Come un incubo e come un sogno
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Memorialia e Moralia di mezzo secolo di storia

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Memorialia e Moralia di mezzo secolo di storia

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Al centro del dibattito di questi giorni per alcune posizioni critiche sulle modalità con le quali l'Italia ha aderito all'Euro-zona, questo lavoro è una memorialia di mezzo secolo di storia di un economista libero, come l'autore ama definirsi, ma anche la moralia che ne ha tratto. Le vicende interne e internazionali intercorse tra la prima crisi della bilancia dei pagamenti italiana del 1963 e la Grande recessione iniziata nel 2008 sono state definite "un incubo", termine mutuato dall'Ulisse di Joyce. Esse si sono incrociate con le numerose vicende personali dell'autore che, essendo inattese e ricche di conoscenza, lo inducono a definirle per lui "un sogno". Lo scopo del lavoro è di trarre da questo incontro di fatti e di esperienze insegnamenti utili per affrontare problemi di natura economica di interesse generale, ma anche di presentare la sua produzione scientifica e riflettere sul significato avuto dalle sue scelte di vita, dalla Banca d'Italia, alla cattedra universitaria, alla presidenza di banche e imprese, dalla direzione generale di importanti ministeri, al Governo del Paese da Ministro dell'Industria. Dalla dovizia di studi ed esperienze trae due conclusioni sul perché l'Italia si dibatta in una grave crisi di crescenza e di identità: l'eccessiva ricerca della rendita da parte dei cittadini, che la politica asseconda, e la sistematica violazione della "regola della legge" a causa di una cultura individuale e sociale difettosa. La terapia che suggerisce travalica i temi dell'economia e approda ai lidi della scuola e dell'educazione, ritenute l'unico veicolo per consentire di raggiungere un'Italia e un'Europa migliori.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788849855203
Argomento
Economia

Parte II
Biografia ragionata delle mie esperienze professionali e di vita

1.

