La casta invisibile delle regioni
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La casta invisibile delle regioni

Costi, sprechi e privilegi

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La casta invisibile delle regioni

Costi, sprechi e privilegi

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Numerose erano le «caste» finite sotto la lente di ingrandimento, ma mai nessuno aveva raccontato con una analisi approfondita e attenta quella delle regioni. Eppure tutti sappiamo che buona parte degli sprechi di cui tanto si discute si annidano proprio in questi piccoli venti stati che compongono il nostro Paese. Un «giro d'Italia» tra costi, sprechi e privilegi, auto blu, disservizi, società partecipate, enti inutili, viaggi merenda, sedi all'estero, maxi-stipendi e debiti record, pieno di risvolti sconosciuti e dati inediti. Divertenti da un lato e inquietanti da un altro. Al nord, al centro e al sud, nelle regioni «normali » e in quelle speciali. È lì che si annida la vera e voracissima «casta invisibile», che forse dopo questo libro sarà un po' meno sconosciuta

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Informazioni

PARTE SECONDA
I conti e i debiti dei governi regionali

1.
I soldi spesi

I duecento miliardi fuori controllo dei bilanci regionali

UNA SPESA CHE IN DIECI ANNI è cresciuta secondo la Corte dei conti del 21% contro «solo» il 17,5% delle entrate, e che anche per questa sfasatura ha causato debiti a volte importanti. Una pressione tributaria locale che ha subìto una drastica impennata, più alta dell’inflazione. Con un’Italia che si divarica sempre più in due, anzi in quattro: oltre classico (nord/ sud), c’è un altro livello da considerare, trasversale: regioni a statuto ordinario (RSO) e regioni a statuto speciale (RSS). Ecco in estrema sintesi il quadro della finanza regionale, dei nostri soldi e dei soldi delle regioni nelle quali viviamo. E con una frettolosa e incompiuta (per altri aspetti innovativa) riforma del Titolo V della Costituzione fatta approvare di corsa nella legislatura 1996-2001, che ha prodotto venti Stati nello Stato, con (purtroppo) ampia autonomia contabile, legislativa e regolamentare, senza adeguati controlli centrali. Una riforma voluta da un centrosinistra che voleva stoppare la Lega nord e affermare il principio dell’unità nella diversità, e della cui incompiutezza paghiamo ancora (e pagheremo) dazio. Sono stati aboliti i vecchi Coreco (i comitati centrali di controllo), non ci sono i revisori dei conti come pure hanno comuni e province e tutti i poteri di verifica sono stati trasferiti alla Corte dei conti, che insieme al governo è stata caricata dell’onere di un controllo vero ed effettivo che però al momento non sempre si vede con l’efficacia che servirebbe, evidentemente per carenze nella legislazione cui si dovrà al più presto porre rimedio.
Le due legislature post-riforma del Titolo V in Campania e nel Lazio sono l’esempio di una gestione dissennata senza contrappesi centrali, che ha originato buchi mostruosi da scaricare sui cittadini: quasi 18 miliardi i debiti accumulati nel Lazio dalle gestioni di Francesco Storace e Piero Marrazzo. Come riferisce una bella inchiesta de «Il Sole 24 Ore» compiuta nell’autunno 2011, «per anni, dal 2003 al 2005 diverse Asl laziali non hanno compilato i bilanci, segnavano le spese in un brogliaccio e le comunicavano verbalmente al ragioniere capo della regione. Nel 2007 il ministero dell’Economia, allora retto dal professor Tommaso Padoa Schioppa, obbligò il Lazio a un piano di rientro, ma le casse erano vuote e non bastò neppure la sottoscrizione di un mutuo trentennale. Il ministero tirò fuori di tasca i 2,5 miliardi che mancavano». Ma il quadro desolante non si ferma qui. Da allora almeno quattro regioni (Calabria, Sicilia, Campania e Lazio) sono vicine alla bancarotta stile Grecia (se fossero spa sarebbero fallite) e nel tempo hanno compiuto una serie di violazioni alle norme più svariate per le quali in una «normale» azienda sarebbe intervenuto il tribunale; la regione Sicilia per il terzo anno consecutivo è ricorsa all’esercizio provvisorio di bilancio e rischia il commissariamento per il buco prodotto dalla giunta Lombardo (nel febbraio 2012 l’assessore al Bilancio, Gaetano Armao, è andato a piangere a Roma lamentando un deficit di 2,3 miliardi), la Campania nel 2009 ha violato il patto di stabilità e l’ultimo comma dell’articolo 119 della Costituzione secondo cui le regioni possono contrarre debiti solo per fare investimenti (in realtà si è continuato a indebitarsi per finanziare la spesa corrente). Senza contare che «nel corso degli anni – chiude l’inchiesta de Il Sole 24 Ore – è cresciuto il malcostume dei residui attivi». Un debito che è di tutti: sud (la Campania è a 15 miliardi), centro (il Lazio è sugli 11) ma anche nord: basti pensare che il Piemonte ha chiuso il 2011 con un fardello di sei miliardi di euro, e ogni piemontese (neonati compresi) ha su di sé un debito regionale (poi c’è quello statale) di oltre 1.500 euro.

