Le storie dei consapevoli ritorni
Sandra Savaglio
L’astrofisica che finì in copertina sul «Time»
Gli occhi lanciati nel buio, a indagare territori sconosciuti, a studiare la cosmologia, le galassie distanti, i pianeti vagabondi, i raggi gamma. Scrutare gli infiniti misteri, a distanze siderali, senza mai concentrarsi sul risultato ma su ogni piccolo passo che porterà, un giorno, a considerare un problema da un altro punto di vista, o a scoprire un dettaglio capace di rovesciare convinzioni fin lì consolidate. Per chi si misura con questi aspetti, cosa volete che sia una traiettoria-boomerang tra Italia, Stati Uniti e Germania e ritorno? Appena una piccola passeggiata, o poco più. Eppure, parliamo di un “caso”: quello di Sandra Savaglio, scienziata di alto profilo, specializzata nell’astrofisica delle galassie distanti, dell’arricchimento chimico dell’universo e dei fenomeni esplosivi. Nata e cresciuta in Calabria, ha all’attivo quasi duecento lavori su riviste internazionali, molti dei quali pubblicati sulle pagine di «Nature» e «Astrophysical Journal», e migliaia di citazioni.
La prima ispirazione le arriva da ottimi insegnanti alle scuole superiori, mentre inizia a fantasticare viaggi incredibili nello spazio leggendo Asimov e gli articoli di «Le scienze». Dopo il dottorato in Fisica all’Università della Calabria, un lungo percorso la porta come Fellow e Senior Research Scientist allo European Southern Observatory (Monaco di Baviera), alla Johns Hopkins University e allo Space Telescope Science Institute (Baltimora). Nel 2004 appare sulla copertina della rivista americana «Time». Il titolo è più che eloquente: How Europe lost its science stars. Talento in fuga, cervello in fuga, simbolo dei 400mila scienziati europei che avevano scelto gli Stati Uniti come frontiera professionale. Primo piano a tutta pagina, sullo sfondo le stelle dell’Unione europea e le strisce degli Stati Uniti, a marcare la transizione.
Dopo venti anni di successi professionali ottenuti in ambienti cosmopoliti, l’ultimo dei quali all’Istituto Max-Planck per la Fisica Extraterrestre, nel Polo europeo di maggiore rilievo nel campo dell’astrofisica, in Germania, Sandra Savaglio fa quello che nessuno si aspetta, chiudendo un cerchio che sa di ascesa e di riconoscenza, di lancio e di ritorno, ma anche di leggera follia e di inattesa rinascita. L’Università della Calabria, proprio quella che l’aveva formata e spinta verso prestigiosi traguardi, nel 2013 decide di giocare un jolly importante e le propone un importante contratto, utilizzando una normativa nazionale che prevede la possibilità di chiamare studiosi stabilmente impegnati all’estero in attività di ricerca o insegnamento a livello universitario da almeno un triennio. Magari è solo un tentativo, o forse no. Perché il fattore «appartenenza», il richiamo prepotente dell’identità, possono avere un ascendente irresistibile perfino per una star della scienza. E se gli argomenti non bastassero a convincerla a spostarsi dalla ricca Monaco e da un Paese, la Germania, che investe moltissimo in ricerca, ad Arcavacata, paesino sulle colline di Rende, provincia di Cosenza, c’è da considerare l’aspetto più decisivo di tutti, ossia la fama assodata del Dipartimento di Fisica, tra i primi in Italia per la ricerca scientifica e il suo impatto internazionale. Quando Sandra riceve la mail ci pensa su appena qualche secondo, il tempo esatto in cui le si apre un sorriso che ha il sapore del mare...