La mia educazione e i miei maestri

Non si può mettere a fuoco i valori a cui una persona si ispira, le cose che fa e gli scritti che cura se non si conoscono le persone che hanno avuto un ruolo importante nella sua formazione. Perciò devo percorrere un itinerario strettamente biografico per consentire all’eventuale lettore di capire l’inizio e il procedere del mio viaggio della conoscenza, nei suoi aspetti più strettamente professionali.
Mio padre, Francesco, era ufficiale di marina in epoca monarchico-fascista, alla cui filosofia di vita restò legato, con mio disappunto, ma anche sommo rispetto per la sua onestà intellettuale. Io sono figlio dell’epoca liberaldemocratica e gli scontri con lui furono costanti, non certo per mancare di rispetto alla sua vita vissuta nel rigore della coerenza, quanto per la classica lotta dei figli contro i padri alla ricerca di emanciparsi dalla loro sovranità.
Subito dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale la mia famiglia ha lasciato Cagliari per cautela contro gli eventi bellici, rivelatasi fondata, poiché poco dopo la nostra casa fu distrutta da un bombardamento. Abbiamo peregrinato per la Sardegna, prima a Sassari poi a Osilo, un piccolo paese dell’entroterra, mentre mio padre si trovava alla base navale di La Maddalena, dove lo abbiamo raggiunto verso la fine della guerra. Quelli erano i primi anni della mia vita «cosciente», nel periodo in cui, a detta dei pedagoghi, si forma il carattere. Il mare e la durezza della vita in famiglia, simile a quella di una caserma, mi sono restati nel sangue. Sono stato forgiato come uomo «di dovere», non «di potere». Quando da allievo ufficiale ho vissuto in una vera caserma, a Lecce, i miei colleghi soffrivano per il rigore della vita militare e alcuni perfino piangevano di notte. A me la caserma è sembrata un luogo di ineffabili rilassatezze rispetto al rigore imposto da mio padre in famiglia; invero mia madre, Letizia Romagnino, compensava la severità paterna, senza però mostrare accondiscendenza nell’educazione, come le aveva insegnato sua madre Teresa Melis.
Mio nonno paterno, Raffaele, era «maestro d’ascia», costruiva barche in legno; era un artigiano veramente bravo come non ce ne sono più nell’epoca delle barche in plastica; il suo cantiere navale, situato sotto il ponte della Scaffa in località Giorgino di Cagliari, esiste ancora ed è gestito dai miei cugini1. Ammiravo le sue mani callose, non certo adatte alle carezze, ma nella sua ruvidezza marinara era capace di tenerezze nei confronti dei nipoti. Mio nonno materno, Antonio Romagnino, con i suoi price-nez aveva un’aria severa ed era di poche parole, ma di idee molto chiare; era tipografo ed ebbe la sua officina incendiata per aver stampato volantini antifascisti. Quando nacque mia madre, mia nonna, cattolica fervente, gli chiese di chiamarla Maria; egli si recò all’anagrafe e la registrò con il solo nome Letizia, che nonna apprese solo quando la figlia iniziò a frequentare la scuola; ma tutti continuarono a chiamarla Maria. Pur nelle profonde diversità culturali, la convivenza tra mio nonno materno e mio padre fu un limpido esempio di tolleranza, una sana virtù sociale di cui si sono perdute le tracce. Riflettendo su questa progenitura mi sono convinto che sarebbe stato giusto firmare la Premessa con i cognomi di entrambi.
Al rientro a Cagliari, la mia famiglia ha vissuto tempi difficili, Come tutti. Poiché la nostra casa era inagibile, fummo costretti ad andare a vivere in case di affitto periferiche, perché mio padre, lasciata la Marina militare, trovò un impiego in comune, non certo ai livelli di salario e di benefici che aveva da ufficiale. Dei miei anni da adolescente ricordo che ero sempre un po’ agitato, soprattutto in confronto ai miei fratelli, calmi e riflessivi. Mia madre me lo confermò più volte. Scaricavo la mia vitalità in eccesso, non nello studio, come avrei dovuto, ma nello sport, che praticavo in varie forme: corsa a ostacoli e pallacanestro d’inverno, nuoto e pallanuoto d’estate; primeggiavo in tutte, senza però mai eccellere a livello nazionale, dove comunque feci qualche esperienza, come testimonia un mini-medagliere d’antan.
Le mie carenze nell’impegno scolastico venivano colmate dagli ottimi insegnamenti e dolorose tirate d’orecchio di mio cugino Antonio Romagnino (omonimo di mio nonno), un fine letterato, autore di saggi istruttivi, preside di liceo e fervente liberale; fu segretario del leader politico del Partito liberale italiano Francesco Cocco Ortu. Mi insegnò i primi rudimenti del liberalismo filosofico, suggerendomi di leggere Luigi Einaudi2. Quando manifestai in aula la mia intemperanza in forma ginnica (scavalcai il banco invece di uscire normalmente di lato), l’insegnante di lettere, una brava allieva di Pirandello, la professoressa Etzi, si spaventò talmente che chiese e ottenne dal preside, Beniamino Melis, un intellettuale che incuteva rispetto, la mia sospensione dalla scuola per una settimana. Mio padre mi fece un pacato discorso: studiare non è obbligatorio, se non piace; se vuoi ti posso trovare un posto da qualche parte e ti guadagnerai da vivere.
