Saggio sul comunismo e sul socialismo
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Presentato nel corso di una conferenza tenuta a Osimo nel 1847, questo scritto di Rosmini rappresenta una straordinaria confutazione di quell'insieme di teorici socialisti che, dopo Marx, siamo abituati a ricondurre all'etichetta del "socialismo utopistico".La riflessione del pensatore roveretano muove da premesse antropologiche e, in particolare, da una critica molto netta del materialismo socialista. Poiché "l'uomo non è una macchina", l'intera struttura concettuale del socialismo fallisce, dato che non riesce a cogliere l'esigenza fondamentale di salvaguardare la proprietà e la libertà, che sono condizioni essenziali affinché la vita umana possa dispiegarsi.In particolare, Rosmini porta alle estreme conseguenze le tesi di Owen, Fourier e Saint-Simon per mostrare come la teoria comunista sia la negazione dei diritti individuali, della libertà di coscienza, del diritto a ricercare la felicità e a realizzare una "vita buona". La conclusione a cui giunge Rosmini è che il nuovo governo assolutistico auspicato da questi rivoluzionari comporta una "centralizzazione e pienezza di dominio (…) senza esempio negli annali del mondo".

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Informazioni

Editore
IBL Libri
Anno
2013
ISBN
9788864401409

Saggio sul comunismo e sul socialismo

Ogni menoma parte di bellezza ha in sé del divino. Di che non è a stupire se l’umana mente, quantunque da natura portata in verso alla totalità dell’essere, dove solamente quieta il suo desiderio, ritragga nobile e soavissima voluttà da ogni piccolo vestigio di quel bello, che dentro l’ordine dell’essere luce meraviglioso; e indugi, quasi a dilettevol diporto, nelle decorose forme delle arti imitative, segnatamente di quella dello stile, che fra l’altro è principe, eziandioché i concetti, vestiti di squisita eleganza, appaiano tenui e poco profittevoli all’umanità. Che anzi neppure la materia ignobile o dannosa impedisce il suo effetto seducente alla venustà della forma; tanta è la potenza, tale la celeste natura della bellezza, somiglievole alla luce non contaminata né pure nel fango.
E tuttavia nei progressi dell’umanità e della società, giunge un tempo, in cui alla vaghezza delle forme ciascuno brama vedere congiunta dall’arte l’utilità e la grandezza morale della materia; al bello esteriore, e quasi direi superficiale, un altro bello interiore e solido: che la mente già disdegna l’astrazione che gli divideva, ed addomanda che quello serva a questo, e lo completi, siccome bel vestimento di persona perfetta. Chi di voi, miei signori, non si accorge, che questo tempo è già venuto anche per l’Italia? Chi non se n’accorge guardandosi intorno, considerando quali nuovi, quali importanti oggetti di pubblico e privato vantaggio attirino a sé l’attenzione dell’universale, e in uno coll’attenzione del pensiero, suscitino gli effetti dell’animo, e addimandino a tutti i probi l’opera concorde del senno e della mano? I poeti, gli oratori, i professori dell’arti cui dissero liberali, collocano i loro ingegni nello studio di trovare elegantissime forme, indifferenti circa i concetti che quelle rivestono, quando la società stessa se ne mostra indifferente; anzi allora non possono altro; ma laddove questa, risentitasi da quello stato di non curanza ed indifferenza, incomincia a prezzare altamente ciò che importa al bene comune, e le si rappresentano nuove questioni intorno ai mezzi più efficaci di suo perfezionamento, e intende la suprema necessità che quelle ricevano una pratica soluzione, ed ella stessa agitandole, la cerca, e in sì grave cura sollecita, fra le angosce e le speranze, acquista nuova attività e nuova vita; allora una poesia, una letteratura, un’arte di pure forme è divenuta impossibile, che la letteratura e l’arte, produzioni della società, ne rappresentano la condizione; né per altro gli scrittori e gli artisti sono gloriati appresso i contemporanei ed i posteri, se non perché ne esprimono efficacemente il sentire, i più avanzati pensieri, i non ancor formolati desideri, interpreti, sagacissimi di loro età, e quasi divini di quella che si va segretamente apparecchiando.
