1.
La proposta pratica
La mia proposta concreta per il futuro prossimo, collegata all’esame di uno schema da porre in pratica in un futuro più remoto, è che i Paesi del Mercato comune europeo, preferibilmente con i Paesi neutrali dell’Europa (e più tardi, se possibile, con i Paesi del Nord America) si vincolino reciprocamente mediante un trattato formale a non porre ostacoli nei loro territori al libero commercio delle rispettive valute (incluse le monete d’oro) e al libero esercizio dell’attività bancaria da parte di qualsiasi istituzione legalmente costituita in qualunque parte del loro territorio. Ciò significherebbe in primo luogo l’abolizione di qualsiasi tipo di controllo dei cambi o di regolazione dei movimenti monetari fra detti Paesi e la piena libertà di usare qualunque valuta per la stipula dei contratti e la contabilità. Altra conseguenza sarebbe la possibilità, per ogni banca ubicata in tali Paesi, di aprire filiali in ogni altra nazione alle stesse condizioni delle banche già operanti.
Il libero commercio della moneta
Lo scopo di questo schema è quello di imporre agli esistenti istituti monetari e finanziari una disciplina che renda impossibile a ciascuno di essi, non importa per quale periodo di tempo, l’emissione di un tipo di moneta sostanzialmente meno affidabile e meno utile della moneta degli altri. Non appena il pubblico si sia familiarizzato con le nuove possibilità, ogni tentativo di offrire una moneta meno buona condurrebbe immediatamente alla rapida sostituzione della moneta cattiva con le altre. E i singoli Paesi, avendo perduto i vari strumenti attraverso cui possono oggi temporaneamente «proteggere» la loro valuta e occultare gli effetti delle loro azioni, sarebbero costretti a mantenere tollerabilmente stabile il valore delle loro monete.
Una proposta più praticabile dell’utopica moneta europea
Ciò mi sembra nel contempo preferibile e più praticabile dell’utopico piano di introdurre una nuova valuta europea; questa avrebbe alla fine unicamente l’effetto di dare ulteriore forza alla fonte di tutti i mali monetari, vale a dire il monopolio dell’emissione e del controllo della moneta. Mi sembra inoltre che, se i governi non sono preparati ad adottare la più limitata proposta qui avanzata, essi sono ancora meno desiderosi di accettare una comune valuta europea. L’idea di privare il governo della sua vecchia prerogativa di monopolizzare la moneta è per molte persone troppo insolita e persino allarmante, sicché non ha alcuna possibilità di essere adottata nel prossimo futuro. Tuttavia, se almeno all’inizio fosse consentito alle monete nazionali di competere per conquistare il favore del pubblico, la gente potrebbe imparare a valutare i vantaggi.
Sebbene simpatizzi fortemente con il desiderio di completare l’unificazione dell’Europa occidentale, liberalizzando del tutto la circolazione della moneta al suo interno, nutro seri dubbi sulla desiderabilità di fare ciò attraverso la creazione di una nuova valuta europea, gestita da una sorta di autorità sovranazionale. Anche a prescindere dall’estrema improbabilità che i Paesi membri possano essere d’accordo sulla politica che la comune autorità monetaria debba perseguire (e la pratica inevitabilità che alcuni Paesi si ritrovino con una moneta peggiore di quella che hanno oggi), mi sembra molto inverosimile che, anche nelle più favorevoli circostanze, la nuova moneta possa essere amministrata meglio delle attuali valute nazionali. Inoltre, se non è gestita bene, una singola valuta internazionale è, sotto molti aspetti, peggiore e non migliore delle singole monete. Un Paese con un pubblico finanziariamente preparato non avrà la possibilità di sottrarsi alle conseguenze dei rozzi pregiudizi che stanno alla base delle decisioni altrui. Il vantaggio di un’autorità internazionale dovrebbe essere quello di proteggere uno Stato membro dalle dannose misure degli altri, non di costringerlo ad accettare le follie altrui.
