la merce che egli cerca e al tempo stesso abbia bisogno di quella che egli offre. E questa è una difficoltà che inevitabilmente si aggrava con lo sviluppo della divisione del lavoro e con la moltiplicazione delle varietà di beni portate al mercato.
Una illustrazione vivace di queste difficoltà ce la offrono le celebri relazioni di viaggio di V. L. Cameron e H. Barth. «La mia prima preoccupazione – scrive Cameron – fu quella di procurarmi delle imbarcazioni» (per attraversare il lago Tanganica). «Poiché i proprietari di due delle imbarcazioni che mi erano state promesse erano assenti, cercai di noleggiarne una, di proprietà di Syde ibn Habib, rivolgendomi al suo agente, il quale però voleva essere pagato in avorio, che io non avevo. Venni a sapere tuttavia che ce l’aveva Mohamed ben Salib, il quale a sua volta aveva bisogno di stoffa di cotone. E poiché io non avevo neanche questa, la notizia mi giovò poco fino a che non appresi che Mohamed ibn Gharib possedeva la stoffa e però aveva bisogno di filo di cotone. Per fortuna questo io ce l’avevo, e così cedetti a Mohamed ibn Gharib la quantità di filo che gli occorreva, dopo di che lui cedette la stoffa a Mohamed ben Salib, il quale da parte sua cedette all’agente di Syde ibn Habib l’avorio che desiderava. E così finalmente egli mi permise di prendere la barca»6.
Barth a sua volta racconta:
«Un piccolo agricoltore che porta il suo grano al mercato del lunedì di Kakaua (nel Sudan), non vuole assolutamente essere pagato in conchiglie, e solo raramente si accontenta dei talleri. Chi vuole acquistare il suo grano è costretto quindi, se dispone soltanto di talleri, a permutare anzitutto talleri con conchiglie, o piuttosto a comprare conchiglie, e con queste a comprare una camicia (Kùlgu) per poi essere in grado dopo molteplici permute […] di procurarsi finalmente il suo grano. La fatica alla quale deve sottoporsi chi va al mercato è tale che spesso ho visto i miei servi tornare di là completamente esausti»7.
Se si tiene conto del fatto che nei casi suddetti il successo ottenuto, pur al prezzo di tutta la fatica, della perdita di tempo e indubbiamente anche dei sacrifici economici che comporta l’aiuto dei collaboratori al mercato, deve essere considerato oltretutto un’eccezione, mentre la regola è che lo scambio di beni nelle suddette circostanze neanche comincia – allora se ne concluderà facilmente che, sui mercati in cui vige il baratto, proprio la circostanza qui rilevata ostacola sostanzialmente lo sviluppo delle transazioni e indirettamente anche quello della divisione professionale del lavoro, e per una parte non irrilevante lo rende addirittura impossibile. Si può capire allora perché, su mercati di quel genere, per chi offre in vendita una merce non basta che uno o più contraenti la cerchino per comprarla, e per uno che vuole averla barattandola con una propria non basta che uno o più contraenti la offrano effettivamente sul mercato. Lo scambio diretto di beni si limita piuttosto essenzialmente a quei casi relativamente rari nei quali si incontrano coppie di contraenti che hanno effettivamente bisogno l’un l’altro dei beni da loro offerti in vendita.

3. Il diverso uso corrente (grado di commerciabilità) dei beni

Queste difficoltà (malgrado tutta una serie di strumenti esistenti già all’epoca dell’economia naturale per agevolare le transazioni) avrebbero frapposto ostacoli addirittura insormontabili al progresso degli scambi dei beni e alla divisione professionale del lavoro, ma in particolare al progresso della produzione di beni esposti a vendita incerta, se non fosse già esistito in germe un rimedio naturale oggettivo per eliminare gradualmente tali ostacoli: il diverso grado di commerciabilità dei beni stessi.
Chiunque osservi infatti i mercati nei quali vige il baratto (dove, proprio per le difficoltà degli scambi in natura che abbiamo indicato precedentemente, persino chi va al mercato con una ricca provvista di beni non è tuttavia sicuro di poter barattare con essi esattamente i beni che corrispondono ai propri specifici bisogni, neanche qualora esista una domanda effettiva dei beni che egli offre e quelli che egli desidera si trovino effettivamente sul mercato!), non può non constatare un fatto che ha una importanza pratica proprio a questo livello di sviluppo dei commerci: e cioè che per certi tipi di beni esiste soltanto una domanda poco ampia o sporadica, mentre per una serie di beni di altro tipo la domanda è più generale e costante; e quindi chi porta al mercato beni del primo tipo per barattarli con beni di cui ha specificamente bisogno, di regola ha una minore probabilità di raggiungere questo scopo, o comunque deve fare più fatica e un maggiore sacrificio economico rispetto a chi va al mercato con beni del secondo tipo.
Gli esempi concreti per avvalorare questo fatto non occorre cercarli lontano. Qualsiasi esploratore che si rechi in paesi dove esiste ancora il baratto parte da queste stesse considerazioni quando, per fare provvista di mezzi di scambio, non si procura merci qualsiasi, ma soltanto quelle di cui, per esperienza personale o di altri che lo hanno preceduto, conosce la particolare commerciabilità nei territori che dovrà attraversare.

