Marco Tullio Giordana
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Marco Tullio Giordana

Una poetica civile in forma di cinema

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Marco Tullio Giordana

Una poetica civile in forma di cinema

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Il cinema di Marco Tullio Giordana in rapporto con la Storia, dal Fascismo alle rivolte sessantottine, dalla violenza negli stadi al fenomeno dell'immigrazione in Italia, dal terrorismo degli anni Settanta alla lotta contro le mafie. Un cinema civile che non rinuncia però a canoni espressivi frutto di un'approfondita riflessione estetica, di una passione accentuata per la letteratura e la musica e di un costante lavoro sullo stile filmico. L'analisi dei vari temi si avvale di riflessioni teoriche su realismo e postmodernismo, cinema d'autore e cinema di genere. Inoltre evidenzia un'osmosi feconda tra realtà storica e finzione nell'ambito di una più complessa visione della storia collettiva e dell'umanità del singolo, senza dimenticare la figura femminile. La lezione di Gramsci si combina con la poetica pasoliniana in un cinema che mette in gioco rimozioni, desideri di rinascita e aneliti a una bellezza forse perduta per sempre.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788849851892

Tra Salò e i segreti di Stato

L’interesse da parte di Marco Tullio Giordana verso la Storia italiana non si limita agli anni Sessanta e Settanta. Il regista, pur ritornando ai tumultuosi anni di piombo nella sua produzione più recente (lo vedremo con Romanzo di una strage, 2012), in realtà, sin dai tempi di Maledetti vi amerò (1980) e La caduta degli angeli ribelli (1981), è attratto anche da un altro periodo storico critico per l’Italia: gli anni della Seconda Guerra Mondiale e della cosiddetta guerra civile. Una guerra in cui la Resistenza combatte contro un Fascismo rinvigorito dalla creazione della Repubblica di Salò.
Questo periodo viene ritratto in Notti e nebbie, miniserie televisiva del 19841 e, a distanza di poco più di vent’anni, nel film per il cinema Sanguepazzo (2008). Entrambe le opere evidenziano temi e atmosfere del cinema di genere, in particolare il melodramma2, presenti ne La caduta3 e, nel caso di Notti e nebbie, anche di un certo noir americano4. Allo stesso tempo, sia Notti e nebbie che Sanguepazzo sono ispirati dal cinema neorealista; in entrambi i film, infatti, si riscontra una spiccata attenzione alla realtà politico-sociale (in Sanguepazzo anche attraverso immagini di repertorio) in cui si ambientano le vicende.

Notti e nebbie, ovvero il dramma psicologico della guerra civile

Non c’è dubbio che il periodo del Fascismo e della Resistenza abbia suscitato notevole interesse da parte della cinematografia italiana a partire dal dopoguerra fino ai nostri giorni, con produzioni di film abbondanti nell’immediato dopoguerra, durante gli anni Sessanta e i primi anni Settanta e con un calo produttivo negli anni Cinquanta, Ottanta e Novanta. Il cinema che ha guardato al ventennio mussoliniano si è reso, a detta di Maurizio Zinni, un indicatore sensibile dell’evoluzione del contesto politico, sociale e culturale del Paese, un «elemento di verifica estremamente utile e significativo per documentare l’evoluzione del rapporto tra società italiana e passato fascista»5. La seconda metà degli anni Settanta vede, come accennato, una contrazione della produzione cinematografica, contrazione legata sia a una più generale crisi nel settore sia a un calo brusco di motivazioni ideologiche rispetto al passato6. Come rileva Zinni, richiamando la lezione di Nicola Gallerano, l’ideologia antifascista sbiadì in questo periodo sia per «la sconfitta del movimento del Sessantotto sia per l’ambiguità del suo richiamo, diviso fra terrorismo, che surrettiziamente vi faceva affondare le proprie radici, e i partiti dell’arco costituzionale, che lo avocavano come fondamento dell’unità nazionale»7. Proprio nell’anno 1984, considerato da molti studiosi come «l’ultimo anno in cui cinema e fascismo, anche e soprattutto grazie alle coproduzioni televisive8, continuarono a formare un sodalizio dagli esiti quantitativamente rilevanti»9, viene trasmesso per la TV Notti e nebbie, basato sull’omonimo libro di Carlo Castellaneta (1975)10, in cui il regista ripropone la figura di Bruno Spada (impersonato da Umberto Orsini), un integerrimo commissario della questura di Milano durante il governo mussoliniano. Fascista convinto, non si defila pur essendo consapevole dell’imminente fine del regime, ma assolve ai suoi compiti con disperata coerenza cercando di smantellare la rete clandestina della Resistenza e saggiare la fedeltà dei gerarchi della Repubblica Sociale Italiana nel periodo 1943-45. Mino Argentieri descrive Spada come «un dannato che non s’illude su quel che lo aspetta, un fascista che non si rinnega, [… che] va beffardo e impavido incontro alla morte mentre tutto si decompone» e aggiunge che «entra nel film di Giordana un barbaglio della febbre romantica, che è una costante della cultura fascista e anche un tratto psicologico. L’autore ne è un critico, tuttavia ammagato da Spada»11.
La città dai colori plumbei, nella fotografia di Franco Delli Colli, riflette lo stato d’animo del commissario che appare solitario, disincantato, disgustato dal generale clima di degenerazione ideologica e che si rifiuta di negoziare la propria salvezza, affrontando la sentenza di morte. Le note cupe del Verklärte Nacht, op. 4 di Arnold Shoenberg, e quelle più enigmaticamente melanconiche della Gnossienne n. 1 di Erik Satie, sottolineano le perplessità morali del protagonista e preludono ai momenti più intensi delle sue vicende (per esempio la scena del suo arrivo al covo delle torture comandato da Pietro Koch).
Il film mette in evidenza i tratti più cupi e sadici del protagonista, così come del regime in decadenza, descritto per l’appunto nelle sue “notti e nebbie”, cioè nei suoi aspetti più oscuri e indistinti. Bruno è freddo, segue gli ordini quasi come un automata, frequenta bordelli e prostitute, tratta sua moglie come un oggetto, fa violentare la moglie del partigiano Fugazza (l’attore Maurizio Donadoni, poi capo partigiano “Vero” in Sanguepazzo) e verso la fine del film, in segno della sua persistente instabilità mentale, delle sue abiezioni e delle sue frustrazioni, abusa sessualmente di un’ausiliaria fascista che gli chiede di salvare suo fratello dai partigiani.
Il commissario è anche arrivista e meschino quando cerca di ottenere informazioni segrete sui traditori della Repubblica Sociale o sui dissidenti della Resistenza. Attraverso il suo comportamento e le sue frequentazioni politiche, emergono i mali di un Fascismo ipocrita, conformista e disumanizzante. L’attenzione riservata alla degenerazione del regime fascista, filtrata dal dramma psicologico del protagonista, come pure le esigenze del mezzo televisivo, limitano l’uso di campi larghi a favore di numerosi primi piani di Spada e dei personaggi che popolano il suo mondo in decadenza.
Allo stesso tempo, s’intravedono saltuariamente aspetti più “umani” dell’individualità di questo personaggio, il quale s’intenerisce davanti alle difficoltà della giovane e ingenua prostituta proletaria Noemi (l’attrice Laura Morante), che lui salva dandole un lasciapassare speciale. Bruno mostra segni di disagio verso la propria estrazione sociale (lui proviene da una famiglia povera) e di pietà per i suoi commilitoni (particolarmente per Bonetti), gente di umili origini che ha scelto il regime per sopravvivere senza però capirne le implicazioni ideologiche e morali.
Infine Bruno si scontra orgogliosamente con i tedeschi, dei quali non approva il senso di superiorità e arroganza nei confronti dei fascisti italiani e, progressivamente, comincia a sentirsi disgustato dalle degenerazioni degli ideali fascisti e insicuro sul senso stesso della Repubblica Sociale. In un’altra scena, Spada s’indigna con Magda, modella e prostituta d’alta borghesia (interpretata da Eleonora Giorgi), per la facilità con cui sia lei che il suo amante Bottarini parlano del male («gli ebrei in vacanza in Germania»). In più, quando Spada si ritrova nell’edificio comandato da Pietro Koch, dove si tengono le torture dei partigiani, dimostra apertamente la sua disapprovazione per quei metodi e il suo disgusto per le parole del torturatore, l’altolocato amico Casella, che sostiene l’idea di «una guerra civile che non si vince con i guanti bianchi».
Eppure, nonostante i tratti più “umani” del protagonista, alla fine Bruno, fedele al suo credo fascista, pur convivendo con una crisi morale, si siede e accetta di assistere inerte alle torture inflitte al partigiano appena arrivato, un professore esperto d’opera lirica. Una serie di primi piani di Spada e Casella, che si guardano mentre emerge la distanza del commissario e le evidenti difficoltà del torturatore a sostenere lo sguardo di riprovazione, fanno da contraltare ai particolari della sedia elettrica (la cinta e i manici) e della mano elettrizzata e dolorante dell’uomo torturato. Elementi che indicano la crudeltà della pena in corso. Il tutto senza rumori di sorta ma solo con il commento diegetico di una dolce ballata swing tipica degli anni Trenta, la quale enfatizza, per contrasto, la drammaticità e spietatezza della tortura.
Bruno, inoltre, rinuncia a trattare con i partigiani, si rifiuta di liberare i loro compagni prigionieri, anche se questo potrebbe in futuro salvargli la vita, perché lui non ha potere di far annullare una sentenza e soprattutto perché «le leggi sono leggi e io faccio il mio mestiere».
La scena finale che precede la sua morte è significativa perché mostra il protagonista, ormai spacciato, tra una serie di specchi che nei loro molteplici riflessi sembrano voler mostrare la pluralità delle sfaccettature dell’animo del protagonista e allo stesso tempo della guerra civile stessa, che viene più volte menzionata durante il film12.
L’opera si chiude con la sequenza in bianco e nero della fucilazione di Spada, preceduta da una derisoria messa in scena di spari a salve eseguiti dai partigiani verso il funzionario fascista, proprio come i suoi colleghi fascisti avevano fatto con Fugazza in precedenza. Se la scena all’inizio è accompagnata dalla Toccata della Partita n. 6 BWV 830 di Bach, una suite dal respiro tragico, dopo la sparatoria a salve le immagini di Spada, chinato a terra e disperato, sono immerse nel silenzio più assoluto. Silenzio rotto esclusivamente dal rumore dell’otturatore del mitra, ripreso in dettaglio, che viene ora caricato davvero preludendo a un’esecuzione finale del protagonista.
Notti e nebbie, come accadrà con il successivo Sanguepazzo, s’inserisce nel dibattito sul revisionismo post-bellico per avere in un certo senso “umanizzato” un fascista e in apparenza equiparato, in modo particolare nel finale, le atrocità del regime mussoliniano a quelle della Resistenza13. Tuttavia, un’analisi attenta rivela che il film, considerato nella sua interezza, non mette in discussione la basilare e più legittima comprensione della Storia, cioè le nefandezze e le ingiustizie della dittatura fascista, la degenerazione della Repubblica di Salò, filtrata puntualmente dagli occhi del protagonista, né i meriti generali della guerra partigiana atta a ripristinare la libertà e la democrazia14.
Ciò che, a nostro avviso, emerge dall’opera non è un’equiparazione di virtù e mali tra le due fazioni, ma una visione più complessa e dettagliata del ruolo della Resistenza durante la guerra civile, alla luce di vari studi storiografici15 che rivelano l’esistenza di pratiche illegali e immorali sia da parte dei fascisti sia dei partigiani. La Resistenza, secondo lo storico Claudio Pavone, è un fenomeno stratificato e contraddittorio che i partigiani e i loro capi hanno sperimentato a diversi livelli, secondo le loro specifiche affiliazioni politiche e il nemico da combattere.
Ciò che Giordana sembra voler enfatizzare è la brutalità della guerra e la mancanza di valori morali in situazioni radicali. Le sue domande, al di là di ogni possibile strumentalizzazione politica, sono a detta di Fabio Ferzetti «parte di un processo di verifica della verità senza la quale non c’è né memoria collettiva né pacificazione»16.