Capii l’antifona e cambiai registro: meno sport e più studio. Altri tempi. Visto che c’ero, mi misi in testa di superare il più bravo della classe, peraltro riuscendoci. Ciò mi causò un’eccitazione pari a quella che ottenevo dallo sport; perciò, una volta diplomato in ragioneria, materia che mi tornò molto utile in diversi momenti della mia carriera da economista, decisi di iscrivermi all’università per laurearmi in economia e commercio (così allora si chiamava). Mio padre mi ripetette lo stesso ragionamento, sia pure con una diversa e più incoraggiante premessa: se desideri studiare, sono felice, ma devi trovare un lavoro che ti mantenga, perché sto invecchiando e non posso mantenerti dovendo provvedere agli altri due fratelli (Franco e Giovanni; il primogenito Brunello si era diplomato e già lavorava, pur continuando anch’egli a studiare confermando il comune sentire). Pochi anni dopo essere andato in pensione, mio padre si comportò da italiano modello, perché gravò solo per un breve periodo sul sistema previdenziale, che ancora non si dibatteva, come oggi, in difficoltà di bilancio a causa delle «distorsioni funzionali» alle quali è stato sottoposto (è stato infatti usato sovente come strumento anticongiunturale e solidaristico, impedendo la chiarezza delle sue condizioni operative, tuttora precluse dal rifiuto di fare calcoli attuariali su quanto dovuto perché accumulato versando gli oneri sociali).
Accettai un incarico di rappresentante di materiali per l’edilizia in giro per la Sardegna e mi impegnai contemporaneamente nello studio, assaporando soprattutto il gusto del diritto e dell’economia con contenuti più «avanzati» di quelli «normali» che avevo già appreso alle medie superiori.
Sento circolare nel mio sangue tutti gli umori del piccolo variegato nucleo di umanità da cui provengo, anche se è trascorso troppo poco tempo, come dicono gli studiosi di genetica, per avere il mio DNA irreversibilmente imprinted. Perciò i miei comportamenti hanno solo il marchio educativo dovuto a quegli umori, quindi niente di predeterminato o definitivo; essi sono frutto delle mie vaste esperienze vissute.
Ho già ricordato che uno degli insulti più gravi tra sardi è no ses òmine. Si può sempre essere òmine se si vuole e si è disposti a pagarne i costi. Savarese ha colto perfettamente questo aspetto dell’essere sardo racchiuso nel binomio «indipendenza e dignità», che invece non è riuscito a cogliere Massimo Onofri nel suo Passaggio in Sardegna. In Savarese il binomio «dignità e indipendenza» prende nome di «schiettezza e fierezza»: egli afferma che il sardo ha «Un senso esasperato di possesso della sua terra [che] lo rese indocile a tutte le correnti umane che lo raggiunsero nel tempo [limitandosi a praticare su connottu, ciò che è conosciuto, N.d.R.], e per volere essere troppo libero, rimase troppo solo. Son uomini che, anche oggi, per affermare la schiettezza e fierezza del loro carattere, non temono di diventare sospettosi anche tra loro, e divisi, in una terra così vasta e deserta. La solitudine li attrae irresistibilmente»3. Questo carattere dei sardi era già stato messo in evidenza da Tito Livio nelle sue Storie scritte a cavallo della nascita di Cristo, testimoniando che il DNA dei sardi risale nei tempi.
Una sintesi di ciò che ho appreso dai miei studi di economica ed esperienze di vita è che la schiettezza e fierezza hanno risvolti inaccettabili, come quello di esprimere le proprie opinioni senza avere la prudenza di considerare che possono essere errate o il desiderio di mostrare quella virilità che in Sardegna prende il nome di valentia, pronunciata in spagnolo balentia, che sfocia talvolta nell’arroganza puramente verbale o nella volontà di far prevalere sugli altri la propria forza. Riconosco che l’interpretazione di Savarese del carattere dei sardi è corretta, ma preferisco usare dignità e indipendenza che corregge le distorsioni indicate e che mi sono state inculcate dall’educazione familiare.
Quando mi sono trovato nelle condizioni di dover interrompere un’esperienza non me ne sono mai pentito, avendo sempre tratto grande vantaggio morale e fisico. Il giorno dopo ricevevo una nuova offerta interessante. Il mondo ha sempre bisogno di indipendenza e dignità, anche se talvolta vengono usate per fare da schermo a dipendenza e indegnità, altro aspetto da non trascurare da parte di chi si ispira a quei valori. È pur vero che con il senno di poi penso che l’accusa rivoltami soprattutto nella mia azione di ministro di essere troppo rigido nella difesa dei valori in cui credo sia fondata; considerata però l’accondiscendenza al compromesso e la vocazione al non rispetto della legge che prevale nella maggioranza dei cittadini e, soprattutto, nei gruppi dirigenti del Paese, essere fermi nella difesa di aspetti importanti della convivenza civile serve da richiamo a riflettere sui valori che devono tenere unita la società, affinché non scivoli verso il degrado, come sta accadendo. Come scrisse Sebastiano Satta nel suo celebre Il giorno del giudizio, un lavoro che scava in profondità nella natura umana, non merita rispetto chi «sollecita gli istinti, invece di educarli», quest’ultimo comportamento inconsueto in politica e nel mondo degli affari.
