Crisi della democrazia italiana
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Crisi della democrazia italiana

Riforma o innovazione?

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Crisi della democrazia italiana

Riforma o innovazione?

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Il Quaderno raccoglie la relazione e gli interventi svolti nel corso del seminario "Crisi della democrazia italiana. Riforma o innovazione?", il 5 giugno 2013, nella Sala della Regina della Camera dei deputati. Nel seminario è stata presentata e discussa la prima fase della ricerca sul tema della democrazia, curata da studiosi dell'Associazione italiadecide, della Fondazione Luigi Einaudi di Roma e della Fondazione per la Sussidiarietà.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788849840087
Interventi

Luciano Violante*

La Fondazione Luigi Einaudi di Roma, la Fondazione per la Sussidiarietà e l'Associazione italiadecide hanno in corso una riflessione comune, sulla base delle diverse collocazioni ideali, intorno alle ragioni della crisi della democrazia e alle vie percorribili per superarla.
Nel corso delle nostre discussioni preparatorie non ci siamo occupati degli interventi tecnici, non abbiamo discusso se bisogna andare verso il presidenzialismo o il parlamentarismo razionalizzato. Credo che nel prosieguo dei nostri lavori questi temi saranno affrontati, ma riteniamo, oggi, prioritaria un'analisi dei processi reali in corso, che hanno determinato la crisi del sistema politico.
Noi discutiamo da 30 anni – circa – delle riforme; ma le condizioni iniziali – ad esempio, quelle presenti ai tempi della Commissione Bozzi – sono completamente diverse dalle condizioni nelle quali ci troviamo a operare oggi. Oggi c'è un nesso stretto tra la crisi economica e la necessità delle riforme. Perciò non possiamo abbandonarci a una sorta di passaggio di consegne, con una trasmissione di strumenti normativi da un decennio all'altro, senza una riflessione che innovi, per intervenire positivamente nella società italiana.
C'è una crisi di legittimazione della politica, una crisi di efficacia dell'amministrazione, un sopravvenire nei processi di governo di poteri privi della tradizionale legittimazione democratica, i mercati, il mondo finanziario, la Magistratura, le tecnocrazie, le grandi società di rating che prevalgono sui tradizionali luoghi della sovranità degli Stati. La democrazia, come dimostrano le vicende ungheresi, non è un destino inevitabile.
Il problema, a nostro avviso, è questo: individuare le ragioni di fondo, materiali, della crisi, e quindi predisporre gli strumenti per rispondere.
Abbiamo chiesto ad alcune personalità che non hanno partecipato ai nostri lavori, il Presidente Di Maio, Giuliano Amato, Carlo Leoni, Pietrangelo Buttafuoco, Walter Barberis, di partecipare a questo seminario per una valutazione delle linee che proponiamo per poter poi andare avanti con riflessioni più ampie e più approfondite.
Permettetemi di richiamare la contraddizione nella quale viviamo: il sistema politico è fragile perché non ci sono le riforme e le riforme non si fanno perché il sistema politico è fragile.
Questa contraddizione ci impone di uscire dal circuito puramente normativo e di guardare alle forze reali che si muovono nella società italiana, anche perché la crisi dei «rappresentanti» (partiti, Parlamento) è frutto anche della crisi dei «rappresentati», che hanno smarrito la bussola delle certezze costituite dagli antichi indirizzi ideologici. Perciò, in questa fase, vogliamo guardare più alla società che alle istituzioni.
In questo quadro, chiederei al dottor Giovanni Rizzoni – che ha redatto la sintesi delle nostre considerazioni – di esporre in modo più completo rispetto a quanto io abbia fatto, i temi di fondo della nostra riunione.
* Presidente di italiadecide, Associazione per la qualità delle politiche pubbliche.