Il libero commercio bancario
Se si vuole conseguire lo scopo prefissato, l’aggiunta del libero commercio della moneta alle attività bancarie è assolutamente parte essenziale del progetto. In primo luogo, i depositi bancari a vista equivalgono a una specie di moneta emessa privatamente; e oggi sono ovviamente, in quasi tutti i Paesi, la parte di gran lunga più ampia dell’ammontare totale dei mezzi di scambio generalmente accettati. In secondo luogo, l’espansione e la contrazione delle diverse sovrastrutture nazionali del credito bancario sono ciò che al momento principalmente «giustifica» la gestione nazionale della base monetaria.
Sugli effetti dell’adozione della mia proposta, tutto quello che posso ora aggiungere è che essa mira chiaramente a impedire alle autorità monetarie e finanziarie nazionali di adottare misure che sono politicamente impossibili da evitare fintanto che dette autorità hanno il potere di porle in essere. Senza eccezione, tali misure sono dannose agli interessi di lungo periodo del Paese che le adotta; sono però anche politicamente inevitabili, perché costituiscono una fuga temporanea da gravi difficoltà. Esse includono i provvedimenti tramite cui i governi possono più facilmente e prontamente rimuovere le cause di scontento di particolari gruppi o settori, ma che nel lungo periodo conducono alla disorganizzazione e persino alla distruzione dell’ordine di mercato.
Impedire al governo di nascondere il deprezzamento della moneta
In altre parole, il maggior vantaggio dello schema qui proposto è che impedirebbe ai governi di «proteggere» le monete di loro emissione dalle dannose conseguenze dei loro stessi provvedimenti; sarebbe perciò impossibile ricorrere ulteriormente a tali perniciosi strumenti. Quando il loro utilizzo interno diviene sfavorevole, non si può più nascondere il deprezzamento della moneta emessa, evitare la fuoriuscita di moneta, capitali e altre risorse o controllare i prezzi: tutte misure che tendono ovviamente a distruggere il Mercato comune. Lo schema sembra in realtà soddisfare, meglio di una valuta imposta, tutte le necessità di un mercato condiviso, senza il bisogno di istituire un organo internazionale o conferire nuovi poteri a un’autorità sovranazionale.
Nel caso in cui le autorità nazionali non dovessero agire correttamente, lo schema proposto condurrebbe senza dubbio alla sostituzione della circolazione nazionale. Perfino in tale circostanza, dette autorità potrebbero ancora evitare la completa sparizione della valuta nazionale cambiando rapidamente la propria condotta. È possibile che in alcuni Paesi molto piccoli, con un commercio internazionale e un turismo ben sviluppati, la valuta di Paesi più grandi possa prevalere; tuttavia, ponendo in essere una politica sensata, non c’è motivo per ritenere che le esistenti valute non possano continuare a essere usate per un lungo periodo di tempo. (È evidentemente importante che le parti non si accordino tacitamente per non emettere una moneta tanto buona da indurre i cittadini degli altri Paesi a preferirla! Com’è ovvio, la presunzione di colpa cadrebbe sempre sul governo la cui moneta viene scartata).
Non penso che il mio schema impedirebbe ai governi di fare quel che essi dovrebbero compiere nell’interesse di un’economia ben funzionante e che, nel lungo periodo, avvantaggerebbe la maggior parte dei cittadini. Ma ciò solleva questioni complesse, che saranno meglio discusse allorché saremo davanti al pieno sviluppo del progetto da me proposto.
2.
La generalizzazione del principio su cui si basa la mia proposta
Se occorre prendere seriamente in considerazione l’utilizzo di diverse valute in concorrenza per un immediato esperimento in un’area limitata, è ovviamente desiderabile analizzare le conseguenze di una generale applicazione del principio su cui si basa la mia proposta. Nel caso in cui si abolisse l’uso esclusivo di una singola moneta emessa dal governo nell’ambito di ciascun territorio nazionale, e si consentisse il ricorso su un piede di parità a valute emesse in altri Paesi, bisognerebbe subito stabilire se non sia parimenti desiderabile abolire del tutto il monopolio governativo dell’emissione di moneta e permettere anche alle imprese private di offrire al pubblico altri mezzi di scambio che lo stesso pubblico potrebbe preferire.