4. La nascita dei mezzi di scambio

Se questa è la situazione, il primo pensiero di un singolo soggetto economico che porta beni al mercato (per permutarli con beni di cui ha specifico bisogno), ma non può raggiungere direttamente il suo scopo a causa della scarsa commerciabilità dei propri beni, è quello di scambiarli con altri beni di cui personalmente non ha bisogno immediatamente, ma che sono notevolmente più commerciabili dei suoi. In questo modo egli non raggiunge certamente subito e in modo diretto l’obiettivo finale dell’operazione di scambio che era nelle sue intenzioni (l’acquisizione dei beni specifici che gli occorrono!), ma ci si avvicina. Ricorrendo alla via più lunga di uno scambio intermedio (cedendo cioè le sue merci meno commerciabili in cambio di quelle più commerciabili), egli ha la probabilità di raggiungere il suo obbiettivo in maniera più sicura ed economica che non limitandosi al baratto diretto. Questa idea non è certamente sorta simultaneamente in tutti i membri di una popolazione. Come accade in tutti i progressi della civiltà, solo un certo numero di soggetti economici avrà intravisto il vantaggio del procedimento sopra descritto per la propria attività economica – un vantaggio che in sé e per sé è indipendente dal riconoscimento generale di una merce come mezzo di scambio, perché sempre e in tutte le circostanze uno scambio simile avvicina notevolmente il singolo individuo all’obiettivo economico finale dell’acquisizione dei beni che gli occorrono, e ne incrementa l’approvvigionamento. Ma poiché, com’è noto, per rendere chiaro a qualcuno quali siano i suoi interessi economici non esiste mezzo migliore che la percezione dei successi economici di coloro che hanno la perspicacia e la capacità operativa di usare i mezzi giusti per realizzarli, allora è anche chiaro che nulla può aver favorito maggiormente la diffusione e la generalizzazione di questa intuizione quanto l’acquisizione sistematica, da parte dei soggetti economici più avveduti e abili nel perseguire il proprio utile economico, di merci eminentemente più commerciabili rispetto a tutte le altre. Questo progresso delle conoscenze economiche come risultato del progresso generale della civiltà si è manifestato effettivamente dovunque circostanze esterne non lo abbiano impedito. L’interesse dei singoli soggetti economici ad approvvigionarsi di beni li ha condotti, con la progressiva consapevolezza di questo loro interesse – e senza accordi, senza alcuna coercizione legislativa, anzi senza alcun riguardo per l’interesse generale, ma perseguendo semplicemente i loro scopi economici individuali – a intraprendere sempre più frequentemente una serie di atti di scambio indiretti, fino a considerarli una forma normale di transazione dei beni. Essi cioè hanno anzitutto proceduto a scambiare i beni che portavano al mercato – ma che difficilmente, e forse mai, sarebbero riusciti a barattare con gli articoli di cui avevano strettamente bisogno – con altri beni dei quali non avevano immediatamente bisogno, ma che essendo molto commerciabili offrivano a chi li possedeva la possibilità di barattarli facilmente sul mercato con i beni immediatamente desiderati.
L’esperienza ci dice che, in tutte le latitudini, hanno mostrato di essere merci di ottima commerciabilità quei beni, disponibili in quantità limitata ma universalmente necessari e desiderati, per i quali di solito esiste costantemente sul mercato una domanda esplicita relativamente ampia (ma insoddisfatta) da parte di soggetti dotati di capacità di scambio. Essi sono:
  1. 1. I beni disponibili soltanto in quantità limitata, sicché chi ne è ricco manifesta nel loro possesso tutto il suo prestigio e il suo potere (in particolare il suo rango sociale). Di questi beni esiste perciò sul mercato una domanda costante e praticamente quasi illimitata (una domanda costante insoddisfatta) da parte dei soggetti più dotati di capacità di scambio; e può trattarsi per esempio (a seconda della diversità delle situazioni e della mentalità prevalente nella popolazione di un territorio) di capi di bestiame in genere o di una certa varietà, di schiavi, di oggetti ornamentali (anelli, fermagli, conchiglie e ciondoli di conchiglie, ecc.), metalli nobili, tra i quali rientrano in vario modo anche il rame e le leghe di rame, lo stagno, e via dicendo.
  2. 2. I prodotti locali destinati al consumo domestico; trattandosi di oggetti universalmente desiderati e necessari, ma che non vengono prodotti – o non in quantità sufficiente – nell’economia familiare della maggior parte di coloro che sono dotati di capacità di scambio sul mercato, per essi esiste perciò (specialmente quando si tratta di prodotti particolarmente popolari) una domanda larghissima e costante o continuamente reiterata ma insoddisfatta (per esempio, ancora oggi, in molti Paesi, armi, gioielli, tessuti di cotone, tappeti, coperte, pelli, cereali, riso, semi di cacao, ecc.).
  3. 3. Beni di largo e costante fabbisogno e consumo, che non vengono prodotti o non in quantità sufficiente in un territorio, e di conseguenza devono essere importati perché ne esiste una domanda estesissima e costante sui mercati del territorio in questione: per esempio, in molte località, tavolette di sale, confezioni di tè, metalli nobili, metalli utili di larghissimo consumo (rame, ottone, ferro, piombo, specialmente in barre o in filo), coperte di lana, conchiglie e ciondoli di conchiglie, coloranti per tatuaggi, e in certe circostanze cereali, riso, pesce essiccato, stoffe di cotone, ecc.)8.
  4. 4. Beni nei quali, per effetto di consuetudini o rapporti di potere, si è obbligati a offrire periodicamente certe prestazioni unilaterali (per esempio: regalie e tributi sotto forma di determinati beni da conferire, per consuetudine o stati di costrizione, a persone altolocate, preti, luminari della medicina e via dicendo; risarcimenti patrimoniali e ammende penali come il guidrigildo, fissate in determinati beni; beni di un certo tipo da donare, secondo gli usi, per acquistare la moglie, ecc.), giacché proprio a questi beni, già comunque altamente desiderati da chi nella società ha la massima capacità di scambio, si rivolge periodicamente la domanda aggiuntiva specifica finalizzata agli scopi suddetti.
  5. 5. Articoli destinati all’esportazione (pelli, pesce essiccato, dolci biscottati e altri prodotti immagazzinati), che sui mercati dove si pratica il baratto possono essere scambiati di volta in volta, negli empori degli esportatori, con i beni di vario genere dei quali questi negozianti sono sempre riforniti e la popolazione locale ha generalmente bisogno e desiderio, sicché quegli articoli acquistano, per la popolazione stessa, una facilità di smercio quasi illimitata (creata artificialmente!), di solito a prezzi fissi.
Nel periodo del baratto, beni di questo genere e di genere analogo garantiscono, a chi li porta al mercato con lo scopo di scambiarli con beni di cui ha specificamente bisogno, il vantaggio di una prospettiva incomparabilmente più sicura di raggiungere il proprio scopo rispetto a quella che avrebbe se andasse al mercato con beni che non dimostrassero, o dimostrassero solo in scarsa misura, di avere il pregio della commerciabilità; in aggiunta, poiché la domanda dei beni da lui portati al mercato è più estesa, più costante e più intensa di quella degli altri beni, egli può...