Tasse e debito, pagano sempre i cittadini

All’inizio c’è la madre di tutte le domande: quanto costano ai contribuenti le regioni italiane? Quanto incassano? Costano più ai lombardi o ai siciliani, ai friulani o ai toscani? È possibile buttar là una cifra che ci dia il senso del flusso di denaro che passa dalle casse dei nostri governatori?
Il primo dato da considerare è l’insieme del costo complessivo della «macchina pubblica», che come spiega il professor Flavio Delbono nel suo La crisi. Di chi è la colpa?, nel 2010 è stato 793 miliardi di euro: 538 spesi dallo Stato centrale, 68 dai comuni, 12 dalle province e 175 dalle regioni (di cui 133 dalle RSO e 42 dalle altre). A livello di spesa pro-capite, i comuni ci sono costati 1.122 euro a testa, le province 198, le regioni a statuto ordinario 2.583, quelle a statuto speciale 4.601 mentre lo Stato ha gravato sulle tasche di ciascuno di noi per 8.874 euro (senza enti previdenziali «solo» 3.925 euro).
Ma partiamo dalle spese. Secondo i dati forniti dalla Corte dei conti nella Relazione 2011 sulla gestione finanziaria al parlamento, nel 2002 le RSO avevano una spesa complessiva (parliamo degli «impegni» di spesa, ossia degli obblighi contrattuali che ciascuna amministrazione contrae, dagli stipendi agli investimenti) di 109 miliardi di euro. Nel 2010 gli stessi impegni sono saliti a 131 miliardi. Quasi 23 miliardi in più, per un salto del 21%. Nel 2008 la cifra era stata addirittura maggiore, 138 miliardi (+7 miliardi rispetto al 2010). Questo per quanto riguarda le RSO. Per le RSS la Corte dei conti compila un prospetto a parte, dal quale si evince che la spesa (sempre impegni) nel 2010 è stata di 43,9 miliardi di euro (45,9 nel 2008).
Quanto al «tipo» di spesa, per le RSO dal 2005 al 2010 è aumentato soprattutto il livello delle spese correnti (una delle voci classiche della spesa corrente sono gli stipendi, ma ce ne sono altre come i servizi sanitari) che passano da 90 miliardi del 2005 a 125, mentre c’è una contrazione di quelle in conto capitale, ossia in investimenti e beni durevoli (classico esempio: la costruzione di un ospedale) che scendono da 18 miliardi a una cifra che non è facilissimo determinare con precisione ma che si attesta intorno ai 14 (fonte Corte dei conti). Un aumento delle spese che è solo per quelle correnti dovrebbe indurre a qualche riflessione circa uno dei temi più attuali, la crescita: se spendiamo solo per finanziare il presente ma non per investire, che futuro ci aspetta?

