Gli equilibristi
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Quali sono le attività principali svolte dal Dirigente Scolastico nella sua quotidianità professionale? Quali e quanti ruoli si trova "costretto" a recitare? Quanto interagisce e quali comportamenti adotta nel rapporto con docenti, personale ATA, studenti e soggetti esterni al campo scolastico? Che rapporto instaura con il Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi e con gli altri suoi più stretti collaboratori?Lo studio raccontato in questo libro, promosso dalla Fondazione Giovanni Agnelli, prova a rispondere a queste domande. Sulla scia dei suoi precedenti studi, Massimo Cerulo segue "come un'ombra" quattro Presidi di scuole secondarie superiori in quattro regioni italiane (Piemonte, Veneto, Calabria, Puglia) raccontando e analizzando comportamenti, dialoghi, interazioni, non detti. Il risultato è un'innovativa ricerca sociologica che focalizza lo sguardo su una delle figure professionali più discusse degli ultimi mesi nonché sul mondo della scuola italiana il quale, come un paesaggio impressionista, spesso varia in base al contesto locale in cui ci si trova.

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Informazioni

1. Nord-Ovest. Piemonte. Liceo scientifico(Torino)

Lunedì, 13 ottobre 2014. Ore 8:05.
Pioggia.
Cortile e androne vuoti e una bidella che mi fissa dall’interno di una chiostrina. È la custode dell’ingresso. Mi avvicino con cautela. Mi presento: «Ho appuntamento con la Dirigente». Indifferenza mista ad abitudine: mi chiede di lasciarle un documento di identità e mi fornisce le indicazioni per raggiungere la Presidenza. Devo percorrere due corridoi e poi, ancora, due rampe di scale. Nel tragitto ascolto un silenzio lancinante: porte delle aule chiuse, immagino gli studenti all’interno ma non riesco a percepire una voce. Da non crederci, considerando che mi trovo in un liceo scientifico da oltre mille studenti.
Salendo le scale aumentano le voci. Capisco che sto abbandonando l’area didattica per entrare in quella amministrativa. Apro una tagliafuoco, sbuco in un corridoio e vengo invaso da parole un po’ inaspettate: «Eccola! Iniziamo subito, nonostante questo tempo: sarò osservata e alla fine, forse, mi daranno il voto!».
Mi accoglie così la prima Dirigente “vittima” della mia osservazione-shadowing. Ci incontriamo di fronte alla Presidenza, mentre è intenta a dialogare con quello che scoprirò essere il Vicepreside (detto anche primo collaboratore o vicario). Gentile e calorosa, vestita di scuro, elegante: pantaloni, giacca, foulard. Mi invita ad accomodarmi in Presidenza, a posare soprabito e ombrello, mentre continua a dialogare col collega.
Mentre cerco di ambientarmi, innanzitutto spazialmente, colgo uno stralcio di dialogo: «… sulla scuola se ne sentono tante, ci sono diverse storie e interpretazioni, non sempre corrispondenti alla realtà. La scuola viene vista spesso come un monolite, sempre uguale a se stessa o all’interno della quale, da fuori, non si può guardare: e quindi giù con stereotipi negativi spesso non corrispondenti alla realtà».
Poi, rivolta a me: «stia certo che in questa settimana ci comporteremo come sempre, proprio come facemmo quando, tempo fa, venne un ispettore del Ministero. Ai docenti che mi chiedevano lumi dissi chiaramente che nessuno di noi doveva indossare il “grembiulino” o l’abito buono: bisogna comportarsi come sempre. La scuola è questa ed è aperta a chiunque voglia osservarla».
La Presidenza è una stanza grande, dalle alti pareti. La struttura mi sembra risalga agli anni Settanta. Noto tre sedie-poltrone in pelle color bordeaux, una per la Dirigente, due per i suoi interlocutori. La stessa pelle compare anche su due sedioline sistemateagli angoli dell’ufficio, su uno sgabello e una sedia mobile, sui lati della grande scrivania, su quattro mobili ad ante situati dietro la Dirigente e al suo lato destro. Su quest’ultima sono presenti telefono, stampante e laptop, riproduzioni in legno di figure geometriche, portapenne e carte, documenti ordinatamente accatastati su alcuni lati della scrivania, una piccola riproduzione della Mole Antonelliana. Dietro la sedia della Dirigente due grandi bandiere, dell’Italia e della Ue. Due ampie finestre affacciano sul cortile. Ecco poi ancora un fax, un estintore, due telefoni dall’aria vintage, diverse coppe testimonianti affermazioni sportive e non, molti libri su scuola, qualcuno su università. Di fronte alla Dirigente un grande armadio contenente altre coppe e una grande foto dei professori del liceo che credo abbia diversi anni. Pareti alquanto spoglie, noto solo un attestato di merito incorniciato, la mappa della struttura con le uscite di sicurezza, un piccolo disegno a matita che riproduce un eroe antico nell’atto di difendersi con un grande scudo.
8:10. Il collaboratore si congeda, forse un po’ dubbioso sull’osservazione, e noi ci accomodiamo nell’ufficio: io, da ombra, occupo l’angolo destro dove è situata una sedia in pelle che fungerà da punto privilegiato di osservazione per tutta la settimana. Improvvisamente, da un’altra porta situata all’interno della Presidenza, ecco entrare la Dsga11: piglio autoritario e deciso, occhi vispi e mobili, sarà molto spesso presente nell’ufficio della Dirigente. Soprattutto, capirò che rappresenta un validissimo aiuto e un punto di riferimento nello sbrigare pratiche di diverso tipo, non solo contabili. Iniziano a discutere di una serie di argomenti. Vado in ordine sparso:
- Gita scolastica con problemi annessi. Dirigente: «Hai visto? Sono tornati da Vichy».
Dsga: «Sì, ma ci sono stati problemi: hanno fatto il bagno, sono stati segnalati». D.: «Il bagno? Nell’acqua?».
Dsga: «E sì…».
D.: «Con questo freddo?».
Dsga [laconica]12: «Sono stati segnalati [forse sospesi, non capisco bene]. Ora se ne discuterà al Consiglio di Classe».
- Una serie di documenti accatastati in bella vista sulla scrivania che devono essere spediti. La Dsga chiede se possa prenderli. La Dirigente si alza e li controlla personalmente. La Dsga mostra un pacco postale a mo’ di esempio e chiede conferma che vada bene come contenitore per le spedizioni.
Dsga: «Va bene così?» [Mostrandolo].
D.: «Direi di sì».
Dsga: «Allora lo preparo» [esce].
La Dirigente si mostra attentissima ai dettagli: evidenzia un controllo completo sulle azioni da svolgere (o almeno su quelle che vengono sottoposte alla sua attenzione).
- Documenti ministeriali e convocazione organi.
D.: «Io dovrei fare l’informativa. Ho bisogno dell’accertamento».
Dsga: «Sì, ce l’ho presente».
D.: «Quest’anno voglio tenere i tempi…».
Discutono poi sulla convocazione dei vari Consigli di Classe, Consiglio di Istituto, Giunta Esecutiva e Collegio dei Docenti.
- Questioni scolastiche.
Dsga: «Ieri ho letto un articolo su “Il Sole 24Ore” a proposito dei nuovi tagli che riguarderanno la scuola e la probabile riforma dell’Esame di Stato. Ci sarà commissione esclusivamente interna».
D. [si leva gli occhiali da vista per dare spazio a stupore e rabbia montanti]: «Ma che la smettano! Tanto vale che lo eliminino del tutto. Che senso ha che i ragazzi incontrino gli stessi docenti che li hanno seguiti ed esaminati per tre anni e che, due settimane prima, li hanno valutati a conclusione del ciclo di studi? Capivo la commissione esterna per il 50% dei docenti: aveva senso, in una duplice prospettiva: 1) per i ragazzi, perché erano stimolati a “preparare” un esame con docenti non conosciuti, iniziavano a praticare la “seduta d’esame” che poi li riguarderà negli studi universitari; 2) per i docenti, perché incontravano colleghi di altre sedi e, di conseguenza, modalità diverse di insegnamento e rapporto alla materia… Uno dei rischi che la scuola veicola è quello di contestualizzarsi troppo: l’insegnamento non esiste soltanto nella modalità in cui viene proposto all’interno della nostra scuola, è solo uno dei tanti modi di trasmetterlo. Bisogna decontestualizzarsi per imparare e, per farlo, è necessario confrontarsi con altre realtà. Che lo eliminino, l’esame, se si ritorna alla commissione interna. A chi interessa così? Soltanto a chi è iscritto all’albo… Vabbè, comunque aspettiamo di commentare le novità quando arriverà l’ordinanza sugli Esami di Stato».
Dsga: «Io ho letto così sull’articolo…» [con decisione mista a indifferenza].
- Bandi.
Dsga: «Stamattina dobbiamo emanare il bando inerente al posto di psicologo».
D.: «È già pronto, ma aspettiamo un attimo» [con voce ferma e decisa, come di chi sa il fatto suo].
Dsga: «Ora chiamo il direttore amministrativo della scuola X per capire come si regolano».
Poi, improvvisamente, il viso della Dsga ha un sobbalzo e io apprendo un termine che ritornerà per tutta la settimana: MePa13.
- Acquisto di materiali didattici.
La Dsga lamenta un ritardo inerente all’acquisto di alcuni pennarelli e altra strumentazione: «Assurdo. L’azienda mi ha risposto chiedendomi cosa cercassi, così avrebbero potuto inserire il prezzo sul MePa. Ma io mica voglio un trattamento di favore! Voglio semplicemente acquistare gli strumenti di cui abbiamo necessità. E invece bisogna ascoltare queste interpretazioni qui. Ma il Ministero crea regole molto, molto teoriche e non si rende conto che non reggono alla prova della realtà. E poi c’è il CIG, il DURC14 e i soliti problemi. [Nel Mercato della Pubblica Amministrazione (MePa) l’istituto pubblico può (leggi: deve) acquistare le strumentazioni che gli sono necessarie: dai personal computer ai pennarelli, appunto. Ad esempio: si entra nel sito del MePa con le proprie credenziali, si inserisce il modello del laptop da acquistare e il sistema fornisce un elenco deirivenditori-aziende che ne dichiarano la disponibilità con i rispettivi prezzi praticati. Si è obbligati ad acquistare il prodotto dall’azienda che lo propone al prezzo più basso. In tal modo, la scuola riduce le spese per gli acquisti perché ha il vantaggio di acquistare il prodotto di cui ha bisogno al prezzo più vantaggioso presente sul mercato. Tale sistema consente anche il coinvolgimento nell’acquisto di un’azienda “amica” o “conosciuta”: ad esempio, se io – docente o tecnico scolastico o universitario – ho un’azienda con cui collaboro o con la quale lavoro da tempo, posso avvisarla della mia necessità e tipologia di acquisto e dei prezzi che trovo sul MePa, così le è sufficiente inserire sul sito il prodotto che mi serve a un euro in meno dell’offerta più economica e il gioco è fatto: mi trovo così “costretto” ad acquistare il prodotto dalla suddetta azienda. Il tutto è legale e consente una razionalizzazione degli acquisti a vantaggio del risparmio15].
- Cortesie tra colleghi.
Dsga: «Sabato mi ha telefonato la tua amica docente, quella che non sta bene».
D. [dopo un attimo di smarrimento]: «Ah! Com’è andata?».
Dsga [con aria serafica]: «La normativa, il sito, il Ministero, il link, ecc.». [È la sicurezza con cui la Dsga pronuncia le frasi che mi impressiona. Trasuda esperienza e sicurezza del ruolo: si staglia come una sorta di detentrice delle chiavi dei sistemi burocratici, nonché di competenza e sapere tecnico-pratico. Mi chiedo: cosa succederà quando le toccherà andare in pensione? Chi mai potrà sostituirla? La competenza che manifesta in diversi ambiti (sarà così per tutta la settimana) appare ai miei occhi come frutto dell’esperienza maturata nel tempo, e non come una cassetta degli attrezzi acquisita “semplicemente” attraverso studi e corsi di formazione e aggiornamento16].
Nel mentre squilla il telefonino della Dirigente e, da non crederci, è proprio la sua amica di cui si parla. Capisco che non sta bene per davvero, si trova al Pronto Soccorso o comunque in ospedale. Appunto alcuni termini ascoltando la telefonata della Dirigente: «chiamate da effettuare, DM 2006, graduatorie». La Dirigente conferma all’amica il suo aiuto e tutta la sua disponibilità. Poi le squilla il telefono fisso e saluta con sentimento la donna. In realtà, ignora il nuovo squillo e si rivolge alla Dsga [prendo appunti ma capisco poco]: «Era proprio la mia amica, ha il problema di questa supplenza. Pare che, siccome i giorni sono 23, lei debba chiamare… ».
Dsga: «La so la storia…».
D.: «Loro hanno l’obbligo di chiamare in giornata».
Dsga: «Aboliranno anche questo: la supplenza per un giorno. L’ho letto sempre sull’articolo de “Il Sole”».
D.: «Beh, con l’organico funzionale17 potremmo risolvere facilmente il problema…».
Dsga: «Organico funzionale? Qui non ci sono soldi, vivete fuori dalla realtà?». La Dirigente sorride e guarda complice la Dsga che ricambia, poi esce dalla Presidenza, come attirata da qualcosa. Incontra una donna fuori dall’ufficio, credo sia una docente, alla quale, camminando, chiede: «Avete notizie del corso in lingua?».
Docente: «Ci stiamo organizzando».
D.: «Bene, perché a gennaio si parte». Scoprirò poi trattarsi dei corsi CLIL, ossia corsi in discipline non linguistiche da tenersi in lingua straniera.
8:57. Entra una donna sui 40 anni. Era stata annunciata da una bidella. È la mamma di uno studente che vorrebbe che suo figlio usufruisse della possibilità (offerta dal liceo) di trascorrere alcuni mesi di studio all’estero. La Dirigente le conferma che è possibile e, nel giro di cinque minuti, le fornisce informazioni e dettagli che spingono la mamma a tirar fuori dalla borsa un taccuino e prendere appunti: «proprio la settimana scorsa abbiamo fatto una riunione al liceo classico Y. C’è anche il Rotary che appoggia questa iniziativa così come altre associazioni. Ma, sia chiaro, io non voglio sponsorizzare nessuno. Lei è autonoma nella scelta e nella costruzione del programma di viaggio… In questo periodo vi è uno scambio in corso: noi ospitiamo una ragazza norvegese, mentre una nostra studentessa è andata in Portogallo. Ma veniamo ai dettagli: potete scegliere il periodo di studio da far seguire al ragazzo all’estero. Trimestrale, semestrale, annuale. Seguiamo le direttive europee. Noi consigliamo l’opzione semestrale o annuale, perché quella trimestrale si rivela spesso una sorta di vacanza lunga. Se considera le difficoltà di ambientamento, nuove abitudini, diversa cultura, servono almeno sei mesi per entrare nel contesto. Quando ritorna, a settembre, se sceglie la soluzione annuale sostiene un colloquio con i nostri docenti sui corsi seguiti e sulle attività svolte: in base al colloquio si decide la media di ammissione al nuovo anno. Attenzione però: quello che chiediamo agli studenti è di scegliere un ambito di studi nella scuola estera che sia il più affine possibile al nostro. Poi, è chiaro, sappiamo bene che non possono portarsi il vocabolario di latino dietro, anche se… [pausa sospensiva di qualche secondo, occhi che interrogano memoria] qualche anno fa, in realtà, un ragazzo andò in una scuola nelle Fiandre e lì seguì latino!».
La mamma del ragazzo interviene: «Noi siamo molto convinti e vorremmo che andasse negli Stati Uniti». Sorriso da parte della Dirigente. Ancora la mamma: «Quali documenti sono necessari al rientro in Italia?».
D.: «Allora: dichiarazione di frequenza da parte della scuola ospitante, da tradurre ufficialmente, ossia sottoporre a procedura di asseverazione; scheda con valutazione delle materie frequentate e crediti riconosciuti; programmi seguiti, in questo caso va bene anche autocertificazione [pausa. Occhi che pensano. Mani che giocano tra loro]. Ci sono ragazzi che si diplomano all’estero. Ma, in linea di massima, sono pochissimi gli studenti che non frequentano l’ultimo anno qui. Anche perché nel corso del quintoanno sono seguiti e preparati nella scelta del corso di laurea e nel percorso di avvicinamento all’università».
[Nel frattempo, si avvertono rumori fortissimi provenienti dal piano di sopra, come se fosse in atto un trasloco. Scoprirò in seguito che si tratta del cambio ora e il frastuono è dovuto al movimento di studenti. Ecco la mamma che alza la testa dal taccuino]. «Se non seguo l’agenzia posso fare tutto da sola? Una scuola vale l’altra?».
D. [sempre sorridente]: «Sì, l’importante è che sia una scuola riconosciuta e che possa quindi certificare l’esperienza. E che offra materie affini. Nel nostro piano dell’offerta formativa, a pagina 7 o 8 [le pagine a memoria!], raccomandiamo l’affinità delle materie».
[A questo punto la Dirigente viene fulminata dal ricordo di un progetto sperimentale che dovrebbe partire, sulla carta, in gennaio, ma che in realtà naviga ancora nella nebbia. E si lancia nella spiegazione a nostro beneficio. Il progetto ministeriale in questione si chiama CLIL, acronimo inglese che sta per Content and Language Integrated Learning e vuol dire insegnamento di una materia non linguistica in lingua straniera, prevalentemente in inglese. Il problema però è che il Ministero non ha chiarito le modalità di svolgimento e l’Ufficio Scolastico Regionale ha soltanto diffuso la normativa senza dare ulteriori indicazioni (tale mancanza di comunicazione tra scuola e uffici locali, regionali e ministeriali sarà un trait d’union nel corso delle osservazioni). Quello che si sa è che i docenti volontari, e sottolineo volontari, che intendono insegnare in lingua devono possedere un livello certificato alto(ad esempio, per l’inglese deve essere il “B2”) e sostenere circa 400 ore di formazione metodologica. La Dirigente chiarisce di avere ben 4-5 docenti volontari che, al momento, frequentano i corsi di formazione].
D.: «Non c’è un indirizzo uniforme a livello regionale. Ci stiamo confrontando tra scuole. Io ho fatto anche richiesta di lettori di madrelingua per affiancare il docente nel corso della lezione e facilitare le cose…» [pausa. Forse si aspetta che noi diciamo qualcosa. Io...

Indice dei contenuti

  1. Gli equilibristi
  2. Colophon
  3. Prefazione
  4. Introduzione
  5. 1. Nord-Ovest. Piemonte. Liceo scientifico (Torino)
  6. 2. Nord Est. Veneto. Istituto tecnico-professionale (Provincia di Treviso)
  7. 3. Sud Ovest. Calabria. Liceo scientifico (Area urbana cosentina)
  8. 4. Sud Est. Puglia. Istituto tecnico-professionale (Bari)
  9. 5. Analisi e commenti (di ritorno dal campo)
  10. Bibliografia
  11. Indice