Il fallimento degli Stati sovrani nell'Unione Europea
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Dopo il "caso greco", la discussione sul debito sovrano nell'Unione Europea non è più puramente accademica: come assicurare, nel contesto dell'UE, procedure ordinate per gestire il "fallimento degli Stati"? È questo il tema della prima "Lectio Marco Minghetti" tenuta da Leszek Balcerowicz.

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Informazioni

Il fallimento degli Stati sovrani nell’Unione Europea: una prospettiva comparata
di Leszek Balcerowicz
1. Introduzione
La situazione fiscale della Grecia ha attirato l’attenzione sul problema del fallimento di debitori sovrani nell’eurozona o, più generalmente, nell’Unione Europea. Tuttavia non è facile affrontare in modo ragionevole questo problema senza prima analizzare alcune questioni più generali. È per questo motivo che inizierò con una breve disamina dei diversi tipi di difficoltà di pagamento che possono affliggere il debito sovrano (Sezione 2). La Sezione 3 esaminerà le principali cause di insostenibilità del debito sovrano (sovereign debt distress) e le loro conseguenze economiche. Giacché queste ultime possono risultare assai pesanti, è giocoforza prendere in considerazione in che modo i possibili meccanismi alternativi di risoluzione del debito sovrano possano influenzare il comportamento dei debitori sovrani e dei loro creditori e, di conseguenza, la probabilità che si possa verificare una vera e propria crisi del debito sovrano. Nella Sezione 4, basandomi sull’ampia letteratura scientifica esistente, illustrerò i principali tipi di meccanismi di risoluzione del debito sovrano. Non mancherà una comparazione del fallimento di un debitore sovrano con altri meccanismi, tanto dal punto di vista ex post, quanto da quello ex ante. La Sezione 5 esaminerà i problemi di insostenibilità e di risoluzione del debito nell’UE, con particolare riferimento all’eurozona. Nella Sezione 6 trarrò le dovute conclusioni.
2. Tipi di insostenibilità del debito
I diversi soggetti che stipulano un contratto di debito rivestono il ruolo di debitori e creditori. Ciascuno di tali soggetti può incappare nella condizione di insostenibilità del debito, che definirò genericamente come la situazione in cui il debitore incontra difficoltà nel servizio del debito o nella restituzione del capitale secondo la tabella di marcia prevista originariamente.
Vi sono svariate tipologie di insostenibilità del debito, ciascuna delle quali prevede diversi tipi di meccanismi di risoluzione.
Vi è, per iniziare, la classica (e importante) distinzione tra illiquidità e insolvenza. Nel primo caso, il debitore è in grado di fare fronte al servizio e alla restituzione del debito secondo il piano di rimborso, ma incappa in problemi temporanei. In questo caso può essere opportuna un’assistenza di breve periodo per ripristinare la liquidità del debitore. Nel secondo caso, il debitore non è in grado di fare fronte ai propri obblighi e, pertanto, diventa necessaria una ristrutturazione del debito (consistente nella modifica del profilo temporale del piano di rimborso) o addirittura una riduzione del debito stesso.
Questa differenza è molto importante, particolarmente nei casi di insostenibilità del debito a carico di due tipi di debitori: le banche e i debitori sovrani. In questi frangenti, infatti, la diagnosi errata ex ante e la conseguente applicazione dei meccanismi di risoluzione del debito sbagliati può prolungare la crisi, anziché risolverla. Penso in particolare alla situazione in cui viene erroneamente diagnosticato un problema di liquidità quando la vera causa consiste nell’insolvenza del debitore. Nel caso di una banca, l’assistenza a favore della liquidità offerta dalla Banca centrale ritarderebbe la necessaria ristrutturazione del bilancio della banca in questione e, quindi, prolungherebbe l’accumulazione di prestiti “in sofferenza” (ossia che non fruttano interessi e che non vengono restituiti alla banca). A sua volta, ciò culminerebbe in una grave stretta creditizia, a tutto danno dell’economia. Gli studiosi sono generalmente concordi nel ritenere che questo sia l’errore commesso in Giappone negli anni Novanta. Alcuni pensano che il medesimo errore sia stato fatto negli Stati Uniti nel periodo 2008-2009 (Taylor 2009). L’errore opposto (vale a dire lo shock di liquidità con una situazione di insolvenza delle banche) è verosimilmente più raro (e forse meno dannoso), giacché di norma la pressione politica si focalizza sull’assistenza di liquidità. Qualora si verifichi, tuttavia, questa errata diagnosi impegna inutilmente le risorse amministrative e finanziarie delle parti in causa e può facilmente condurre ad un aumento dell’azzardo morale da parte dei debitori.{1}
Anche nel caso di debitori sovrani, non è facile stabilire ex ante se la situazione di sofferenza consiste in una mancanza di liquidità o in una crisi di insolvenza (per una definizione delle due situazioni, si veda Roubini 2002; Kumar et al. 2000).