Indice dei contenuti

  1. Denaro
  2. Colophon
  3. La teoria del denaro di Carl Menger di José Antonio de Aguirre e Lorenzo Infantino
  4. Nota del Traduttore
  5. 1. L’origine degli intermediari di uso universale dello scambio
  6. 2. La controversia teorica tra economisti e giuristi sulla natura del denaro e sulla sua specificità rispetto a tutti gli altri beni
  7. 3. La nascita della moneta di metallo nobile
  8. 4. Il perfezionamento della moneta metallica attraverso la coniazione dei metalli
  9. 5. Il perfezionamento da parte dello Stato del sistema monetario e del sistema di coniazione
  10. 6. Il denaro come strumento giuridico di obblighi patrimoniali unilaterali e sussidiari
  11. 7. La «funzione» del denaro come mezzo di pagamento (con potere liberatorio)
  12. 8. Il denaro come mezzo di tesaurizzazione, capitalizzazione e trasferimento intertemporale e interlocale di ricchezza patrimoniale
  13. 9. Il denaro come intermediario nelle transazioni di capitale
  14. 10. Il denaro come «strumento di misura del prezzo» (come indicatore del prezzo)
  15. 11. Il denaro come misura del valore di scambio dei beni
  16. 12. Il concetto di denaro quale risulta dalle sue funzioni
  17. 13. È il corso forzoso inerente al concetto di denaro o è semplicemente un suo perfezionamento?
  18. 14. La domanda di denaro
  19. Note
  20. Bibliografia
  21. Appendice, Carl Menger, Sull’origine del denaro
  22. Indice