Giovanni Rizzoni*

In questa breve introduzione mi limito a fare cenno alle finalità che hanno ispirato la redazione del documento di sintesi posto alla base del dibattito di oggi.
In primo luogo un chiarimento sul titolo dato a questo incontro. Quando si parla di «riforme o innovazione» sul piano istituzionale non si vogliono contrapporre i due termini all'interno di un'alternativa. Quell'«o» deve intendersi non come un «aut», ma come un «vel»: si vuole così esprimere un invito a mettere a fuoco i profili di innovazione realisticamente incorporabili nei processi di riforma istituzionale. Come detto nella nota, le riforme si muovono di norma all'interno dei meccanismi istituzionali in modo da renderli più funzionali e rispondenti alle domande sociali. La prospettiva della innovazione istituzionale intende invece affrontare in primo luogo i fattori esterni che oggi mettono in discussione le forme classiche della democrazia e in particolare della rappresentanza politica. Questa opzione muove dalla convinzione che l'innovazione più incisiva in campo politico nasca quasi sempre dal conflitto fra istanze e pretese di potere in competizione. Le sfide che oggi fronteggiano le forme classiche della democrazia non devono essere quindi percepite solo come minacce destabilizzanti, ma anche come incentivi a ripensare alcuni snodi fondamentali del rapporto fra governati e governanti. L'iniziativa delle tre associazioni punta da questo punto di vista a mettere a fuoco le possibili azioni di innovazione della nostra democrazia in senso intensivo piuttosto che estensivo.
Il punto di partenza di questa riflessione vorrebbe essere quello realista e pluralista proprio della migliore tradizione politica e giuridica italiana da Machiavelli a Vico, da Gramsci a Romano e Mortati. Una prospettiva di analisi che privilegia la considerazione delle forze sociali di volta in volta prevalenti e l'attenzione per gli equilibri politici che si esprimono nell'architettura costituzionale. Si tratta di un approccio che fa riferimento al concetto di costituzione materiale, con tutto il denso significato implicito in questa espressione.
Il tentativo intellettuale e culturale di questa iniziativa, quindi, si propone di dare un aiuto all'interpretazione della situazione presente per poi trarne elementi per la sua eventuale traduzione sotto forma di innovazione istituzionale, tenendo conto delle caratteristiche della nostra epoca, assai diversa rispetto a quella che vide all'opera l'Assemblea Costituente.
Allora il varo della Costituzione si presentò come una sorta di «profezia di democrazia» che interveniva su una tabula rasa, in un Paese che era uscito materialmente e moralmente distrutto dall'esperienza bellica e dal fascismo. Rispetto alla situazione davvero disastrosa in cui si trovava da tutti i punti di vista l'Italia del dopoguerra, oggi il nostro Paese offre il quadro di una democrazia matura – pienamente inserita nella famiglia delle grandi democrazie dell'Unione Europea – e innervata al suo interno da un ricchissimo pluralismo sociale e da un vitale reticolo di autonomie territoriali. L'esercizio politico e intellettuale che più sembra adatto a questo particolare momento storico per migliorare le condizioni della nostra democrazia è pertanto di tipo ermeneutico più che «profetico». Si avverte cioè l'urgenza di avviare la difficile opera di interpretazione di una diffusa domanda di rinnovamento che sinora non ha trovato sbocchi, se non nella forma negativa di un crescente «disagio della democrazia». Una lettura capace di identificare le ragioni profonde dell'attuale crisi delle forme classiche della democrazia rappresentativa e di trarne le adeguate conseguenze sul piano del mutamento istituzionale.
Mi limito qui a elencare tre profili di crisi perché sono stati oggetto più volte del dibattito – anche nell'ambito di distinte sessioni di lavoro – da parte delle tre associazioni promotrici di questo incontro.
In primo luogo, va citata la crisi della rappresentanza territoriale che investe oggi il nostro Paese anche attraverso una profonda rimessa in discussione della riforma costituzionale del 2001. Si tratta di una situazione di difficoltà molto grave e che si esprime in una profonda insoddisfazione per alcuni difetti dell'attuale articolazione della rappresentanza territoriale (frammentazione, conflittualità, burocratizzazione) che ne mina seriamente la capacità di risposta alle domande di governo dei cittadini e delle imprese.
Il secondo profilo di crisi interessa gli istituti classici della democrazia rappresentativa, in primo luogo quella parlamentare, a partire dal paradigma fondante della rappresentanza politica moderna: l'idea della sua separatezza dalla società civile. Un'idea com'è noto concepita fra il xvm e il xix secolo e poi incorporata nelle principali costituzioni moderne, inclusa la nostra. La domanda è se questo paradigma di rappresentanza che si vuole «nazionale», proprio perché distinta e distante dagli interessi particolari della società, sia ancora oggi sostenibile, e come esso possa essere integrato o «contaminato» con altre forme di democrazia, come quelle della democrazia diretta, partecipativa e deliberativa. Forme diverse, ma non necessariamente alternative agli istituti della democrazia rappresentativa, con le quali si possono e si devono anzi cercare moduli di integrazione resi oggi più accessibili dalle nuove tecnologie della comunicazione sociale.
Infine, è stata affrontata la questione dei partiti politici, la cui storia è intrecciata, come sappiamo, in modo così sostanziale con la storia della rappresentanza politica moderna.
Da questo punto di vista, l'Italia appare oggi come un grande cantiere aperto. Le maggiori forze politiche del Paese si distinguono non solo, com'è naturale, per diversità ideologica, ma anche e soprattutto per il fatto di rappresentare modelli di partito (o di non partito…) fra loro molto lontani se non alternativi. Quando si parla – quindi – di partiti forse la prima domanda da porre è che cosa sia oggi un partito, attraverso quali forme i cittadini possano nella nostra epoca continuare a svolgere un'attività politica di tipo organizzato per concorrere, come previsto dalla Costituzione, a determinare con metodo democratico la politica nazionale. Anche su questo campo i cambiamenti in corso nelle modalità di articolazione della sfera comunicativa pubblica sono con tutta evidenza destinati a svolgere un ruolo fondamentale.
Questi sono, quindi, i temi oggetto della comune riflessione delle tre associazioni; credo che tutto il resto sia illustrato in modo esauriente nel documento di base.
* Consigliere Capo Servizio Ufficio Pubblicazioni e Relazioni con il pubblico -Camera dei deputati.