Le questioni sollevate da tale riforma sono al momento molto più teoriche che pratiche, perché l’obiettivo da raggiungere è chiaramente troppo insolito e strano per poter essere preso subito in considerazione. Evidentemente, i problemi che esso fa nascere sono ancora poco chiari agli stessi esperti, sicché non è possibile fare delle affidabili previsioni sulle precise conseguenze di tale progetto. È tuttavia chiaramente possibile che l’indiscussa e universalmente accettata prerogativa statale di emettere moneta non sia oggi necessaria e che non sia persino vantaggiosa. Si può in effetti mostrare che essa è dannosa e che la sua abolizione costituisce un grande guadagno, in grado di aprire la strada a sviluppi molto positivi. Fino a quando il pubblico sarà mentalmente impreparato e accetterà acriticamente come necessaria la prerogativa statale, la realizzazione del progetto sarà totalmente impraticabile. Ma ciò non dovrebbe essere un ostacolo all’esplorazione intellettuale degli affascinanti problemi teorici che lo schema pone.
Gli economisti non hanno analizzato la concorrenza fra valute
Fino a poco tempo fa, la concorrenza fra valute non è stata mai seriamente analizzata1. Il che è un fatto incredibile. Nella letteratura disponibile, non c’è risposta alla domanda relativa al perché il monopolio governativo in materia di emissione della moneta sia universalmente visto come indispensabile, né si chiarisce se tale convincimento sia derivato dal postulato, accettato senza spiegazioni, secondo cui deve esserci, all’interno di un dato territorio, una singola moneta in circolazione; il fatto potrebbe essere stato visto come vantaggioso fintanto che l’oro e l’argento sono stati seriamente considerati i soli possibili tipi di moneta. Non è neanche possibile trovare una risposta alla questione relativa a ciò che accadrebbe se il monopolio fosse abolito e l’offerta di moneta venisse aperta alla competizione fra imprese private fornitrici di differenti valute. La maggior parte delle persone sembra credere che l’eventuale proposta di consentire alle imprese private di emettere moneta significhi che a esse dovrebbe essere permesso di porre in circolazione la stessa moneta (il che, se la moneta ha un valore nominale superiore a quello intrinseco, equivarrebbe semplicemente a una contraffazione), piuttosto che differenti tipi di moneta, chiaramente distinguibili in virtù di denominazioni differenziate, fra cui il pubblico possa liberamente scegliere.
Vantaggi iniziali del monopolio governativo della moneta
Quando l’economia monetaria si stava lentamente espandendo nelle regioni più remote, e uno dei principali problemi consisteva nell’insegnare a un vasto pubblico l’arte del calcolo monetario (e ciò non è avvenuto molto tempo fa), un singolo e facilmente riconoscibile tipo di moneta può forse essere stato di considerevole aiuto. E si può immaginare che l’uso esclusivo di tale uniforme tipo di moneta abbia fortemente favorito il confronto fra i prezzi e quindi l’accrescimento della concorrenza e del mercato. Inoltre, quando l’autenticità della moneta metallica poteva essere accertata solamente attraverso un difficile processo di assaggio, per il quale ordinariamente le persone non avevano competenza e strumenti, è stato utile garantire la finezza delle monete mediante l’effige di una qualche autorità da tutti riconosciuta, la quale, al di fuori dei grandi centri commerciali, avrebbe potuto essere solamente quella governativa. Ma questi vantaggi iniziali, che possono essere stati utilizzati come «giustificazione» perché i governi si appropriassero dell’esclusivo diritto di emettere moneta metallica, oggi non compensano certamente gli svantaggi di tale sistema. Ha i difetti di tutti i monopoli: occorre usare il loro prodotto anche se è insoddisfacente e, soprattutto, impedisce la scoperta di modi migliori per soddisfare i bisogni per i quali il monopolista non ha incentivo.