Onorato, o signori, dalla vostra elezione a così illustre consenso, e dal grazioso vostro invito a dover io con alcune parole aprire il corso delle annuali vostre esercitazioni, di che doppiamente vi ringrazio, io mi confido d’aver significato nelle precedenti parole l’intendimento di questa chiarissima Accademia dei Risorgenti, il quale non può fallire che sia quello di andare a gara con tutte le altre italiche, nell’opera d’innalzare la letteratura nostra e le nostre arti a quei gravi ed importanti subbietti, che l’età presente richiede, la quale disdegna i frivoli e gli oziosi. E nel vero, a chi potrà più sofferire l’animo di logorare il tempo e l’ingegno, di che potrebbe giovare se stesso, la patria, i suoi simili, in adornare di squisitissima eleganza meschine inezie? A cui non sono già troppe quelle che noi abbiamo ereditato? Chi più tollera, non dico degli stranieri, ma di quanti fra noi sono degni della comune patria e di questa età, quelle, eziandioché forbitissime e limatissime scritture, le quali niun cenno contengono di quelle materie che occupano tutte le menti, piene solo di quelle che niun giudica serie ed importanti? Che se in altri secoli, a questa Italia d’ogni gran cosa capace, piacque, quasi oziosa fanciulla, pei vaghi giardini d’Elicona, colle leggiere muse trastullandosi non cercar che il diletto o, pei fioriti prati e boschetti d’Arcadia, coi rozzi pastori giocare in pruova, non avendo altro a fare che di guardare il gregge; ora ella a più gravi studi e più degni di lei riscossa, a virili negozi sollecitata da’ suoi progressi, da’ suoi bisogni e da’ suoi patimenti, non trova più tempo da quegli ozi, e di trovarlo vergognerebbe. E a chi tuttavia ne rimanesse alcun dubbio questi non ha, per accertarsene, che a considerare da quel nome si chiami questa novella età, che s’apre all’italiana famiglia: quanti pensieri magnanimi, quante cure meravigliose, quante sollecitudini sapienti affatichino i giorni di colui, in cui stanno fissi gli occhi delle vicine e delle lontane nazioni, e che voi, invidiati a ragione, possedete a doppio titolo, in proprio qual principe, in comune col mondo qual padre. Chi dunque vorrà d’ora in avanti dissipare le forze dell’intendimento, che copiose gli diede natura, e sprecare la squisitezza del suo sentire in argomenti vani, moderando le sorti della patria riscossa, stupita, riconoscente, dando a lei esempio di grandezza in pensare, di magnanimità in operare, un Pio IX?
Dall’alta mente del quale, che non lasciando alcun ozio a se stesso eccita tutti ad imitarlo, potesse essere ispirato cotesto mio ragionare! Il quale non potrà avere un subbietto inutile, o di poco momento riputato, qualora da così alta e copiosa fonte lo derivi. Né il farlo, mi è per avventura malagevole. Perocché se la coraggiosa sapienza di lui, che mirabilmente fu donato alla felicità dei popoli, alla gloria ed all’unione della Cattolica Chiesa, non si resta d’innanzi ai più malagevoli problemi importanti al pubblico bene, né l’arduità e il pericolo lo impedisce dal porvi sicuramente la mano, onde cotanto e sì costante plauso ovunque se ne commuove; io però d’una cosa più che di ogni altra mi rallegro, di quel solidissimo e profondissimo fondamento il quale sottostà alle sue umane e benefiche imprese, e che non è tanto proprio del suo particolare reggimento, che ancor più non sia intrinseco alla natura dello stesso Romano Pontificato; e questo si è la morale bontà e virtù che sì potentemente egli insinua negli animi e, come altissimo fine de’ suoi pensieri e sforzi, in prima cogli esempi, poscia con ogni altra industria promuovere. Né il Vicario di Lui, che redimendo col proprio sangue gli uomini, gli rese degni ed atti di comporre insieme quelle ognor più giuste e pacifiche società, quelle nazioni civili di che insuperbisce l’Europa, poteva collocare alcun’altra pietra fondamentale all’edificio della prosperità temporale e della nazionale concordia, se non questo che io dicevo, la giustizia, l’equità, l’onesto vivere, la virtù, in una parola, la morale perfezione; la quale dove già sia divenuta comune ricchezza e patrimonio di tutto un popolo, per