Parte prima
La critica letteraria, una rischiosa arte «di seconda mano»
È il più poliedrico e avvincente scrittore italiano dei nostri tempi. La sua penna non ha confini: abita ogni recesso della letteratura mondiale. Di cui coglie sui quotidiani da quasi mezzo secolo i misteri inesauribili, la natura fuggevole e cangiante, sbrogliando e ricucendo infinite tele romanzesche. Scandaglia vite e scompone testi, di ogni epoca e poetica, inabissandosi nello scheletro di genialità letterarie, per poi riemergere con incastri narrativi prima di lui inimmaginabili: autori e personaggi, romanzi e testi poetici vengono spogliati, sviscerati e ricostruiti (o meglio, riscritti) con un ineguagliabile impulso narrativo che invade con prepotenza lo scopo critico dei suoi articoli. Impossibile, dunque, distinguere il Citati critico dal Citati narratore: nelle sue pagine autore e opera divengono protagonista e trama di un inedito e appassionante romanzo critico.
Critico e narratore, narratore e critico: i piani si suggestionano l’un l’altro, si accostano e si confondono, concretandosi in virtuose e mai uggiose prose giornalistiche, dallo stile limpido e leggero anche quando, con incalzante ritmo poetico, l’intensità delle sue narrazioni tocca l’acme. Uno stile mai impenetrabile che sottrae peso ai rigidi accademismi e aderisce all’immediatezza della divulgazione giornalistico-culturale. Difatti, fare critica sulle pagine di un quotidiano è cosa ben diversa dallo scrivere saggi. Oltre a un linguaggio essenziale, che potrebbe abitare qualunque contesto della quotidianità, la carta stampata implica un differente approccio intellettuale: bisogna, spiega Citati,
Tuttavia, non si piega mai alle canoniche esigenze del giornalismo e porta avanti la sua ardua “indagine” in lunghi e corposi articoli, mantenendo i tratti originali della propria espressività. Fatica fisica e mentale, ma anche gioco: «credo che sia il lavoro più divertente del mondo, che consiglio a tutti gli esseri umani»2. Un lavoro per certi versi rischioso, ma un rischio che piace ai suoi numerosi lettori:
Un critico letterario è come se, fugacemente, improvvisamente e per alcuni tratti, si identificasse con l’autore e con i personaggi su cui s’intrattiene («egli è qualcuno che rinuncia a sé stesso e si trasforma in un altro»4); con i di volta in volta differenti elementi di un romanzo, un poema, un racconto, una poesia. Tutto per tentare di sradicare dalla materia primigenia la loro essenza, ciò che li rende interessanti e, in fondo, li fa esistere. Riacquisito il piglio critico, prosegue poi, pazientemente, il suo cammino, per levigare e conferire una nuova e personalissima forma alla materia originaria, a quel fitto e denso crocicchio di parole, rischiarate dalla luce delle innumerevoli letture che si porta dentro come un magazzino da cui attingere. Perché prima di essere uno scrittore, il critico è, imprescindibilmente, un lettore forte: «tutti i libri che ha letto o immaginato di leggere entrano in rapporto, formando una fittissima trama di riflessi reciproci»5.
Nasce così un ibrido: il testo con il suo autore, l’interpretazione del critico con la sua biblioteca mentale. Nel caso di Citati, l’ibrido è di un’eccezionalità rara nel panorama critico-letterario italiano. Oltre a suscitare nel lettore del quotidiano un notevole interesse per il testo, l’autore e la sua produzione letteraria, Citati è come se riscrivesse egli stesso l’opera. Non inconsapevolmente, non senza originalità. Si potrebbero, difatti, leggere in questa singolare chiave autobiografica alcune sue riflessioni a proposito dei classici e delle aspirazioni del critico:
Per comprendere questa sua attività maieutica occorre considerare il lavoro che conduce chirurgicamente sul testo ma anche, non con minore accuratezza, sull’extra testo:
Il risultato sarà uno scritto «vero come un’opera scientifica e bugiardo come un figlio della variopinta immaginazione: illeggibile come un atto accademico e insinuante come un romanzo d’avventure; folto e gremito come l’elenco del telefono, e così arioso da permettere ad ognuno di riposarsi»8.
Tuttavia, nonostante l’acutezza delle sue interpretazioni, ovvero la corposità del suo esercizio ermeneutico, reso tale dagli innumerevoli sentieri tracciati a partire dal testo (la vita dell’autore, la sua formazione culturale, lo sguardo del lettore nei secoli, l’analisi di immagini, azioni e pensieri che abitano un’opera); nonostante ciò, appunto, il critico non è altro che una figura invisibile, un’entità inesistente e arbitraria. È lo stesso Citati a non avere un’idea considerevole della critica letteraria, definendola, perentoriamente, «un’arte di seconda mano, che deve tutto al tesoro irraggiungibile della letteratura»9:
Traendo nutrimento dagli autori di cui scrive, crea ragnatele di parole che si diramano e riconducono a un qualcosa di preesistente, quasi titanico, con cui vive in un logorante rapporto di sudditanza: il testo letterario. Un sistema che, seppur aperto a innumerevoli interpretazioni, mantiene un’autonomia da cui il critico viene svuotato nello stesso momento in cui la sua funzione ermeneutica si compie:
In questo senso potremmo dire che il critico letterario è un individuo estremamente altruista, che con liturgica abnegazione dedica i propri sforzi intellettivi a tutto ciò che non gli appartiene. E in quanto tale accetta di contenere in sé un caleidoscopio di immagini, una miriade di vite possibili, illimitate opportunità realizzabili: