Fai silenzio ca parrasti assai
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Fai silenzio ca parrasti assai

Il potere delle parole contro la 'ndrangheta

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Il potere delle parole contro la 'ndrangheta

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Prefazione di Otello LupacchiniLa 'ndrangheta è un "elemento costitutivo della società calabrese"; le famiglie di 'ndrangheta sono cellule della società e, come tali, respirano la stessa aria. Sono cellule malate, però, che si nutrono della parte sana della collettività, dissanguandola. La forza della 'ndrangheta sta nell'omertà, nella capacità di impedire che si parli della crudeltà e della prepotenza che la costrddistinguono. Il silenzio, a volte determinato dalla paura, altre volte dalla indifferenza o, ancora, dalla vicinanza, ne ha consentito diffusione e consolidamento anche al di fuori dei confini nazionali. È la forza della parola, il coraggio di denunciare, che potrà distruggerla. Le parole fanno paura, ecco perché un capo, Pantaleone Mancuso, atterrito, perde il controllo, nel corso di una udienza in cui è imputato e urla al suo Pubblico Ministero: «Fai silenzio, fai silenzio, fai silenzio ca parrasti assai, hai capito ca parrasti assai, fai silenzio ca parrasti assai.» Espressione dello stato d'animo di un boss che comprende che il muro che ha costruito per la protezione sua e della sua famiglia sta per essere infranto dal coraggio di chi usa la parola.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788849857405
Categoria
Criminologia

Testimoni e collaboratori del nuovo secolo

Eugenio William Polito. Storia di un giovane in terra di ’ndrangheta

La storia di William iniziò a essermi nota il 3 marzo del 2008.
I Carabinieri mi chiamarono per rappresentarmi la situazione di un giovane uomo di venticinque anni. Erano intervenuti presso l’abitazione di William, in Ionadi, centro poco distante dalla città di Vibo Valentia, a seguito di una lite familiare che vedeva il coinvolgimento della moglie e di alcuni suoi parenti. Sembrava, inizialmente, una situazione relegata all’ambito parentale, ma le dichiarazioni rese nella quasi immediatezza dal giovane avevano consentito di comprendere che si andava ben oltre: nella vicenda la ’ndrangheta del territorio aveva avuto un ruolo.
Le dichiarazioni di William aprivano uno scenario di altri tempi. Le scelte di vita erano forzate e decise da altri; l’autodeterminazione e il rispetto della volontà personale lasciavano il posto alla prepotenza e alle imposizioni, anche nella scelta della sposa.
William dichiarava di essere stato costretto, mediante minaccia a mano armata, a prendere in moglie Carmela Scuteri.
William, dopo avere conseguito il diploma, aveva svolto l’attività di piccolo imprenditore e commerciante. Era l’unico figlio maschio di una famiglia perbene. Il padre aveva lavorato come ragioniere e procacciatore di clienti per una impresa del luogo e la sua attività, anche grazie alle provvigioni che riceveva a fronte delle vendite, gli aveva consentito di fare crescere in modo agiato i figli.
William, dopo la conclusione del ciclo scolastico, aveva chiesto al padre di poter avviare una attività in proprio e il padre lo aveva aiutato.
Prima aveva avviato una attività di concessionaria di autoveicoli, l’Auto William, e, successivamente, poiché l’attività non decollava, aveva avviato un commercio di materiale per la casa a Tropea.
La mancanza di esperienza e la situazione economica generale non aveva, però, consentito neppure in questo campo di ottenere buoni risultati; la liquidità scarseggiava e le spese connesse alla gestione di una attività in proprio diventavano di difficile sopportazione.
Come troppo sovente accade, William, senza consultarsi con i propri genitori, ma con la presunzione tipica di molti giovani viziati, decise di risolvere i problemi da solo.
Parlarne in casa avrebbe significato ammettere la propria inesperienza; William, invece, appena ventenne, aveva intenzione di cavarsela da solo, di vivere per i fatti propri e di essere indipendente e autonomo.
Aveva spostato la propria residenza nella casa del mare dei genitori, in località Capo Vaticano di Ricadi, e in quella abitazione aveva pensato di potere avviare una esistenza libera e priva di vincoli.
Fu proprio a Ricadi che ebbe a incontrare Giovanni D’Aloi. Questi abitava al terzo piano dell’immobile dove viveva William e, vedendosi spesso, iniziò tra loro una frequentazione.
Giovanni D’Aloi era un personaggio ben inserito nel contesto criminale, legato ai vertici del gruppo Mancuso. Antonio Mancuso era il suo capo; per lui si prestava a compiere i lavori più disparati. Dopo la condanna di Antonio per associazione mafiosa subita all’esito del processo “Dynasty” e fino alla sua scarcerazione per motivi di salute, Giovanni si era messo a disposizione sua e dei suoi familiari.
Parlando a bordo del proprio veicolo, Giovanni D’Aloi si compiaceva di avere un rapporto simbiotico con Antonio Mancuso: «Io sono venticinque anni che sono con il capo assoluto di Nicotera».
Col passare del tempo, William aveva compreso che Giovanni, oltre all’attività di ristoratore che svolgeva ufficialmente, gestiva un giro di denaro. Spesso il D’Aloi si era rivolto a lui, con diverse scuse, per ottenere assegni del suo conto corrente. Giovanni aveva necessità di un assegno di un importo determinato e William provvedeva. Compilava il modulo, sottoscriveva, cedeva l’assegno a Giovanni e questi ne faceva l’uso che riteneva, dando a William il medesimo importo in contanti. Si era prestato anche a rilasciare gli assegni necessari per l’acquisto di un fabbricato rurale sul Monte Poro da parte di Giovanni D’Aloi.
William aveva capito che Giovanni aveva buona disponibilità di contante e che, quindi, avrebbe potuto essergli d’aiuto per risolvere i problemi di liquidità in cui si era trovato invischiato.
Si fece coraggio e gli chiese se fosse disponibile per un prestito di denaro che pensava di poter restituire in tempi brevi.
Giovanni, che per professione prestava denaro a usura, si rese immediatamente disponibile.
Iniziarono così a stringersi sempre maggiormente i loro rapporti. William iniziò a condividere con Giovanni anche le occasioni in cui questi si rivolgeva alle proprie vittime per chiedere, con le minacce, la restituzione del denaro in prestito; d’altra parte, William pensava che, mettendosi a disposizione, avrebbe potuto ottenerne dei vantaggi: sia in termini di percentuale di interesse da pagare che per quanto concerneva i tempi della restituzione.
Aveva iniziato ad accompagnarlo anche nei luoghi più pericolosi, nelle abitazioni dei capi della cosca, da Antonio e Giovanni Mancuso.
La masseria di Giovanni Mancuso era divenuto luogo in cui spesso si recava, accompagnando il D’Aloi che, avendo libertà di movimento e non essendo ancora divenuto di particolare interesse per le forze dell’ordine, rappresentava l’elemento di congiunzione dei fratelli. Antonio era sottoposto agli arresti domiciliari, non poteva quindi proseguire nella conduzione dei suoi affari se non con l’ausilio di uomini fidati. Il patrimonio della famiglia doveva continuare a fruttare e Antonio aveva quindi chiesto al fratello Giovanni di mantenere e incentivare i rapporti già coltivati.
Giovanni Mancuso era divenuto, quindi, il sostituto del fratello Antonio e, per non dare nell’occhio, utilizzava il D’Aloi come strumento di trasmissione di messaggi diretti al fratello.
William, per il tramite di D’Aloi, era venuto a conoscenza di molti nomi di vittime della cosca. Qualcuno di questi lo aveva conosciuto. Ricordava bene Giuseppe Grasso, l’elettricista, marito di Francesca Franzè; lo aveva incontrato con Giovanni D’Aloi.
Nel corso della sua vita imprenditoriale, Giuseppe Grasso era stato costretto ad assumere soldati della cosca. Tra questi, anche Giovanni D’Aloi. Le assunzioni erano ovviamente fittizie. Grasso pagava i contributi e forniva gli alibi ai delinquenti che avevano, in questo modo, la possibilità di giustificare, dinanzi alla legge, le possidenze e il tenore di vita. Giovanni D’Aloi in realtà non aveva mai lavorato veramente per il Grasso; solo sporadicamente si faceva vedere nei cantieri dell’impresa, ma le visite erano finalizzate a controllare come si svolgesse l’attività più che a prestare lavoro.
Fu proprio D’Aloi a fornire le notizie ad Antonio Mancuso circa la situazione drammatica in cui ormai era venuto a trovarsi Giuseppe Grasso. Per ironizzare, lo chiamavano Pino “Gunia”, per significare che ormai era entrato nella fase dell’agonia e le sue imprese erano al collasso.
Il ruolo di fiducia che William aveva assunto, gli aveva consentito di ottenere l’affidamento necessario per ottenerne dei benefici: per lui, i benefici erano, in quel momento, soldi liquidi.
William, però, non si era rivolto solo a Giovanni per ottenere denaro in prestito. Nella sua mente di giovane arrogante, non voleva certamente mostrare al D’Aloi di essere in cattive acque; voleva dare l’immagine dell’imprenditore che stava affrontando un periodo di difficoltà facilmente superabile.
La situazione andò, invece, a peggiorare drammaticamente e fu costretto a chiudere l’attività di Tropea, rifugiandosi dai genitori che, a Ionadi, avevano dei magazzini di proprietà che avrebbero potuto mettere a disposizione del figlio per avviare un nuovo commercio.
In pochi anni, insomma, dal 2001 al 2005, William aveva avviato diverse attività, accumulando debiti tenuti nascosti alla famiglia. Alla fine si era anche sistemato in un appartamento a Ionadi, lasciando la casa di Ricadi.
Malgrado l’allontanamento, i rapporti con Giovanni D’Aloi proseguirono. Questi aveva, nel frattempo, iniziato una relazione con una donna, vedova con figli, e William ne aveva conosciuto la figliastra Carmela, detta Amelia.
Amelia frequentava la scuola per parrucchieri a Vibo Valentia e, un giorno, William l’aveva invitata a bere un caffè. Quel caffè fu per William una sciagura.
Fino ad allora aveva mantenuto rapporti troppo ravvicinati con Giovanni D’Aloi ma, con il passare del tempo, il rientro presso l’abitazione dei genitori, persone sane e oneste senza alcun collegamento con la criminalità, poteva fare sperare in una presa di coscienza che lo salvasse dalla immaturità fino ad allora dimostrata. L’appuntamento cui Amelia si recò, invece, divenne motivo per costringere William a impegnarsi per una promessa di matrimonio.
William, ragazzo di oggi, divenne personaggio di un’epoca passata, protagonista di una farsa tragica in cui i matrimoni si combinano e gli sposi rispondono al volere di chi decide per la loro vita. Neppure Amelia aveva alcuna intenzione di prendere in sposo William; non lo conosceva quasi, non poteva sapere se si trattasse o meno della persona adatta e giusta con cui dividere la propria esistenza.
I metodi per convincere William furono molto bruschi e, allo stesso tempo, convincenti. Fu portato in una masseria e, sotto la minaccia di un fucile puntato alla testa, Giovanni D’Aloi e il fratello grande di Amelia lo convinsero che il matrimonio s’aveva da fare.
La vicenda, che sembra appartenere a un altro secolo, si chiuse proprio con il matrimonio, celebrato il 20 ottobre 2007, tra William e Carmela detta Amelia.
Si trattava di coinvolgere William e, attraverso un “sacramento”, di inserirlo all’interno del gruppo criminale cui apparteneva Giovanni D’Aloi.
La storia delle organizzazioni criminali insegna come sia sempre indispensabile una cerimonia, che mutua la propria consistenza da un sacramento religioso, per entrare nella famiglia mafiosa. Di regola si tratta del “battesimo” del nuovo affiliato; in questo caso, un’altra cerimonia religiosa, il matrimonio, avrebbe determinato l’inserimento, a pieno titolo, di William nella organizzazione ’ndranghetistica.
D’altra parte, Giovanni D’Aloi aveva già deciso da un pezzo che quel ragazzo doveva essere un suo soldato. Nell’estate dell’anno 2007, Giovanni, uomo privo di scrupoli, che mirava a ottenere dalle sue conoscenze solo benefici, disconoscendo il vincolo d’amicizia che William, ingenuamente, pensava di avere stretto con lui, ottenne una serie di notizie che intendeva sfruttare.
Aveva saputo dal giovane che il padre aveva intenzione di fabbricare delle villette su un terreno lottizzato, al fine di lucrare il profitto derivante dalla vendita dei fabbricati. Per la famiglia doveva essere un investimento che avrebbe consentito di assicurare un futuro tranquillo ai figli. Per Giovanni, invece, rappresentava un’occasione da non lasciarsi sfuggire. Pensò di parlarne con il suo capo, Antonio Mancuso, così da assicurargli la possibilità di chiedere una mazzetta. In tal modo, Giovanni avrebbe accresciuto la propria autorevolezza dinanzi al gruppo mafioso.
William si trovò, suo malgrado, ad accompagnare il padre Domenico al cospetto di Antonio Mancuso che, con lucidità e freddezza, impose, senza mezzi termini, il pagamento di centocinquantamila euro o la cessione di una villetta a conclusione dei lavori programmati.
La vicenda determinò una rottura dei rapporti tra William e la sua famiglia. Di colpo il padre si rese conto che il figlio, in quegli anni di indipendenza e autonomia, aveva intrapreso strade e stretto rapporti assai pericolosi. Domenico era una persona perbene, che aveva sempre lavorato onestamente e con il sudore della sua fronte aveva risparmiato del denaro che avrebbe consentito alla sua famiglia di vivere con serenità. Ora William stava rovinando tutto, mettendo a repentaglio non solo il patrimonio ma la sua stessa vita e quella dei suoi cari. Con i Mancuso non si poteva certo scherzare; Domenico ne era ben cosciente, avendo vissuto sempre in quel territorio. Sapeva bene che il suo datore di lavoro era finito in cattive acque, tanto da subire il fallimento della sua impresa, proprio a causa della cosca dei Mancuso.
Domenico non usò mezzi termini con il figlio. La frequentazione di quella gente non poteva continuare, avrebbe dovuto scegliere tra i delinquenti e la sua famiglia.
Fu così che quando William fu indotto a sposarsi, la sua famiglia non partecipò al matrimonio. La giovane donna che il figlio avrebbe sposato apparteneva al mondo che Domenico voleva tenere lontano da sé e dai suoi cari.
Il matrimonio, comunque, ebbe breve durata, solo quattro mesi. Fu Amelia ad andarsene il 14 febbraio del 2008. Il matrimonio era stato imposto anche alla giovane donna che, a differenza di William, non intendeva accettare la vita con un uomo che non amava.
L’allontanamento di Amelia non fu gradito al D’Aloi, che riteneva William responsabile per non essere riuscito a farsi rispettare dalla moglie. I rapporti con il mafioso iniziarono a incrinarsi e William iniziò a temere per la sua vita. Nel periodo di tempo in cui aveva frequentato Giovanni era divenuto depositario di molti suoi segreti; conosceva tante delle sue malefatte e delle vicende delittuose di cui si era reso responsabile.
La rottura intervenuta con la moglie aveva un evidente riflesso anche nei rapporti con il gruppo criminale e, immediatamente dopo la separazione, William venne fatto oggetto di minacce implicite ed esplicite. Passarono poche settimane e William, all’epoca venticinquenne, comprese che se avesse voluto salvare la propria vita, avrebbe dovuto affidarsi alla Giustizia.
Nei primi giorni di marzo del 2008, maturò la sua decisione e si presentò presso gli uffici del Comando dei Carabinieri dove dichiarò di essere stato al servizio di un gruppo ’ndranghet...

Indice dei contenuti

  1. Fai silenzio ca parrasti assai
  2. Colophon
  3. Indice
  4. Prefazione di Otello Lupacchini
  5. Introduzione
  6. Il territorio e la sua emarginazione
  7. Le prime dissociazioni, i gruppi giovani. Storie di vita
  8. La famiglia Mancuso: la stirpe degli “undici” e le spinte scissioniste. Le fratture e le riconciliazioni
  9. Le vittime si svegliano. I nuovi protagonisti del cambiamento
  10. La Costa degli Dei. Il territorio in mano ai Mancuso
  11. Testimoni e collaboratori del nuovo secolo
  12. Conclusioni
  13. Albero genealogico della famiglia Mancuso
  14. Note