La giungla d’asfalto. L’influenza della mitologia populista anti-urbana nel crime film hollywoodiano (1905-1929)
di Carlo Ugolotti*
L’articolo vuole dimostrare come il cinema americano di genere gangster in un periodo compreso tra il 1905 e il 1929 sia stato influenzato dai topoi anti-urbani del movimento populista nella rappresentazione della “modernità urbana”. Mettendo in dialogo analisi della rappresentazione, fonti di archivio e storia culturale si vedrà come la mitologia ereditata dal populismo agrario, nonostante la disfatta politica e lo smembramento del People’s Party, sia sopravvissuta nell’immaginario hollywoodiano fino all’epoca del New Deal.
This article aims to prove how American gangster-movies, between 1905 and 1929, were influenced by antiurban topoi, inherited by the populist movement, when representing the “urban modernity”. By comparing analysis of the representation, production notes and cultural history, this essay will present how the agrarian mythology survived to the political defeat and to the collapse of the People’s Party and shaped the Hollywood imaginary until the New Deal Era.
American cinema, gangster, metropolis, populist, agrarian
Questo articolo si propone di indagare, attraverso un percorso interdisciplinare, come certi topoi della mitologia populista anti-urbana siano stati introiettati dall’immaginario statunitense e abbiano informato il crime movie in quanto genere di commento “politico”.
Il populismo agrario quale si configurò negli USA alla fine dell’Ottocento vide una netta linea di demarcazione tra coloro che abitavano gli ambienti urbani e coloro che popolavano il mondo rurale, tra coloro che si arricchivano a spese della comunità e la classe dei produttori: l’opposizione tra queste due fazioni diventa una lente attraverso cui il populismo rilegge l’intera storia americana. L’eroe populista di matrice jeffersoniana, l’agricoltore indipendente1, rimase in seguito profondamente impresso nella mentalità americana tanto da risorgere ciclicamente nell’immaginario politico e culturale degli Stati Uniti diventando, grazie al potere di propagazione dei media di massa, l’incarnazione stessa dell’America. Se la virtù risiedeva nei grandi spazi aperti, la corruzione aveva come luogo d’origine gli asfittici spazi dell’agglomerato urbano in cui il libero individuo diventava membro di una massa indistinta: la metropoli era quindi contraddistinta proprio da quelle caratteristiche che rendevano lo “stile di vita europeo”, agli occhi del populismo, un modello da cui allontanarsi.
Particolarmente rilevante per la concettualizzazione della metropoli – come fu riutilizzata dal populismo ma parzialmente anche dal New Deal – fu il pensiero di Josiah Strong, leader del movimento del Vangelo sociale, secondo il quale la decadenza degli USA sarebbe iniziata quando l’esaurirsi di terre a buon mercato, garanzia del benessere diffuso in tutta la nazione, avrebbe decretato un approssimarsi al paradigma europeo, caratterizzato da privilegi di casta e miseria. Il pastore americano descriveva i grandi agglomerati urbani come dominati dalla disuguaglianza economica, dalla blasfemia, da ladri, criminali e «gente pronta a servirsi di ogni pretesto per scatenare tumulti a fini di distruzione e saccheggio, […] stranieri e salariati specialmente sensibili agli argomenti socialisti»2. In un saggio del 1888, Strong fotografava così le città americane: popolate da immigrati dagli idiomi incomprensibili, culle del vizio, del crimine e del cesarismo papista, nei cui saloons venivano propagandati ideali radicali che mettevano a repentaglio la democrazia3. Per Strong le metropoli erano l’origine di vari mali sociali4 esasperati dalla modernità industriale. Il predicatore profetizzava che «the boss will certainly rule the city when the city rules the nation»5, a meno che una politica di riforme non purificasse gli ambienti urbani dai suoi problemi strutturali. Per questa apertura, Strong si posizionava come punto di trasmissione tra il rifiuto nei confronti del fenomeno di urbanizzazione del mondo agrario-populista e la fiducia riformista nell’azione morale6. La metropoli, intesa come incubatrice della degenerazione tirannica, e la naturale disposizione alla sottomissione di certe “razze”, cavallo di battaglia della retorica nativista ottocentesca, trovarono in Strong uno dei predicatori più accesi e violenti7. Il suo ritratto della città americana verrà ereditato dalla rappresentazione delle bolge infernali urbane dei cortometraggi riformisti e dei gangster movies ambientati negli slums.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, gli USA entrarono nella piena modernità attraverso un’industrializzazione priva di regolamentazione, l’immigrazione di massa e l’inurbamento8. Proprio questi fenomeni diedero il via a una serie di reazioni antimoderne, già anticipate da variegate forme di pensiero e azione politica (le granges e le alleanze agrarie), che sarebbero confluite nel People’s Party. Avendo usato l’aggettivo antimoderno in riferimento al populismo americano, è qui necessario menzionare lo studio di Charles Postel, The Populist Vision: con il suo volume, lo studioso americano vuole ribaltare la visione tradizionale che da John D. Hicks in poi ha dominato l’interpretazione storiografica del movimento populista. Postel nega che il populismo fosse foriero di un pensiero tradizionalista e completamente antimoderno e sostiene che il movimento agrario abbracciasse il concetto di «progresso»9. Va tuttavia segnalato che, secondo Postel, il populismo agrario era in cerca di «un’altra modernità», di un «modello di capitalismo alternativo»10 rispetto a quella che stava prendendo piede negli USA della fine dell’Ottocento. Una modernità che tuttavia non includeva i tre fenomeni con cui abbiamo definito per convenzione la modernità statunitense: immigrazione, urbanizzazione e industrializzazione senza alcuna regolamentazione dominata dai grandi monopoli. Postel supporta la sua interpretazione citando la simpatia dei populisti per le innovazioni, il ruolo delle donne nell’attività politica, una promozione attiva di nuovi metodi educativi e il sostegno a nuove forme di associazionismo politico per i lavoratori: si tratta di aspetti di una società in trasformazione differenti da quelli qui presi in considerazione. Il rifiuto della modernità dei movimenti agrari e del People’s Party va qui inteso come critica della modernità industriale quale stava prendendo piede al termine del XIX Secolo, non della “modernità altra”, legata alla progettualità politica, che questi movimenti volevano realizzare. Giustamente lo studioso rileva come la stessa mitologia del People’s Party fosse variegata al suo interno e sottolinea la difficoltà di una sua reductio ad unum11: in questa sede si insisterà sulle componenti relative all’anti-industrializzazione, al mito agrario e anti-urbano (più legato geograficamente agli Stati del Sud e del Midwest) perché saranno proprio esse a venire riprese nel cinema crime.
Il People’s Party incamerò parzialmente dal nativismo ottocentesco l’immaginario legato al concetto della golden age o di “purezza” (anche razziale) sempre soggetta al rischio di corruzione, e una serie di topoi usati per descrivere “le orde di immigrati” che minacciavano i cittadini ...