Quel che si intende solitamente per insolvenza di un debitore sovrano è l’incapacità sul lungo periodo da parte di un governo di pagare gli interessi sul debito e di restituirlo. In altre parole, si intende affermare che «il livello debitorio di un paese è insostenibile» (Rajan 2005, p. 20) e che, pertanto, è necessaria una riduzione o una ristrutturazione del debito. Tuttavia è difficile capire quando un debitore sovrano non è in grado di restituire un prestito e quando invece esso non è disposto a fare fronte ai propri obblighi. Rajan (Rajan 2005, p. 20) distingue tra crisi di solvibilità e crisi condizionale di solvibilità. Nel primo caso il livello debitorio è «semplicemente insostenibile», mentre nel secondo «il paese deve attuare riforme strutturali in modo da mantenere la propria solvibilità entrata in crisi, ma sarebbe solvibile e riotterrebbe la fiducia dei mercati internazionali dei capitali a condizione di intraprendere le riforme in questione». Ciò significa che vi sono alcuni casi senza speranza, in cui nessuna riforma (o aggiustamento macroeconomico) può aiutare un paese a ripristinare la propria solvibilità, mentre in altri casi vi sono determinate riforme (o interventi macroeconomici) che, se venissero attuate, ripristinerebbero la solvibilità del paese stesso. Tuttavia sembrerebbe che, dal punto di vista economico, vi siano sempre determinati pacchetti di interventi macroeconomici o riforme strutturali che, una volta attuati e mantenuti nel tempo, possano far sì che un paese in condizioni di insostenibilità del debito sia in grado di effettuare il servizio del debito e di restituire il capitale, ossia di evitare la riduzione del debito stesso.{2}
Da un punto di vista puramente economico, quindi, l’incapacità di un paese di fare fronte ai propri obblighi di pagamento, vale a dire la sua insolvenza, risulta essere un concetto pressoché privo di significato (cfr. Reinhart e Rogoff 2009). Le questioni empiricamente più pertinenti sono: primo, se il pacchetto di interventi e riforme in grado di ripristinare la solvibilità di un paese siano desiderabili e, secondo, se sia possibile dal punto di vista sociale e politico avviare e sostenere tali riforme.
La questione della desiderabilità comporta a sua volta il doversi chiedere per quale motivo il peso degli interventi macroeconomici{3} necessari per venire alle prese con un considerevole onere debitorio debba ricadere esclusivamente sulle spalle del debitore sovrano (la domanda, ovviamente, vale anche nel caso degli altri tipi di debitore). Si tratta, in definitiva, di esaminare il problema della “condivisione degli oneri” tra i creditori e il debitore. Un qualsiasi debito è il risultato delle decisioni tanto del debitore quanto dei suoi creditori e quindi – così sostiene questa tesi – entrambe le parti dovrebbero assumersi la responsabilità di una risoluzione della situazione. In effetti l’evoluzione dei meccanismi giuridici elaborati per affrontare situazioni di insostenibilità del debito di imprese o individui entro i confini di un singolo paese ha condotto ad abbandonare il principio di responsabilità esclusiva del debitore, comunemente adottato nel XIX secolo, e ad abbracciare il criterio della condivisione della responsabilità tra debitore e creditori. Per quanto riguarda il caso dei debitori sovrani, è soprattutto la situazione di cosiddetto “debito illegittimo” (odious debt) – vale a dire il debito ereditato da un precedente regime oppressivo – che interessa la questione della desiderabilità di una certa misura di riduzione del debito stesso (cfr. Rogoff e Zettelmeyer 2002).