Mario Lupo*

La Fondazione Luigi Einaudi ha accolto ben volentieri l'invito a unirsi alla Fondazione per la Sussidiarietà e all'Associazione italiadecide in una lettura e un'analisi approfondita della crisi della democrazia italiana e della democrazia europea e internazionale. Come sempre, in Italia fenomeni, che pure sono presenti anche in altre realtà nazionali, assumono accentuazioni e drammatizzazioni peculiari e anche per questo la nostra attenzione si è calata soprattutto sulla realtà italiana.
Quanto al documento oggetto dell'incontro odierno – che fa una sintesi ragionata delle analisi e delle tesi, che sono state il prodotto degli incontri preparatori precedenti e che saranno esaminate e dibattute nel convegno programmato per l'autunno prossimo – la Fondazione Einaudi lo considera in progress. Intanto perché come tale è stato esaminato e licenziato nell'ultima riunione congiunta che le tre istituzioni culturali promotrici dell'iniziativa convegnistica hanno avuto, ma anche perché il documento – mentre è, a mio avviso, assai puntuale e preciso nell'individuazione e nell'analisi dei fattori di crisi della nostra democrazia – è ancora assolutamente incompleto nella parte propositiva del «che fare» per rimuoverli e superarli.
C'è, in particolare, il capitolo sul tema innovazione verso riforme, che ha bisogno sicuramente di essere sviluppato perché – così come formulato – non è facilmente intelligibile.
Non è sufficientemente chiaro cosa le nostre tre istituzioni culturali potrebbero significativamente fare, proporre, promuovere per incidere sulla Costituzione materiale del Paese – cioè su quell'insieme di realtà e di rapporti economici, sociali e politici che sono l'intelaiatura della nostra società civile. Ci sono alcuni passaggi che, almeno per chi vi parla, sono da decriptare e questo dà all'elaborato una connotazione di documento in fieri. E poi soprattutto, in un momento in cui nel dibattito politico del Paese è diventato assolutamente centrale il tema delle riforme costituzionali, in cui c'è un governo che fra le sue ragion d'essere primarie pone proprio la promozione di queste riforme, dire che noi non ce ne occupiamo, che il convegno prossimo venturo non dovrà affrontare questo tema, mi sembra cosa difficilmente spiegabile e difendibile.
Dire, quindi, che italiadecide e le altre due istituzioni culturali che con essa hanno lavorato non si occuperanno di questi temi, ma solo di innovazione e non di riforme, mi sembrerebbe assolutamente anacronistico e in qualche misura incomprensibile per chi ci legge e ci osserva.
Un'ultima considerazione. Noi ci siamo avviati verso una meta non facile da raggiungere: abbiamo provato a vedere se tre istituzioni culturali, di matrice diversa, riuscivano a convergere su una serie di obiettivi riguardanti il cambiamento della Costituzione materiale e della Costituzione formale del nostro Paese e questo è stato il tentativo che abbiamo compiuto e che stiamo portando avanti.
La Fondazione Einaudi di Roma intende proseguire in questo tentativo. Alcune convergenze con le altre due istituzioni le abbiamo trovate, altre sono ancora da trovare.
Il documento che oggi discutiamo ha qualche passaggio che la nostra Fondazione non condivide, ma continueremo a mettercela tutta per vedere se riusciamo a produrre per il convegno prossimo venturo delle tesi unitarie da sottoporre a dibattito.
Se questo non dovesse avvenire, niente di male. Vuol dire che la Fondazione Luigi Einaudi, così come le altre due istituzioni, di fronte a una messe di spunti e di input comuni segnaleranno che c'è un qualche profilo sul quale differenziano le rispettive posizioni.
Nella nostra cultura liberale, del resto, la contrapposizione delle opinioni e il dissenso non sono un male, ma una ricchezza da valorizzare.
* Presidente della Fondazione Luigi Einaudi – Roma.