I riflettori dei media si riaccendono, a illuminare un’altra scelta dirompente, l’ennesima. Che forse stride con la modestia che percepisce chi la incontra, ma anche con il ruolo di donna copertina che ciclicamente le offrono. Interviste su interviste per chiederle chi gliel’ha fatta fare, se ci ha pensato bene prima di fare questo salto, cosa l’ha spinta ad andar via dalla locomotiva d’Europa, da quella Germania che per tanti italiani è diventata il Paese europeo ideale in cui andare a caccia di lusinghiere opportunità professionali. Per tornare poi, non solo in Italia, ma addirittura al Sud, in Calabria? Ma come è possibile? Del resto, nel 2004 lei stessa dichiarava: Vivo e lavoro in America, e sono un’emigrata di successo perché il mio lavoro mi sta dando grandi soddisfazioni. L’Italia? È dove sono nata, è il mio Paese, è dove mi piacerebbe lavorare. Certo che tornerei, ma a fare che cosa?.
Cosa è cambiato, realmente, allora?
Spiazzante nella sua linearità e semplicità, la Savaglio, del resto, ha fatto sempre il contrario di ciò che le persone si aspettavano da lei. Ma non di proposito, per voler rovesciare regole e stereotipi. Piuttosto, queste scelte sono sempre stata la traduzione di un modo di pensare fuori dal comune. Inconsciamente ribelle, potremmo dire.
Cubo 33B, Dipartimento di Fisica, una fila di palazzine rosso fuoco: è qui che Sandra Savaglio ha ormai stabilito il suo nuovo quartier generale. È qui che centinaia di giovani sono passati nel giro di qualche mese dal considerarla un’icona della scienza, quasi una figura leggendaria continuamente evocata con ammirazione nel Dipartimento, alla possibilità di ascoltarla, di parlarle, di incontrarla in carne e ossa e di sognare insieme a lei un futuro da celebrità dell’astrofisica. Entusiasmo, passione, storia e carisma: c’è tutto questo in una donna che non ha rinunciato mai né alla libertà né alla carriera. Non l’ha fatto neanche in occasione di quest’ultima scelta professionale, quella del ritorno in Italia. Ha solo voluto ridisegnare confini e traiettorie del suo agire, accettando una nuova sfida e mettendo la sua esperienza al servizio degli studenti dell’Ateneo calabrese.
I luoghi fisici, del resto, per chi sceglie di indagare il cosmo, sono solo cuscini temporanei da cui osservare, tappeti sospesi attraverso cui transitare in un tempo indefinito. Ci sono troppe variabili, troppi elementi che non dipendono (solo) da te, troppe componenti incalcolabili. Proprio come nello spazio, nelle galassie. Le tue ricerche potrebbero durare decenni o non finire mai. Vivi con loro, mangi con loro, dormi con loro e neanche quando dormi ti abbandonano. Sono il tutto, l’essenza di una vita dedicata alla scienza, che non ti permette di pensare se una scelta sia «giusta» o «sbagliata». Per chi, poi?
Da Baltimora a Monaco, la scienziata italiana ha operato in contesti scientifici sempre altamente competitivi e con profili di internazionalità che qui fanno fatica a emergere e che fanno del Belpaese un caso a parte, anche in ottica accademica. Altrove questi ambienti sono multiculturali di default: offerte in inglese, curriculum in inglese, provenienze che si incontrano e si contaminano di punti di vista differenti, ma tendenti a un unico obiettivo. Entrare e farsi conoscere è un attimo, se hai talento e l’umiltà di chi vuole imparare. Eppure, non è tutto oro...
Perfino la percentuale tra donne e lavoro in ambito scientifico fa pendere la bilancia nettamente (e inaspettatamente) dalla parte dell’Italia: colpa del sistema scolastico tedesco, in cui l’orientamento del percorso futuro dei giovani è fortemente condizionato dagli insegnanti fin dalle scuole elementari. E lì è davvero difficile scorgere una passione scientifica per le ragazze. Non che in Italia la cosa sia differente: il gender gap nell’ambito delle professioni Stem (e cioè nell’area della Scienza, della Tecnologia, dell’Ingegneria e della Matematica) è piuttosto evidente, complici modelli culturali che non incoraggiano percorsi in questo settore. Eppure, queste condizioni non hanno impedito la nascita e la formazione di brillanti scienziate.
