Il futuro del welfare sanitario. Un caso italiano e uno spagnolo
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Il futuro del welfare sanitario. Un caso italiano e uno spagnolo

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Il futuro del welfare sanitario. Un caso italiano e uno spagnolo

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Nei due veloci ma puntuali saggi di Gabriele Pelissero e Lucio Scudiero, vengono poste all'attenzione del lettore due esperienze che rappresentano dei potenziali modelli da seguire a livello europeo: Lombardia e Valencia

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Informazioni

Dalla Spagna un modello di sanità per l’Italia. Il caso Valencia

di Lucio Scudiero

1. Introduzione

I sistemi sanitari occidentali sono messi sotto fortissima pressione da due tendenze simultanee: l’invecchiamento della popolazione, frutto della combinazione tra l’allungamento della durata della vita e la riduzione della natalità, e l’innovazione tecnologica in campo sanitario. L’innovazione tecnologica implica la possibilità di trattare con terapie sofisticate le malattie più diverse, che peraltro riguardano un numero ristretto di individui bisognosi di cure sempre più “su misura”. Questo determina un trend in una certa misura inevitabile (a meno che non si scelga di “bloccare” l’innovazione tecnologica) verso l’aumento dei costi, sia unitari sia totali. Il trend è esacerbato dal fatto che, a parità di altri elementi, un individuo anziano richiede più cure e cure più complesse (cioè costose) rispetto a un giovane; e l’avanzamento dell’età media sposta la domanda di servizi sanitari verso terapie e trattamenti maggiormente specifici del singolo individuo, meno standardizzabili e più intensivi.
Cominciamo dalle tendenze demografiche. Nell’eurozona, il numero totale delle nascite è crollato da circa 5 milioni all’anno nel 1961 a circa 3,4 milioni nel 2010. La maggior parte del crollo si è verificato tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, raggiungendo un minimo di circa 3,2 milioni nel 1995. Da allora il numero di nascite è cresciuto leggermente ed è stato grossomodo costante nell’ultimo decennio. Questo ha avuto un impatto enorme sulla composizione demografica delle società occidentali: la tradizionale “piramide” si è trasformata in un “ovale” ed è destinata a diventare quasi un “rettangolo” nei prossimi decenni. Tale dinamica non è stata indifferente neppure dal punto di vista dell’impatto sulla popolazione in età lavorativa: la fascia tra i 15 e i 64 anni è prima cresciuta e poi si è ridotta (a partire proprio da questi anni) in numero assoluto, mentre in proporzione alla popolazione è andata sempre più perdendo peso. Contemporaneamente, la partecipazione alla forza lavoro non si è adeguata al cambiamento strutturale imposto dalla demografia: in Italia, hanno un’occupazione solo il 20 per cento dei sessantenni, il 9 per cento nella fascia 65-69 anni e meno del 5 per cento al di sopra dei 70 anni. In confronto, negli Stati Uniti tali percentuali assumono rispettivamente valori superiori al 40 per cento, al 30 per cento e al 15 per cento.
Esistono anche driver non demografici dietro l’aumento delle spese sanitarie. Infatti, il fattore demografico è responsabile, mediamente, solo di un quarto dell’aumento delle spese. Tra di essi, come citato, l’aumento del reddito, il progresso tecnologico e l’organizzazione dei sistemi sanitari – e le sottostanti politiche. Fino a oggi, gli strumenti adottati per contenere l’aumento della spesa sanitaria non si sono rivelati particolarmente efficaci, specie nel combattere le enormi inefficienze. Alcuni interventi possono generare effetti perversi (come i tetti alla spesa o, peggio, a singole voci di spesa – è il caso dell’Italia con la spesa farmaceutica). Altri hanno sortito risultati parzialmente positivi ma insufficienti, come l’introduzione di forme di compartecipazione alla spesa da parte del paziente (con l’obiettivo di limitare l’azzardo morale). Alcuni paesi, ma non l’Italia con alcune eccezioni (la Lombardia), hanno anche puntato a favorire una maggiore partecipazione del privato alla produzione dei servizi sanitari. Questo col duplice obiettivo di stimolare l’efficienza attraverso la competizione e di ampliare l’offerta sotto il profilo qualitativo e organizzativo. Esiste evidenza empirica molto chiara del fatto che la competizione è lo strumento più appropriato: l’introduzione di meccanismi competitivi ha consentito, dove è stata praticata, una riduzione della spesa rispetto al tendenziale quantificabile in 0,5 punti percentuali di PIL, laddove i tetti di spesa non hanno ottenuto più di 0,26 punti e i vincoli dal lato dell’offerta hanno prodotto risparmi per appena lo 0,05 per cento del PIL. Questo suggerisce che la via maestra per razionalizzare la spesa sanitaria, dato un certo livello di prestazione, consista nel creare un contesto competitivo. La competizione può avvenire sia dal lato della produzione del servizio (tra ospedali e cliniche, per esempio) sia dal lato del suo finanziamento (per esempio attraverso la transizione da un sistema basato sulla fiscalità a uno basato su meccanismi assicurativi).
Questo studio si concentra sul primo tipo di interventi: la creazione di competizione tra i fornitori dei servizi sanitari. Perché tale competizione sia possibile, occorre che il finanziamento del servizio – comunque stimato – diventi contendibile. Esistono varie policy per arrivare a tale risultato. Qui viene approfondito il caso della Regione spagnola di Valencia, che ha introdotto una sorta di quota capitaria che “segue” il paziente e finanzia la struttura dove egli sceglie di farsi curare.