Negli anni che seguirono l’università, i maestri che incontrai ed ebbero un ruolo importante nel mio viaggio della conoscenza furono tanti; alcuni li incontreremo nel corso dell’esposizione. Per ora mi limito a indicare, seguendo un ordine temporale, Guido Carli, Paolo Baffi, Franco Modigliani, Ugo La Malfa, Francesco Cossiga, Paolo Sylos Labini e Giuseppe Guarino. Alcuni colleghi non sono stati da meno dei maestri e mi sono stati essi stessi maestri: innanzitutto Giovanni Farese, che ha letto con pazienza e commentato questo lavoro nella sua fase intermedia dandomi preziosi consigli; Valeriano Giorgio Balloni, Piero Craveri, Giuseppe De Rita, Michele Fratianni, Enzo Grilli, Iftekhar Hasan, Jan Kregel, Giorgio La Malfa, Bernardino Lavatelli, Oscar Nuccio, Giorgio Orlandini, Dominick Salvatore, Francesco Sisci hanno avuto un ruolo importante nella mia formazione. Una particolare riconoscenza mi lega all’opera preziosa di Anna Maria del Prete, che mi seguì in Confindustria dalla Banca d’Italia; di Dino Sorgonà, il più illustre giornalista economico televisivo e mio apprezzato consulente per la comunicazione; di Quirino Coghe e Franca Fugazzola, che mi assistettero con pazienza e intelligenza al Credito Industriale Sardo, restandomi amici nei decenni a seguire; di George Sutjia, con cui ho condiviso importanti iniziative culturali a livello internazionale; di Maria Teresa Gargiulo Stoppoloni, capo della segreteria tecnica al ministero dell’Industria; di Federico Manzella, colto ed equilibrato collaboratore nel corso dell’intera esperienza milanese e di Michele Barbato, prezioso direttore esecutivo delle tre riviste di Capitalia e Banca di Roma. Last but not least Antonio Maria Rinaldi, uomo d’azione e di comunicazione, creatore di Scenari Economici, il blog n. 1 di economia. Sono particolarmente riconoscente a due grandi editori per avermi sempre seguito e consigliato: Vanni Scheiwiller e Florindo Rubbettino. Debbo molto anche a miei più stretti collaboratori di un tempo: Cesare Busnelli, Luigi e Francesca Camilli, Sabrina Canossi, Manuela De Cesari, Vincenzo Dante, Angelo Farci, Edvige Lucci, Raffaele Manente, Rita Moscatello, Chiara Oldani, Gabriella Chiesa, Libero Monteforte, Paolo Pais, Efisio Rais, Rinaldo Rinaldi, Vincenza Talone, Massimo Tivegna, Alessandro Tuccimei. Molti amici e artisti hanno reso piacevole e interessante la mia vita con la loro cultura e senso artistico: Antonio Arcadu, Michele Arnese, Rosanna Balestrieri, Valeriano Giorgio Balloni, Pia Luisa Bianco Savelli, Alessandro e Andrea Bini, Patrizia Borinato, Paolo Buzzetti, Mauro e Silvana Caproni, Giorgio Caredda, Nicola Carrino, Pietro Cascella, Giorgio Chiarelli, Federico Coni, Paolo e Marisa Contini, Elvio e Kristel Dal Bosco, Monica Degli Innocenti, Carlo Doria, Massimo e Angela Faccioli Pintozzi, Francesca Fadda Varo, Giandomenico Formosa, Luciano e Anna Paola Gavelli, Guido Gentili, Fabio, Alberto Heimler, Laura e Giovanni Inghirami, Luciana La Stella, Franco e Floriana Ledda, Gavino Ledda, Massimo Lo Cicero, Paolo Madella, Livio Magnani, Teodosio Magnoni, Romano Mambrini, Giuseppe Manconi, Gianna Rita Mele Caredda, Mauro Meli, Siro Migliavacca, Mariano e Rita Pane, Paolo Panerai, Luca Maria Patella, Ercole Pellicanò, Vittorio Pilloni, Lello Puddu, Leonello Radi, Ennio e Loretta Ramundo, Stelio e Fausta Ricciardi, Alfonso Ruffo, Carlo Salimei, Sebastiano Salvietti, Carlo Santini, Pinuccio Sciola, Caterina Spitzeri Beschi, Cordelia von Steinen, Antonio e Giulia Sulis, Vico Valassi, Fabio Vanorio, Ludovic Varo, Gianfranco Verzaro, Giuseppe Zanardi.
1. Il ponte, realizzato in ferro nel 1905, consente di superare l’istmo che lega il porto di Cagliari allo stagno di Santa Gilla, dove è situato l’aeroporto di Elmas. Il nome deriva dagli «scafi» (barche in legno) che consentivano l’attraversamento da una sponda all’altra, collegando la località di Giorgino con la strada per Capoterra. Lo stagno era pescosissimo e nel XIV secolo, sotto il dominio della corona spagnola, le autorità imposero una tassa in natura pari al quarto del pescato. La tassa si chiama in sardo arréndu, termine usato per indicare l’affitto, ma anche l’atto di arrendersi. La gabella venne richiesta fino al 1956, quando una legge regionale l’abolì.
2. Debbo però la mia iniziale conoscenza/coscienza delle teorie economiche all’affascinante lettura della Storia dell’analisi economica di Joseph A. Schumpeter, nella traduzione del suo allievo e mio maestro «involontario», Paolo Sylos Labini, pubblicata dalla Einaudi di Torino nel 1959 (l’edizione originaria in inglese è del 1954). Ritengo sia una lettura indispensabile per uno che voglia fare l’economista.
3. Ivi, p. 79.