Spese impazzite? Ma anche le entrate…

Se le spese sono cresciute, le entrate non sono rimaste ferme. Pur, come abbiamo visto, in misura inferiore: 17,5% contro 21%.
Il finanziamento alle regioni avviene in modo, come dire, «misto». Da una parte ci sono i tributi (cioè l’insieme di imposte e tasse), dall’altra i fondi o dello Stato o dell’Unione europea, ai quali si aggiungono entrate minori come mutui, prestiti, alienazioni di beni. I tributi sono in parte tributi propri della regione, in parte quote di tributi statali (sono trasferimenti anche quelli). Secondo i dati del Copaff (la commissione per l’attuazione del federalismo fiscale) nel 2010 le entrate totali delle regioni (sia ordinarie sia speciali) sono state di 170 miliardi (senza contare quelle del cosiddetto Titolo VI della contabilità, le «entrate speciali» che sono nella maggior parte partite di giro e quindi da non considerare, come anche la Corte dei conti non considera).
Di questi 170 miliardi, 49 miliardi vengono da imposte e tasse proprie, circa 85 da trasferimenti di tributi statali. Un quadro complesso, che al lettore non specialistico mostra prima di tutto quanto sia importante la quota di finanziamento che la regione autoimpone ai propri cittadini. Una grossa parte delle tasse e delle imposte che tutti noi paghiamo è cioè non solo destinata alla regione ma decisa dallo stesso governo regionale. Le voci dei tributi regionali sono l’Irap (imposta sulle attività produttive), la quota regionale dell’Irpef nazionale (la cosiddetta «addizionale regionale»), l’addizionale sul consumo di gas metano, il tributo per i rifiuti solidi urbani, l’imposta regionale sulle concessioni statali, l’addizionale regionale sulla benzina, le tasse automobilistiche, la tassa regionale per il diritto allo studio universitario per gli studenti, la tassa sulla caccia e sulla pesca, la tassa per le abilitazioni professionali, altre imposte e tasse «minori». Una selva fiscale. Poi ci sono le quote di propri tributi che lo Stato devolve alle regioni, rappresentate in grossa parte dalla compartecipazione all’Iva e in misura minore la quota regionale dell’accisa sulla benzina (il cui ammontare è deciso dai governatori).
Nel corso di questi ultimi anni, l’abbiamo sottolineato, il monte-entrate è cresciuto sensibilmente. Secondo i dati della Corte dei conti (sostanzialmente omogenei a quelli del Copaff), le stesse entrate per accertamenti che nel 2010 sono state per le RSO 123 miliardi di euro, nel 2002 erano 104 miliardi, con un aumento di 19 miliardi, pari al 17,5% circa.
In buona parte, purtroppo, è cresciuta la pressione tributaria, ossia tasse e imposte. Mentre all’opposto è diminuita la quota dei trasferimenti statali non derivanti da tributi: lo Stato dà meno soldi alle regioni, molti meno, e i governatori per far quadrare i conti (o almeno provarci) mettono le mani in tasca ai cittadini. Oppure, l’abbiamo già sottolineato, fanno crescere il debito pubblico. I cui interessi finiscono per gravare sempre sui cittadini.