Luca Antonini*

Questo dialogo fra le tre Fondazioni, nei seminari di approfondimento in cui si è articolato, è stata una esperienza veramente feconda e utile. È stata un'iniziativa, peraltro, avviata in tempi non sospetti: è partita quasi un anno fa, era da poco iniziata l'esperienza del governo tecnico e il tema della riforma costituzionale era solo marginale nell'azione politica. Con questa iniziativa, in termini di discussione, sono stati quindi anticipati i tempi di quello che sarebbe poi accaduto, in fondo indovinando lo scenario che si sarebbe aperto.
Probabilmente quando abbiamo iniziato ad approfondire il tema che avevamo di fronte era soprattutto la crisi della riforma del Titolo V e la crisi del sistema politico; nello sviluppo successivo è emersa poi, con tutta la sua gravità, la crisi del sistema istituzionale nazionale.
Credo che il percorso fatto sia stato estremamente interessante, sia dal punto di vista metodologico sia da quello dei contenuti. Oltre a condividere alcune criticità abbastanza evidenti del sistema, sono emerse infatti anche analisi che hanno focalizzato alcuni temi emergenti che caratterizzano la società italiana di oggi, come ad esempio quello della disuguaglianza. Nello specifico del nostro Paese si registra, infatti, una disuguaglianza crescente e anomala, in quanto fondata più sulla rendita che sul merito. In fondo si tratta di una disuguaglianza non di tipo liberale, ma di una disuguaglianza di tipo parassitario generata dalle rendite che si alimentano in un sistema che non riesce a ristrutturare la spesa pubblica, a garantire un coordinamento efficace tra i livelli di governo, a controllare i nuovi poteri finanziari, a razionalizzare il sistema fiscale in chiave effettivamente redistributiva, a rivedere certi meccanismi ormai inadeguati del sistema di welfare. In questo senso se la disuguaglianza rappresenta uno dei grandi problemi della nostra epoca, soprattutto una disuguaglianza fondata sulla rendita, come quella che si sta affermando in Italia, costituisce un dato di fatto che non può trovare giustificazione sotto alcun profilo valoriale. È chiaro peraltro che si tratta di temi che indirettamente devono essere considerati nel momento in cui si riforma la parte organizzativa del patto costituzionale: si tratta di innovare proprio per permettere che i valori della prima parte della Costituzione, come appunto quello della eguaglianza, vengano più adeguatamente perseguiti e attuati.
Valuto quindi positivamente la prospettiva metodologica della innovazione perché evita che si impegni in un mero esercizio di ingegneria costituzionale, ma può aprire un terreno molto costruttivo di dibattito anche rispetto alle proposte concrete di riforma, ad esempio valorizzando l'analisi delle best practices ed evitando gli schemi solo ideologici.
Credo che questo sia molto importante, perché aiuta a rompere il rischio dell'accanimento modellistico e permette una partenza originale, necessaria a un Paese che si sta avviando su una strada di riforme anche costituzionali. Il tema della innovazione democratica può quindi premettere un contributo complementare e parallelo al processo che nelle sedi istituzionali si è avviato e può arricchirlo con un contributo senz'altro utile.
È anche la specifica composizione dell'iniziativa che fa capo alle tre diverse Fondazioni, con la loro specifica estrazione, che alimenta il valore di questo contributo, rivolto a sviluppare una sinergia in vista del bene comune del Paese, per suggerire idee, metodi e approfondimenti utili al processo di riforma....

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  1. Crisi della democrazia italiana. Riforma o innovazione?
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