Sanguepazzo: riflessioni metacinematografiche sulla settima arte

In una scena di Notti e nebbie, il protagonista Spada si reca al cinema per vedere La bella addormentata (1942) di Luigi Chiarini e si vedono immagini del film in bianco e nero che immortalano due noti attori del tempo, Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, esponenti di spicco del mondo dello spettacolo e del regime fascista17. Non è un richiamo insignificante se si pensa che, in concomitanza a Notti e nebbie, il regista sta lavorando anche a un altro film, completamente dedicato alle figure di Valenti e Ferida. Si tratta di Sanguepazzo ma, all’inizio, il progetto non decolla sia per ragioni economiche che politiche18.
Giordana vi ritorna nel 2008, portando a termine la versione per la televisione e quella per il cinema, rispettivamente per Rai Uno e fuori concorso per il Festival di Cannes19. Nonostante il calo di interesse verso il fascismo registrato durante gli anni Ottanta e Novanta20, all’inizio del nuovo millenni...

Indice dei contenuti

  1. Marco Tullio Giordana
  2. Colophon
  3. Indice
  4. Premessa
  5. Il periodo degli esordi
  6. La centralità pasoliniana
  7. La creazione di un immaginario
  8. Tra Salò e i segreti di Stato
  9. Il valore della persona
  10. Conclusioni
  11. Riferimenti bibliografici
  12. Filmografia