Sono Chiesa anch'io
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Il ruolo dei laici e il rinnovamento

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Il ruolo dei laici e il rinnovamento

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La storia del laicato si sviluppa a partire dalla distinzione dell'unico corpo di Cristo in tre ordini (laici, monaci e chierici) formalmente riconosciuti nei sinodi della chiesa carolingia del sec. VIII e IX, dopo essere stati già enunciati dai Padri nei loro scritti. Una distinzione che nella chiesa altomedioevale non appare immediatamente come una separazione tra coloro che partecipano alle cose sacre e quelli che, vivendo nel secolo, vengono esclusi dalla pratica di quelle virtù cristiane che aprono la vita del credente alle beatitudini evangeliche. Solo il lento ed inesorabile processo di clericalizzazione della chiesa dal sec. XI ha portato ad una separazione dei chierici dai laici, riassunta in sintesi nell'opera giuridica di Graziano che per la prima volta distingue il popolo di Dio in due generi, sottolineando il rapporto problematico tra battezzati rispetto una diversa partecipazione dei singoli cristiani alla vita della chiesa. Dal bisogno di difendere le prerogative del clero per quanto riguarda la predicazione nella chiesa bassomedievale, fortemente rimodellata dalle riforme gregoriane, emerge l'immagine di un laicato interessato al recupero del messaggio evangelico per il quale venne dichiarato molto spesso eretico. Da Lucio III a Bonifacio VIII la chiesa ha visto con sospetto tutti quei movimenti laicali che per ritornare ad una vita cristiana ispirata ai valori evangelici riprendono in mano autonomamente le Sacre Scritture, leggendole in volgare, e predicando al popolo senza autorizzazione delle autorità ecclesiastiche, non facendo alcuna distinzione tra uomo e donna. Furono i movimenti laicali bassomedievali a riconoscere per primi l'uguaglianza tra uomo e donna, e a costituire comunità di fedeli riuniti attorno all'ascolto della Parola di Dio. Il laicato manterrà questa sua vocazione al rinnovamento della chiesa ispirata ad un ritorno alla pratica delle virtù evangeliche sino ai tentativi di rinnovamento della vita ecclesiale dell'umanesimo rinascimento che culminarono nella Riforma. Tutto questo permise al padre domenicano Yves Congar di affermare in pieno svolgimento dei lavori del Vaticano II che il rinnovamento verrà dai laici, riconoscendogli implicitamente questa forza rinnovatrice che ha contrassegnato la storia di questa parte del popolo di Dio tanto a lungo lasciata in disparte nelle decisioni chiave per la vita della chiesa. La teologia sviluppatasi nell'immediato post – Concilio ha riconosciuto la forza di questa storia fatta di uomini e donne raccolti intorno alla Scrittura nel tentativo di dar forma ad una chiesa ispirata i precetti evangelici, recuperando uno sguardo positivo sul mondo dando voce ai travagli dell'umanità attraverso le teologie contestuali (J. Moltmann), e affermando una dignità teologica dell'uomo e della donna come espressione viva di Dio nella storia (K. Rahner).

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788849839128

1. I tre ordini della chiesa: i laici, i monaci e i chierici (sec. IX-XI)

I TRE ORDINI CHE VIVONO NELLA CHIESA DELLA RIFORMA CAROLINGIA

La distinzione in ordini (ordines) del popolo di Dio non è una particolarità dalla chiesa altomedievale ma appartiene già alla riflessione dei padri, come Agostino, Ambrogio sino a Gregorio Magno, mentre specifico del secolo IX è lo sfondo primotestamentario attraverso cui viene riletta l’appartenenza dei membri del popolo a questo o a quell’ordine.
Per sfondo primotestamentario intendo il ricorso che la chiesa altomedievale fece al Primo Testamento come fonte di diritto, secondo una precisa teologia della sostituzione che prevedeva una diretta successione della chiesa, il nuovo Israele (regno carolingio), alla monarchia davidica. Questo ha comportato lo sviluppo di un’ecclesiologia, estranea alla sensibilità moderna, che prevedeva una sovrapposizione della figura del re con quella di Davide e dei vescovi con quella dei profeti. Inevitabilmente il nuovo assetto sociale e religioso che andava prendendo forma dalla teologia monarchica primotestamentaria portò come risultato a una chiesa sottoposta all’autorità del re a cui corrispose, come correttivo, un potenziamento delle sedi metropolitane, cioè delle chiese più importanti di una provincia ecclesiastica, nel governo delle comunità cristiane locali.
Due episodi potrebbero essere ricordati per entrare nel clima di contaminazione culturale tra determinate visioni della chiesa (forma ecclesiae) e tradizione biblica che animò l’Alto Medioevo latino, la condanna del sacerdote scozzese Clemente al sinodo di Roma del 745 e l’opera di Freculfo di Lisieux, autore di un Chronicon redatto con l’esplicita intensione di dichiarare la continuità tra monarchia davidica e dinastia carolingia.
Clemente è un presbitero di origine scozzese che il 25 ottobre del 745 durante la terza sessione del sinodo di Roma venne condannato perché, tra le altre cose, era ritenuto reo di aver affermato rifacendosi al giudaismo (Iudaisumus inducens) che per un cristiano era lecito, quando lo ritenesse opportuno, prendere in moglie la vedova di suo fratello. È evidente che Clemente si rifà alla legge dell’evirato presente nei libri legislativi del Primo Testamento, e che questa scelta è coerente con la storia della chiesa da cui proviene, quella delle isole del nord da dove ripartì l’evangelizzazione del continente.
Nell’VIII secolo tra le chiese insulari quella d’Irlanda diede vita a una serie di testi legislativi la cui fonte maggiore è il Primo Testamento, la Collezione Irlandese (Collectio Hiberniensis) e il Libro tratto dalla legge mosaica (Liber ex lege Moysi), quest’ultimo collezionato tenendo presenti i precetti morali dell’Esodo, del Levitico, dei Numeri e del Deuteronomio.
Il ricorso alla legislazione giudaica non risulta essere una novità assoluta avendo un precedente nella Raccolta di leggi Mosaiche e Romane (Mosaicarum et Romanarum legum collatio) del secolo IV, ma la storia del diritto nel passaggio tra Tardo Antico e Alto Medioevo rivela la ricerca di una nuova unità del corpo civile che tenesse conto della tradizione cristiana, come elemento unificante tra i regni romano barbarici, e ciò che rimaneva del diritto romano non giustinianeo sopravvissuto alla caduta dell’impero d’occidente, al fine di realizzare quella civiltà cristiana a cui aspira tra VIII e IX secolo il regno carolingio.
In questo ambizioso progetto si inserisce la Cronaca di Freculfo di Lisieux († 853), redatta dopo l’824 che offre, sul modello degli storici costantiniani, una visione unitaria della storia della salvezza che parte dai racconti della creazione e arriva a Carlo Magno quale nuovo Salomone, e al regno dei carolingi come nuovo Israele. L’avvento dei carolingi sui regni romano barbarici viene presentato come momento di restaurazione dell’ordine dopo la caduta dell’impero.
Freculfo nel prologo della sua cronaca del mondo cita più volte Rabano Mauro († 856), monaco e maestro alla scuola di Fulda, per la sua opera esegetica e in particolare per il commento completo ai libri del Primo Testamento. Lo scopo di tale elogio è facilmente rintracciabile nelle stesse parole di Freculfo, il quale insiste sulla necessità di commentare quei libri biblici fino ad allora sconosciuti per, scrive il vescovo di Lisieux, convertire il nostro occidente in oriente, perché la Giudea sia un Paese vicino all’occidente, e gli Israeliti possano essere i confinanti dei Bretoni.
In questo contesto è allora evidente che la teologia della sostituzione per la chiesa altomedievale non costituisce solo un tema di ecclesiologia ma un vero progetto politico all’interno del quale gli ordini concorrono all’edificazione di un’unica civiltà cristiana.
Il richiamo di Freculfo a Rabano Mauro diventa indispensabile per comprendere come all’interno della riforma carolingia del clero e della società il ricorso alla figura del Popolo di Dio, e alla sua articolazione primotestamentaria, prenda lentamente corpo. Infatti, dopo l’opera di Beda il Venerabile (637-735), monaco di Wearmouth in Northumbria, che riconosce il triplice ordine formato da vescovi, monaci e laici stabilendo come norma distintiva il merito pastorale allo stesso modo di Agostino, e di Bonifacio († 754), l’apostolo della Germania, il quale riconosce che diverse sono le dignità attribuendo a ciascun membro del corpo di Cristo un suo ufficio o funzione, è Rabano Mauro col suo trattato sull’educazione dei chierici dell’819 che si fa interprete non solo di una precisa visione della chiesa elaborata dai Padri, ma di quanto era stato deliberato durante la dieta di Aquisgrana tenuta tra l’818 e l’819, dove è sancita la divisione del popolo cristiano in tre ordini o stati: laici, monaci e chierici. Tra le decisioni prese alla dieta di Aquisgrana la più rilevante riguardava l’elezione del vescovo, che competeva alla diocesi e ai monasteri mentre rimaneva prerogativa dell’imperatore l’acconsentire all’elezione e all’investitura.
Rabano Mauro risulta convenzionale quando scende nei particolari dando una definizione dei singoli ordini che vivono nella chiesa, citando come ogni buon enciclopedista del suo tempo le definizioni di Isidoro di Siviglia, meno convenzionale è nel presentare la sequenza degli ordini aprendo la lista con i laici a cui fanno seguito i monaci e infine i chierici. Questa divisione si ritrova nei Sinodi celebrati nei primi decenni del secolo IX, e sembra aderire bene alla visione primotestamentaria considerando che nell’ordine laico sono inclusi il re e i principi i quali esercitano un potere temporale sulla chiesa, e avendo incluso nel solo ordine dei chierici anche i vescovi, ai quali Rabano dedicherà il capitolo quinto del primo libro, dove viene delineato l’ordine gerarchico dei vescovi al fine di garantire il governo autonomo di una provincia ecclesiastica.
Nel secolo IX l’attenzione all’ordine dei laici va di pari passo con la stesura di norme dettagliate per i vescovi, come nel caso di Giona di Orleans (c. 780-c. 843), il quale pur scrivendo un fondamentale trattato sulla formazione dei laici in tre libri, uno sulla formazione del re e della corte, ha già ben presente il ruolo dell’ordine episcopale. In questo Giona è preceduto solo da Paolino di Aquileia († 802), il vescovo che fu chiamato a combattere l’adozionismo nella Marca Spagnola, che raccoglie in un unico volume un insieme di esortazioni rivolte ai principi e ai potenti, con l’intento di aprire la via della perfezione evangelica anche ai non chierici o a coloro che non si erano ritirati in monastero, con la volontà di superare le divisione tra gli ordini.
Il fatto che l’ordine laico crescesse nella consapevolezza di un suo ufficio che non fosse unicamente quello che la storia gli ha consegnato nei termini dello stato di coniugati, rispetto ai chierici e ai monaci, lo dimostra il manuale per l’educazione dei figli di Dhuoda (c. 803-843), moglie di Bernardo di Settimania conte di Autun, l’unica scrittrice donna del secolo IX di cui ci è pervenuta notizia.
Lo scritto fu steso tra il dicembre dell’841 e il febbraio dell’842 dedicandolo al figlio maggiore Guglielmo, e rappresenta nel suo genere uno degli esempi più maturi tra le opere ascrivibili ai vari manuali per l’educazione stesi in quegli stessi anni da chierici e monaci. Dhuoda dimostra un’ottima padronanza della Bibbia e dei Padri, nell’elaborazione di un percorso pensato per spiegare al figlio il giusto rapporto da tenere verso Dio e da osservare con i superiori terreni, senza tralasciare la via delle beatitudini.
La figura e l’opera di Dhuoda rimane un interrogativo aperto sulla coscienza che l’ordine laico avesse di se, per il semplice fatto che a fronte di una produzione prevalentemente religiosa di manuali per la disciplina spirituale dei tre ordini, è un membro dello stesso ordine laico, una madre preoccupata per l’avvenire dei suoi figli rimasti prematuramente orfani, a redigere autonomamente dagli ambienti clericali un testo capace di spaziare dagli equilibri sociali all’esercizio delle beatitudini, fino ad allora ritenute di appannaggio dei soli monaci e chierici con la sola eccezione di Paolino di Aquileia.
Tra l’VIII e il IX secolo i tre ordini, lentamente disciplinati attraverso manuali diretti a indirizzarne la vita spirituale e a precisarne le competenze, non vivono propriamente quel clima di contrapposizione che contraddistingue la vita della chiesa dal secolo XI, al contrario la teologia della sostituzione chiesa - Israele sul piano politico, almeno in un primo momento, garantì la possibilità che dalle rovine dell’impero fosse possibile arrivare a una nuova unità dell’occidente, mentre sul piano religioso favorì lo sviluppo, se pur nelle differenze degli uffici, degli ordini chiamati a formare l’unico corpo di Cristo.

LE CONFRATERNITE DEI LAICI E LA CITTÀ TRA CHIESA E ISTITUZIONI CIVILI

In oriente si assiste a un processo analogo a quello che si è potuto osservare per la chiesa latina, con la sola differenza che la partecipazione dei laici alla vita della chiesa ha una tradizione più consolidata e più antica.
La chiesa bizantina dal 691 fu impegnata in un serio processo di specificazione del ruolo del clero e del laicato, con l’intento di sottolineare per i primi la necessità che la condotta di vita fosse irreprensibile come richiesto dal proprio particolare servizio all’altare, mentre ai secondi era fatto esplicito divieto di non usurpare attività proprie degli uomini di Chiesa e di non occupare i luoghi riservati ai chierici nei luoghi di culto.
Il provvedimento pur creando una distinzione nelle funzioni e nelle prerogative di ciascun stato rivela anche una certa osmosi tra i due tanto che rischiavano spesso di sovrapporsi nelle cose sacre quanto in quelle socio - economiche, rivelando che gli ordini nella chiesa bizantina quanto in quella latina non vivevano in una condizione di separatezza quanto in una sorta di reciproco scambio.
Nel VII secolo il laicato nel mondo bizantino conosceva una forma di partecipazione alla vita ecclesiale attraverso le diaconie o associazioni di zelanti, il cui scopo era caritativo o devozionale, come nel caso della difesa del culto delle immagini durante il lungo periodo segnato dall’iconoclasmo.
L’aspetto caritativo era quello che maggiormente incideva sull’organizzazione della vita civile; a tale proposito Leone VI alla fine del IX secolo ebbe modo di osservare come la generosità delle persone pie sopperisse all’impossibilità delle istituzioni a far fronte ai bisogni delle fasce più deboli.
Queste associazioni di laici normalmente rimanevano sotto la protezione di una chiesa particolare o di un monastero, pur tuttavia mantenendo una propria fisionomia nello strutturare la vita fraterna. Un caso particolare è costituito dallo statuto di una diaconia pervenutoci tra le lettere Teodoro Studita, redatto tra l’VIII e il IX secolo, quando Teodoro era impegnato nella riforma del monastero di Studios.
Per la diaconia degli abbandonati dalla provvidenza si apre ricordando ai lettori che l’esercizio della provvidenza si impone agli uomini in virtù del fatto di essere stati creati a immagine e somiglianza di Dio il quale dispensa su ogni cosa la sua provvidenza e bontà. L’associazione nasce dunque da un motivo teologico con lo scopo di seppellire i morti che non hanno avuto o per povertà o perché di gente straniera, una sepoltura. I laici in questione hanno l’obbligo morale di essere la provvidenza dei corpi abbandonati dalla provvidenza, ossia dei morti. A tale scopo ogni membro, secondo le sue possibilità, è invitato ad accantonare dagli introiti delle proprie attività una somma sufficiente per comperare sepolture.
Il compito della diaconia non è tutto, ogni membro deve sottostare a una regola che prescrive molto semplicemente di far propri i consigli evangelici. In questo testo in nessun modo si fa riferimento all’intervento del clero nella vita dell’associazione, mentre impegna i suoi membri a dare degna sepoltura ai morti lasciati insepolti per la città di Costantinopoli, sostituendosi in questo sia alla chiesa che alle istituzioni civili.
Queste associazioni caritative di laici sorte tra il VII e il IX secolo nella chiesa bizantina in qualche maniera rappresentano un’anticipazione di quanto avverrà nella chiesa latina durante il Basso Medioevo. Sembra esserci una certa consonanza tra la comparsa delle confraternite laiche nella chiesa e lo sviluppo delle città.
La chiesa latina che per ovvi motivi ha vissuto lo sviluppo delle città soprattutto con il fenomeno dell’inurbamento nel Basso Medioevo, offre un esempio simile alla diaconia di laici della chiesa bizantina. Un esempio ci viene dall’associazione laicale di Giovanni Colombini (1304-1367), ricco mercante e banchiere senese che nel 1360 fondò i Gesuati, una libera compagnia di la...

Indice dei contenuti

  1. Sono Chiesa anch’io
  2. Colophon
  3. Indice
  4. Premessa
  5. 1. I tre ordini della chiesa: i laici, i monaci e i chierici (sec. IX-XI)
  6. 2. La chiesa dei laici e l’invenzione delle eresie urbane (sec. XII-XIV)
  7. 3. Pluralità teologica e plurilinguismo ecclesiale (secc. IX-XVI)
  8. 4. Una chiesa alla scoperta dell’umanità
  9. Epilogo
  10. Nota bibliografica