La seconda questione, quella riguardante la fattibilità, dal punto di vista socio-politico, di attuare gli interventi o il pacchetto di riforme in grado di ripristinare la solvibilità di un paese, interessa a sua volta la questione della capacità del governo del paese di approvare e imporre l’attuazione delle misure necessarie. Bisogna cioè considerare la possibilità che si verifichino ostacoli politici, proteste sociali, dimostrazioni, sommosse e via dicendo. Il problema consiste nella possibilità che le autorità di governo non siano realmente disponibili ad assumersi il necessario rischio socio-politico, adducendo la scusa di non poter attuare i necessari interventi a causa dei vincoli socio-politici che devono affrontare. In altri termini, empiricamente è estremamente arduo distinguere un debitore sovrano che non ha la volontà di ripagare il debito dal suo omologo che davvero non ne ha la capacità. Per cercare di venire a capo di tale questione è necessario effettuare un’analisi delle peculiarità socio-politiche del paese debitore, ma così facendo si rischia di cadere in una trappola: i paesi contraddistinti dalle strutture socio-politiche maggiormente populiste (ad esempio, nei quali è particolarmente forte il ruolo di un sindacato militante) verrebbero trattati in modo più indulgente rispetto a quelli le cui condizioni socio-politiche vengono ritenute più favorevoli alle necessarie riforme. Il ricorso a due pesi e due misure può verificarsi quando un paese debitore cerca di ottenere un prestito condizionale da parte del Fondo Monetario Internazionale o (nel caso degli Stati membri dell’UE) dalle istituzioni comunitarie. Applicare questo diverso metro di giudizio non sarebbe solo iniquo (giacché di fatto premierebbe le situazioni più populiste), ma anche controproducente nel lungo periodo, in quanto il pacchetto di interventi e riforme preteso dai paesi aventi una struttura socio-politica maggiormente populista potrebbe risultare insufficiente a risolvere i loro problemi economici in modo durevole. Il prestatore d’emergenza che desidera evitare questa trappola deve pretendere che i paesi debitori adottino tutte le misure economicamente necessarie e, quindi, ignorare quasi interamente le loro peculiarità socio-politiche. Adottando questo metodo, tuttavia, il prestatore dev’essere consapevole e accettare preventivamente il fatto che questa strategia possa causare proteste sociali nei paesi maggiormente contraddistinti da strutture populiste. Quando dico “accettare” intendo affermare che il prestatore deve continuare a pretendere il rispetto delle condizioni iniziali per il prestito finché esse sono giustificate dal punto di vista economico.
Passiamo adesso ad esaminare i fattori che sottendono la volontà (o la mancanza di volontà) di ripagare il debito da parte del debitore sovrano. Una disamina più approfondita della questione deve stabilire:
1. Chi è il sovrano, ovvero chi sono – nel caso specifico – i soggetti dotati di potere decisionale che rappresentano il “sovrano” e (aspetto correlato al precedente):
2. Quali sono le loro funzioni di utilità (ossia, per semplificare, che cosa hanno a cuore) e quali sono i fattori (comprendendo quelli istituzionali) che determinano il loro “insieme possibile”, vale a dire quell’insieme di azioni che i decisori ritengono praticabili.
Basandosi su questi elementi diventa possibile conoscere l’utilità attesa relativa delle opzioni contenute nell’insieme possibile dei decisori. Nel nostro caso si tratta di capire quale sia l’utilità di continuare ad effettuare il servizio del debito e a restituirlo secondo il piano di rimborso originario in relazione all’utilità di altre possibili opzioni: ad esempio, cercare di ottenere una ristrutturazione o una riduzione più o meno volontaria del debito, eventualmente abbinata all’assistenza di una terza parte o addirittura scegliere l’inadempienza unilaterale (default). Questo modello di scelta razionale applicato ad un sovrano in condizioni di insostenibilità del debito deve superare la consueta pratica analitica di considerare il sovrano come un’entità unica, che solitamente si concreta in un benevolo pianificatore dedito a massimizzare il benessere sociale entro un orizzonte temporale infinito. In altri termini, l’antiquato punto di vista dell’economia del benessere dovrebbe fare posto ad un approccio basato sulla public choice o – più genericamente – sui metodi dell’economia neo-istituzionale, in cui le decisioni del sovrano vengono spiegate per mezzo del modello generale, che include la situazione di scelta dei decisori e le loro caratteristiche cognitive e motivazionali (per un approfondimento si veda Balcerowicz 1995). Cercando di applicare questo modello alla volontà (o alla mancanza di volontà) di pagare da parte del debitore sovrano è evidente che si debba prendere in considerazione la natura del regime politico dei paesi debitori. Ad esempio, in una dittatura solidamente radicata, se il dittatore è ossessionato dall’idea di controllare la situazione e, di conseguenza, non è di...

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  1. Titolo pagina
  2. Prefazione
  3. Il fallimento degli Stati sovrani nell’Unione Europea: una prospettiva comparata
  4. Commento
  5. Commento
  6. Note biografiche