2. Il sistema sanitario spagnolo

Il servizio sanitario nazionale spagnolo si trova a un bivio. La crisi del debito sovrano potrebbe spingerlo sull’orlo del tracollo, oppure chiamarne in funzione gli anticorpi di efficienza e la capacità di autoriformarsi. Negli ultimi venti anni il paese ha attirato l’attenzione del resto d’Europa come caso di buona gestione pubblica, ottenuta attraverso la competizione di modelli locali innovativi e ibridi, capaci di coinvolgere le migliori risorse private e arginare i peggiori istinti dei decisori pubblici, con elevati livelli di qualità, innovazione ed efficienza del servizio.
Per estensione territoriale e caratteristiche demografiche la Spagna si presta ad essere considerata come tertium comparationis per i modelli sanitari di tutti i grandi paesi europei.
La forte crescita economica durata fino al 2008 e la buona qualità della vita e dei servizi di cura hanno agganciato la penisola iberica al trend di progressivo invecchiamento della popolazione del vecchio continente, regalandole un 16,5 per cento di cittadini sopra i 65 anni. Nonostante ciò la Spagna è riuscita a tenere la spesa sanitaria pubblica, seppur in crescita, abbastanza sotto controllo: è tra le più basse d’Europa, il 9,5 per cento del PIL nel 2009, perfettamente in linea con quella dell’Italia e della media OCSE.
Nel 1976 la struttura del sistema sanitario era prevalentemente pubblica (75 per cento) e finanziata attraverso contributi sociali (80 per cento); la base di questo sistema era di tipo professionale e l’istituto di previdenza sovrintendeva al finanziamento e all’erogazione delle prestazioni.
La Legge 37/88, Presupuestos Generales de lo Estado, si è incaricata di completare la transizione dal sistema Bismarck a quello Beveridge, ribaltando la composizione delle fonti di finanziamento della sanità, che prima era 75/25 in favore dei contributi.{8}
Ma fondamentale è stata l’approvazione, nel 1986, della Legge Generale della Sanità, che istituiva il sistema sanitario nazionale, le cui competenze sono ripartite tra l’amministrazione dello Stato e i servizi di salute delle Comunità autonome, introdotte in Costituzione come ulteriore livello di governo tra lo Stato e gli Enti locali. Le Comunità autonome sono 17, e tra il 1981 e il 2002 sono cresciute in autonomia e competenza, gestendo sempre più servizi pubblici e implementando ciascuna il proprio servizio sanitario.
Al di fuori delle Comunità autonome opera l’Istituto nazionale di gestione sanitaria, INGESA, che si occupa di gestire la sanità nelle città con statuto autonomo di Ceuta e Melilla.
Da un punto di vista organizzativo il sistema sanitario pubblico è diviso in Aree di salute (o dipartimenti), ciascuna delle quali sovrintende ai Centri di salute e relative prestazioni. Ogni Area di salute copre una popolazione di 200/250.000 persone, ed è ulteriormente suddivisa in Zone basiche, dove operano i Centri di assistenza primaria (Centre d’atenció primària – CAP), dislocati in modo da essere distanti da qualsiasi residenza al massimo 15 minuti. I CAP sono la porta aperta degli spagnoli sul servizio sanitario nazionale, sono operativi 24 ore su 24 con un pronto soccorso ambulatoriale integrato, e non è richiesto ai cittadini il pagamento di alcun ticket, fatta eccezione per i farmaci (40 per cento del prezzo). Al loro interno lavorano equìpe multidisciplinari costituite da medici di medicina generale, pediatri, personale infermieristico e amministrativo, ma anche assistenti sociali, ostetriche e fisioterapisti. L’assistenza primaria è la sede privilegiata anche delle attività di prevenzione e promozione della salute, assistenza e salute della donna, assistenza al paziente terminale e salute del cavo orale.
Oltre ai CAP ci sono poi gli ospedali, che prestano assistenza specialistica. Il loro regime di finanziamento, proprietà e governance, varia significativamente di Regione in Regione. In Catalogna, ad esempio, c’è la maggiore concentrazione di ospedali privati (il 70 per cento del totale). Ma è a Valencia che si è sviluppato, nel solco del modello pubblico, un sistema molto innovativo in via di rapida diffusione presso altre Regioni spagnole.

3. Due alternative possibili di sanità pubblica

La Regione di Valencia (Comunità Autonoma Valenciana), nella Spagna orientale, ha una popolazione di oltre 5 milioni di abitanti, il 10,06 per cento della popolazione totale spagnola. È governata dalla Generalitat Valenciana, ed è tra le più ricche del paese con un PIL pro capite di 21.453 euro, paragonabile a quello di Regioni italiane come il Piemonte o la Liguria.
Il sistema sanitario locale è governato dalla Agencia Valenciana de Salud, che svolge funzioni amministrative, e ha il compito di promuovere l’efficienza finanziaria del sistema di salute regionale e un elevato livello di soddisfazione degli utenti, in collegamento con la Conseilleria de Sanidad. È stata istituita con la Legge Regionale del 6 febbraio 2003, n. 3,{9} fonte normativa che fornisce il presupposto giuridico all’implementazione nella Regione di un particolare sistema misto pubblico/privato di gestione sanitaria.
È il “modello del manager integrato”, prefigurato dall’articolo 23 della Legge sopra citata:
L’Agenzia valenciana della salute è un organis...

Indice dei contenuti

  1. Title page
  2. Prefazione
  3. Verso un nuovo welfare sanitario. Il caso Lombardia
  4. Dalla Spagna un modello di sanità per l’Italia. Il caso Valencia