2.

Le tappe del mio viaggio della conoscenza

Ho diviso le tappe del mio viaggio della conoscenza in 14 principali esperienze, soffermandomi su altrettante sottocategorie che considero di particolare valore conoscitivo.
2.1 L’Università. La Facoltà di Economia e commercio era situata in una posizione amena di Cagliari, nei pressi dell’Anfiteatro romano. Di fronte era situato l’Albergo dei poveri e – con un’ironia che precorreva i tempi, ma che erroneamente ritenevamo già operante non sapendo che cosa sarebbe accaduto nel corso del mezzo secolo successivo – sostenevamo che questo sarebbe stata l’inevitabile nostra destinazione dopo la laurea. Negli anni 1950 quella era la psicologia di noi giovani in una terra solo marginalmente toccata dal «miracolo economico» del Nord Italia. Non potendo frequentare le lezioni per motivi di lavoro, colmai la lacuna raccogliendo informazioni dai colleghi. Ricordo con viva riconoscenza Luigi Carlo Astorri, c...

Indice dei contenuti

  1. Come un incubo e come un sogno
  2. Colophon
  3. Premessa
  4. Introduzione Dal miracolo economico alla grande recessione: storia di un incubo vissuto come un sogno
  5. Parte I Considerazioni di probabile interesse generale
  6. Parte II Biografia ragionata delle mie esperienze professionali e di vita
  7. Parte III Due necessari complementi di conoscenza
  8. Conclusioni Governare il futuro, non tornare al passato. Combattere le rendite e rispettare la «regola della legge» per rilanciare crescita ed equa distribuzione delle risorse
  9. Bibliografia selezionata dei miei lavori (nello stesso ordine usato per presentare le mie ricerche)
  10. Indice