Regole, già: i tedeschi ci sono abituati, nascono e vivono in quell’alveo come fosse naturale. Un viaggio costante verso la perfezione, senza apparenti deragliamenti ma con una scia di monotonia da cui uno spirito italiano tenta, più o meno inconsciamente, di liberarsi per trovare in un lampo, in un guizzo, una nuova soluzione, proprio perché lasciare spazio alla creatività e all’immaginazione, nel campo scientifico, può rivelarsi dirompente.
Nel bagaglio professionale e personale di Sandra Savaglio, nell’esperienza italiana, si sono accumulati in equa misura fatica e soddisfazione: lavorare con i giovani è dura ed è gratificante allo stesso tempo:
Non le manda a dire, Sandra Savaglio, che in Senza attendere. Ricerca, educazione e democrazia, scritto con Mario Caligiuri, invitava i giovani a drizzare la schiena e ad investire su se stessi, per dimostrare che un altro percorso era possibile, nonostante tutto.
Eppure, c’è più di qualcuno che inizia a pensarla diversamente: forse perché ascoltando la professoressa vedono nei suoi occhi una luce particolare, che ingloba la scelta convinta del ritorno, l’entusiasmo di nuovi traguardi da raggiungere e la spinta verso i più giovani. Leggono un’apertura di nuovi orizzonti, fino a qualche tempo fa stretti e sottili, che si schiudono come grandi telescopi alla ricerca dell’infinito:
Una sfida che è anche culturale, dunque. Come quella di una Calabria certamente migliorata rispetto a quando Sandra Savaglio l’aveva lasciata, ma che vive ancora di disservizi evidenti. Condizioni tuttavia ampiamente ripagate da sensazioni che erano dimenticate nei lunghi anni trascorsi all’estero: il calore umano, l’azzurro del mare, il sapore dei fiori di zucchine fritti, delle melanzane e dell’olio. Cose semplici, da gustare a occhi chiusi per ritrovarsi d’un tratto bambina. È forse questa la vera molla che dà la spinta a tornare indietro, pur non rinunciando a guardare lontano:
Anni, decenni, secoli, chi può dirlo? Quello che Sandra Savaglio riesce a vedere nel cielo non sono solo fantastiche immagini ma anche segnali deboli, debolissimi, che hanno magari avuto origine molti miliardi di anni fa, quando la materia ha rotto il perfetto equilibrio e la radiazione ha iniziato a viaggiare quasi liberamente. C’è tantissimo da scoprire, e le risorse umane di cui l’Italia è ricca possono fare la differenza. Del resto, basta alzare gli occhi al cielo e non dare per scontato nulla. Perché quello che muove Sandra Savaglio e i suoi studenti è una forza che esercitiamo tutti fin da quando siamo bambini: la curiosità. È l’elemento che scaccia la paura, ci fa andare oltre, ci fa sgranare gli occhi di fronte ad ogni scoperta, ci fa muovere controcorrente.
Giovanni Oliva*
Il primo manager italiano a dirigere un’azienda di proprietà cinese in Cina
C’è una magia che accade quando stai cercando qualcosa e ti imbatti in qualcos’altro che è talmente prezioso da farti dimenticare la ragione stessa per la quale avevi cominciato la ricerca. È più del semplice caso: è una combinazione fortuita di elementi non desiderati ma non per questo sgraditi, anzi. C’è un termine che definisce questa traiettoria: è «serendipità». Giovanni Oliva la trova in una comunità di recupero per tossicodipendenti in cui era finito per svolgere un anno di servizio civile, dopo un tentativo di raccomandazione non andato a buon fine. Lui, che sognava di accompagnare i turisti nella sua Matera, si ritrova d’improvviso in una comunità isolata a gestire persone che barcollano costantemente sull’orlo del baratro. Lo shock fu enorme, tanto che appena arrivato pensa già a come fuggire via di lì, quando una signora sulla settantina, nel dare il suo benvenuto ai giovani del servizio civile, pronuncia una frase che alle orecchie del giovane lucano ha la potenza di un ultrasuono: «Siete qui per una missione importante. Qualunque cosa facciate, adesso e in futuro, non temete nulla. Aprite le vele e andate. Tornerete distrutti? Non importa. Andrete a fondo? Riemergerete. Ma se non lo fate, non andre...