questo solo egli felicissimo e d’ogni altro bene cumulatissimo in picciol termine si renderebbe. Conciossiaché la sola virtù (nella quale parola abbraccio ogni virtù speciale), negli animi de’ cittadini accolta, toglie via il disordine delle passioni che offuscano gl’intelletti, mansuefà gli animi feroci e gli rende magnanimi, sia nel sopportare, sia nell’operare quant’è grande e degno dell’uomo; e le menti da lei serenate, i cuori indolciti per benevolenza, avvigoriti per temperanza e generosa fortezza, non indugerebbero più, or sia a concepire quegli opportuni ordini domestici e civili, pei quali fiorisce la privata e la pubblica convivenza, or sia a sostenerli introdotti, cooperando l’intera nazione con unanime senno della governativa sapienza.
E posciaché il bene non si misura e non si apprezza pienamente, se non pel confronto che se ne fa col male, e il vero non risplende agli occhi nostri di più viva luce, che quando gli si paragona il falso; perciò io mi fo ad implorare da voi benigna attenzione ad alcune poche considerazioni che intendo esporvi sulla fallace via, per la quale si consigliano di mettere le nazioni quei falsi sapienti, e per avventura non italiani, che promettono arrecar loro felicità con certe ingegnose invenzioni o, come giustamente i savi le chiamano, utopie, le quali, da parte lasciata la morale virtù e la religione, pretendono ridurre la società ad un cotale meccanismo, tutto di passioni e di materiali industrie, che produca da se medesimo ogni soddisfazione all’umano genere, come appunto le macchine ci filano e tessono il cotone, o dai cenci, per varie successive operazioni, ci danno bella e formata la carta.
Ma l’uomo non è una macchina, miei Signori; e se fosse, a che tanto affetto, di cui gli utopisti si mostrano spasimati, per una macchina? a che lo sfoggio di tante morali sentenze, di tante massime di umanità, con ciascuna delle quali essi disdicono e rinnegano il loro proprio materialismo, quando si avvisano d’acquistargli credito? Perocché le teorie di cotesti riformatori che io trarrò fedelmente dalle loro opere a stampa più celebrate; né nulla dirò in questo ragionamento di mia congettura che ognuno non possa leggere e riscontrare espressamente detto nei loro trattati, le loro teorie, dicevo, hanno due faccie di opposto aspetto, e se volete, due parti, l’una composta di sentenze universali, che determinano il fine che si propongono, e l’altra contenente l’applicazione, i mezzi, coi quali promettono che quel fine si possa ottenere. Ora, l’obbiezione che loro mosse dappertutto il buon senso degli uomini, non cade sulle massime universali che determinano astrattamente il fine, ma unicamente in sull’efficacia dei mezzi che suggeriscono. Quelle benevole sentenze, colle quali s’introducono a determinare lo scopo delle loro teorie, da chi vengono loro dissentite? Né per avventura sono un loro trovato: il cristianesimo le proclamò con efficacia; e un secreto lavoro di diciannove secoli le inserì nelle menti, le inscrisse nei cuori, le trasfuse nelle abitudini; col vantarsi autori di ciò che appresero nel Catechismo, gli utopisti incominciano la riforma sociale dalla millanteria e dalla usurpazione. Tanto è lungi che la cristiana e cattolica civiltà ripudii quelle sentenze, che anzi ella si lagna a loro, perché, invece di riceverle in tutta l’estensione e l’universalità in cui ella le insegna, essi le restringano arbitrariamente a danno degli uomini. Così a cagione d’esempio, quando una loro setta, i sansimoniani, sentenziano «tutte le istituzioni sociali dover avere a scopo il miglioramento della classe più numerosa e più povera», noi lodiamo, noi abbracciamo lieti cotanta umanità in verso la classe più necessitosa; ma ci lamentiamo nello stesso tempo, perché non l’estendano a tutte le altre classi, e così restringano e smozzino quella che da san Paolo è grecamente chiamata filantropia di Cristo, la quale non dimentica né i diritti, né i bisogni di uomo alcuno. Tanto più che se si avverasse la promessa di quella scuola, che colla sua teoria pretende poter togliere affatto dal mondo ogni miseria, e rendere gli uomin...

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