Se il pubblico comprendesse quale prezzo paga, nella periodica inflazione e instabilità, per avere la possibilità di utilizzare nelle transazioni ordinarie un solo tipo di moneta, e potesse rendersi conto dei vantaggi derivanti dall’impiego di più monete, probabilmente troverebbe ciò davvero eccessivo. Infatti, tale vantaggio è molto meno importante dell’opportunità di usare una moneta affidabile, che non sconvolga periodicamente il regolare flusso dell’economia: un’opportunità di cui il pubblico è stato spogliato dal monopolio governativo. Ma alla gente non è stata mai data la possibilità di scoprire tale vantaggio. I governi hanno in tutti i tempi avuto un forte interesse a convincere il pubblico che il diritto di emettere moneta appartiene esclusivamente a essi. Fintanto che per ogni fine pratico ha significato l’emissione di monete d’oro, d’argento e di rame, ciò non ha prodotto tutte le conseguenze che produce ai nostri giorni, tempo in cui sperimentiamo ogni genere di possibili tipi di moneta, soprattutto cartacea. Di tali tipi di moneta il governo è ancora meno competente, ma è più pronto ad abusarne di quanto non abbia fatto con la moneta metallica.
3.
L’origine della prerogativa governativa di emettere moneta
Per più di duemila anni, la prerogativa governativa o il diritto esclusivo di emettere moneta ha coinciso in pratica con il semplice monopolio della coniazione di monete d’oro, d’argento o di rame. È stato durante tale periodo che detta prerogativa è giunta a essere accettata senza riserve, come un attributo essenziale della sovranità, rivestita con tutto il mistero che i poteri sacri di un principe solitamente ispirano. Questa concezione risale forse a un’epoca anteriore a quella in cui Creso, re di Lidia, ha coniato le prime monete, nel VI secolo prima di Cristo, cioè al tempo in cui si era soliti apporre semplicemente un marchio sulle barre di metallo per certificarne la finezza.
In ogni caso, la prerogativa della coniazione da parte di chi governa si è stabilmente affermata sotto gli imperatori romani1. Quando Jean Bodin, all’inizio dell’era moderna, ha sviluppato il concetto di sovranità, ha giudicato il diritto di coniazione come la più importante ed essenziale prerogativa di essa2. Come l’etimo latino indica, le regalie, di cui la coniazione, lo sfruttamento minerario e i dazi doganali rappresentavano la parte più rilevante, durante il Medioevo sono state le principali fonti di introito dei prìncipi e sono state viste solamente come tali. È evidente che, non appena la coniazione si è diffusa, i governi hanno compreso, dappertutto e subito, che l’esclusivo diritto di conio è un importante strumento di potere e un’invitante fonte di guadagno. Sin dall’inizio, la prerogativa, non pretesa e non concessa sulla base del fatto che essa fosse finalizzata al perseguimento del bene comune, è stata semplicemente un elemento essenziale del potere governativo3. Al pari della bandiera, le monete sono in effetti ampiamente servite come simbolo del potere, come un mezzo attraverso cui il governante affermava la propria sovranità e comunicava al proprio popolo che il capo era colui la cui immagine veniva portata dalle monete fin nelle più remote parti del regno.
La certificazione governativa del peso e della finezza del metallo
Ovviamente, il compito assunto dal governo non è stato quello di fare le monete, ma di certificare il peso e la finezza dei materiali che universalmente venivano usati come moneta e che, dopo le prime esperienze, sono stati esclusivamente l’oro, l’argento e il rame4. Si è pensato che il compito non fosse diverso da quello di stabilire e certificare pesi e misure uniformi.
I pezzi di metallo venivano considerati propriamente come moneta solo nel caso in cui portavano la marchiatura dell’appropriata autorità; e si riteneva che il compito di tale autorità fosse quello di assicurare che le monete avessero il peso e la finezza corrispondenti al proprio valore.
Tuttavia, d...