L’impennata dell’Irpef

Tra le imposte che paghiamo alle regioni, grande spazio va alla famosa (o famigerata) addizionale Irpef, la quota regionale dell’imposta sul reddito delle persone fisiche che si aggiunge a quella erariale, istituita nel 1998. La manovra «Salva-Italia» del governo Monti ha alzato sensibilmente la quota di questo gettito (forse per compensare le minori risorse destinate dallo Stato alle regioni) e ha concesso alle singole amministrazioni la facoltà di far lievitare il prelievo dello 0,33%, portando la quota minima dallo 0,9 all’1,23. Il panorama italiano è complesso, e ogni regione viaggia più o meno per conto proprio. Si va dalle meno pretenziose a quelle in assoluto più care: Campania, Calabria e Molise che a causa del dissesto finanziario possono sforare il tetto previsto a 1,73 %, e arrivano addirittura al 2,03% che si aggiunge alla quota Irpef già destinata allo Stato.
Molte regioni prevedono scaglioni di reddito ai quali applicare il prelievo. I casi sono diversi ed è inutile esaminarli uno a uno. Altre, la maggior parte, hanno optato invece per una aliquota secca. Per capire quanto l’addizione pesa sulle tasche di ognuno di noi, facciamo un esempio di un reddito di 50mila euro in una regione«economica» come la Toscana o la Basilicata (addizionale 1,23%), in cui l’aliquota arriva a farci spendere 615 euro; se abitassimo in Calabria, Campania o Molise (addizionale 2,03) a parità di reddito spenderemmo invece 1015 euro. Da notare che quando fu istituita nel 1998 l’addizionale Irpef era sensibilmente più bassa: lo 0,50% (in pratica tre o quattro volte meno di adesso).Nel 2007 la prima impennata, poi nel 2011 l’ulteriore salto.
LE SPESE DELLE REGIONI ORDINARIE 2002/2010* (MILIARDI DI EURO)
Image
Fonte: Corte dei conti.
*Impegni di spesa.
LE SPESE DELLE REGIONI SPECIALI 2010 (IN MILIARDI DI EURO)
Regione 2010
FRIULI V.G. 6,1
SARDEGNA 7
SICILIA 19,2
VALLE AOSTA 1,9
P.A. BOLZANO 4,7
P.A. TRENTO 4,4
Totale 43,9
Fonte: Corte dei conti.
*Impegni di spesa.
ENTRATE REGIONI ORDINARIE* (MILIARDI DI EURO)
Anno Entrate
2002 104,4
2010 122,7
Differenza +18,3 (17,5%)
Fonte: Corte dei conti.
* Entrate per accertamenti.
LE ADDIZIONALI IRPEF E BENZINA 2011
Image
Fonte: Unione petrolifera
* dati aggiornati al 1 aprile 2012. L’Iva è calcolata sull’addizionale

2.
I soldi buttati

I consulenti per studiare i treni e le trote

STARE INCOLLATI ALLA TV È FATICOSO, specialmente se per una settimana di fila e in particolar modo se si tratta di tv locali, che non sono la Cnn e magari non brillano per originalità dei programmi. Si spiega forse così la gran cifra (30mila euro) investita dal Piemonte nel 2010 per finanziare un progetto dell’Università di Torino teso a studiare nuovi format più adatti ai minori, per realizzare il quale c’era appunto bisogno che decine di persone per una settimana intera guardassero la tv, traessero le loro conclusioni e poi si inventassero chissà che cosa. Trentamila euro per una settimana sono quattromila euro al giorno, quanto guadagna un impiegato in un anno.
Benvenuti nell’universo delle consulenze regionali, quella miriade di incarichi esterni che le amministrazioni concedono per i motivi più disparati, e dietro ai quali si nasconde di tutto. Davvero di tutto: dal vero e proprio spreco perché di quella consulenza non ci sarebbe stato bisogno o perché in regione c’era già chi svolge quella mansione e avrebbe potuto (o dovuto) portare a termine il compito gratis, fino al regalo che si fa all’amico o all’amico dell’amico. Al momento opportuno, l’amico saprà farsi riconoscente.
Impossibile contarle, impossibile controllarle, impossibile verificarne congruità della spesa e necessità. Ci sono le consulenze che dà la giunta, quelle dei singoli assessori, quelle del consiglio. Quelle che dà la maggioranza e quelle della minoranza (in consiglio avvengono opportune spartizioni), e che mettono tutti d’accordo. In teoria la legge (20/94) prevede che le pubbliche amministrazioni possano ricorrere a consulenze esterne solo in casi eccezionali, ma come accade in Italia di evento in eccezionale in evento eccezionale si è arrivati allo spreco attuale.
A contare le consulenze ha provato prima la Corte dei conti poi il ministero della Funzione pubblica. I totali ovviamente non collimano (il sistema è congegnato proprio perché sia di fatto impenetrabile) ma l’idea della grande abbuffata viene fuori lo stesso. Secondo la Corte dei conti nell’insieme le consulenze affidate nel 2010 dalla pubblica amministrazione sono state 276mila, costate due miliardi di euro. Il ministero della Funzione pubblica riduce un po’ il salasso, che comunque tocca la cifra monstre di 1,675 miliardi. Dietro alla parola consulenza può esserci un artista che presta la sua immagine per una campagna promozionale, un metereologo che dà un parere sul tempo che farà, un avvocato che difende la regione in un contenzioso particolarmente difficile. Il problema delle consulenze è che le regioni non sfruttano la già ricca dotazione di personale che si ritrovano e che quindi dietro la parvenza di un approfondimento e di una specializzazione si buttano via dei soldi. Anche perché i controlli sono davvero difficili. Oltre all’autonomia che le regioni rivendicano in certe materie (e le regioni a statuto speciale in particolare), come può la Corte dei conti o il ministero della Funzione pubblica andare a verificare se una singola consulenza è utile o meno?Se il prezzo pagato è giusto o esagerato? Nella rendicontazione offerta, le regioni fanno infatti quasi sempre le furbe. Prendiamo la Sicilia (ma non è la sola) che fornisce elenchi di questo tipo: «regione Sicilia, dipartimento della funzione pubblica e del personale: 34.480 euro a Moretta Antonio per consulenza tecnica di cui all’articolo 50 della l.r. 41/95; regione Sicilia». E via così per una serie infinita di nomi, importi e rimandi a leggi passate. O la Calabria: «regione Calabria, consiglio regionale: 20.380 euro a Licastro Rocco per consulenza legale di cui all’art. 11 della l.r. 8/1996».
C’è qualcuno, forse all’interno della stessa amministrazione, in grado di comprendere di che cosa stiamo parlando? C’è un ente «superiore» capace di andare a vedere tutti i 276mila incarichi, verificare di che cosa si tratta (non essendo sempre esplicitato l’argomento), poi di capire, incarico per incarico, se all’interno dell’amministrazione esiste o esisteva una professionalità idonea allo stesso scopo, e per ultimo (ma non meno importante) «pesare» se il prezzo pagato è congruo? La risposta è no. Non c’è Corte dei conti, non c’è ministero della Funzione pubblica, non c’è niente. Il gatto dorme e i topi ballano.
«Il Fatto Quotidiano» nell’aprile 2012 è riuscito a mettere le mani sulla lista degli incarichi esterni 2010 reso disponibile dal ministero della Funzione pubblica, e l’ha spiattellato in rete. L’effetto è stato divertente. Il Piemonte oltre a pagare per guadare la tv, ha elargito una serie di assegni da 10.250 euro l’uno alle associazioni di consumatori per monitorare la «qualità percepita dagli utenti» su alcune tratte ferroviarie regionali. Beneficiarie l’Associazione consumatori e utenti, la Adiconsum, l’Associazione consumatori Piemonte, l’Adoc, l’Adusbef, il Codacons, il Movimento consumatori, la Federconsumatori. Per carità di patria glissiamo sull’opportunità per le associazioni dei consumatori di prendere soldi da un ente pubblico che con le loro inchieste dovrebbero «controllare»(chissà con quale piglio svolgeranno indagini contro gli sprechi della regione Piemonte). Ma sulla necessità di una spesa che alla fine balla intorno agli 85mila euro, solo per sapere se la gente è soddisfatta dei treni regionali, beh, forse è il caso che qualcuno la domanda se la ponga. E se non se la pone (e non è in grado di intervenire) significa che qualcosa nel sistema non funziona.
Curiosa anche la Valle d’Aosta, che pur vantando il record nazionale de...

Indice dei contenuti

  1. La Casta Invisibile delle regioni
  2. Colophon
  3. Dedica
  4. I dentisti, i custodi e gli stalloni
  5. PARTE PRIMA Le assemblee regionali
  6. PARTE SECONDA I conti e i debiti dei governi regionali
  7. PARTE TERZA L’impossibile quadro d’insieme
  8. Ringraziamenti
  9. Indice