Sparta e Atene: la legislazione di Licurgo e di Solone
LICURGO
Per valutare correttamente il piano di Licurgo, occorre tenere presente la situazione vigente a Sparta in quel tempo, e conoscere la costituzione che trovò quando elaborò il suo nuovo progetto. A capo dello Stato vi erano due re, tutti e due dotati degli stessi poteri. Erano però gelosi l’uno dell’altro, e ognuno era occupato a farsi dei seguaci e pertanto a limitare il potere del collega. Questa gelosia si tramandava dai due primi sovrani, Procle ed Euristene, ai loro discendenti, fino a Licurgo. Per questo, durante tutto questo lungo periodo, Sparta fu incessantemente afflitta da una lotta tra fazioni. Ogni re tentava di ingraziarsi il popolo concedendo ampie libertà; tali libertà portarono però il popolo alla licenza e infine alla rivolta. Non vi era un argine a separare i diritti del popolo e il potere dei sovrani; la ricchezza era appannaggio di poche importanti famiglie. I cittadini che vivevano nell’agiatezza tiranneggiavano quelli poveri e questi ultimi reagivano scatenando rivolte.
Lacerato da tali tumulti interni alla popolazione, il debole Stato poteva diventare facile preda dei suoi agguerriti vicini oppure frantumarsi in tante piccole tirannie. In questo stato Licurgo trovò Sparta: confini labili fra il potere del sovrano e quello del popolo, distribuzione ineguale delle ricchezze fra i cittadini, assenza di armonia e di coesione sociale, e un totale indebolimento politico. Questi erano i mali cui il legislatore doveva porre rimedio con urgenza e ai quali Licurgo ebbe prima di tutto riguardo nella sua legislazione.
Quando giunse il giorno in cui Licurgo avrebbe reso pubbliche le sue leggi, fece arrivare armati sulla piazza del mercato trenta dei cittadini più distinti, essendosi assicurato il loro appoggio, al fine di intimorire chi avesse voluto mostrare opposizione. Il re Carilao, spaventato da tali misure, si rifugiò nel tempio di Minerva, convinto che tale vicenda fosse diretta contro di lui. Rimossa quella paura, lo indussero perfino a sostenere attivamente il piano di Licurgo.
La prima disposizione riguardava il governo. Al fine di eliminare per sempre la possibilità che (nel futuro) la repubblica oscillasse tra tirannia monarchica e democrazia anarchica, Licurgo contrappose a queste due una terza potenza: il senato. I ventotto senatori (trenta coi re) dovevano schierarsi col popolo laddove i sovrani avessero abusato del loro potere; qualora invece fosse cresciuta troppo la forza del popolo, ad essi spettava proteggere i sovrani contro di lui. Un’ottima misura, grazie alla quale Sparta sfuggì per sempre alle violente bufere interne che fino ad allora l’avevano colpita. In questo modo ogni parte era impossibilitata dal calpestare l’altra; contro il senato e il popolo, i re impotenti; né d’altra parte il popolo poteva avere la meglio, quando senato e sovrani facevano causa comune.
Licurgo non aveva previsto però il terzo caso, quello in cui il senato abusasse del proprio potere. Il senato, in qualità di soggetto intermedio, poteva allearsi con la stessa facilità sia con i sovrani che con il popolo, senza danneggiare l’ordine pubblico, mentre i re non potevano allearsi con il popolo contro il senato senza mettere gravemente in pericolo lo Stato. Dunque, il senato iniziò presto ad approfittare di questa situazione vantaggiosa, abusando del proprio potere; cosa che riuscì anche grazie al ristretto numero dei senatori, il che facilitava la formazione di accordi personali. In seguito il successore di Licurgo pose fine a tale difetto con l’istituzione degli efori, che limitarono il potere del senato.
Più pericolosa e audace fu la seconda disposizione di Licurgo. Essa consisté nel dividere il paese in porzioni uguali tra i cittadini, così da annullare per sempre la differenza tra ricchi e poveri. La Laconia venne così divisa in trentamila lotti di terreno, i campi intorno a Sparta in novemila parcelle, ciascuna abbastanza grande da consentire una vita comoda ad una famiglia. Sparta era bella ed attraente, e Licurgo godeva di tale piacevolezza percorrendo più tardi il paese. «Tutta la Laconia» affermò «assomiglia ad un campo che dei fratelli si siano fraternamente diviso».
L’intento di Licurgo era anche di ripartire i beni immobili, ma a questa sua volontà si opposero difficoltà insuperabili. Cercò allora di raggiungere lo scopo per vie indirette e far cadere spontaneamente ciò che non poteva abolire con un atto di imperio.
Licurgo cominciò la sua azione proibendo tutte le monete d’oro e d’argento, e introducendone altre di ferro. Allo stesso tempo attribuì un basso valore a un pezzo di ferro grosso e pesante, in tal modo era richiesto molto spazio per custodire una piccola somma di denaro e molti cavalli per trasportarla. Affinché poi non si fosse tentati di impreziosire il denaro e di accumularlo, fece indurire, arroventandolo e poi gettandolo nell’aceto, il ferro utilizzato come moneta, in questo modo il ferro diventava inutile per ogni altra funzione.
Chi avrebbe allora potuto rubare, essere corrotto o cercare di accumulare ricchezze, dato che il guadagno era esiguo e il ferro non poteva essere né nascosto né utilizzato? Licurgo tolse così ai suoi concittadini le risorse per coltivare il lusso, e allontanò pure dalla loro vista quelle cose che avrebbero potuto nutrirne il desiderio. Nessun commerciante straniero poteva valersi della moneta di ferro degli Spartani, né potevano essi dargliene una diversa. Tutti gli artisti che lavoravano per il lusso sparirono dalla Laconia; nessuna nave straniera apparì più nei suoi porti, né si palesarono più avventurieri in cerca di fortuna e commercianti che volessero occuparsi della vanità e del piacere, poiché potevano portare con loro solamente monete di ferro, disprezzate in ogni altro paese. Cessò il lusso perché non c’era nessuno che lo alimentasse.
Licurgo si oppose anche in un altro modo contro tutte le ostentazioni e gli eccessi: stabilì che tutti i cittadini mangiassero insieme in un luogo pubblico e condividessero lo stesso cibo deciso in precedenza. Non era concesso di usufruire dell’agiatezza della propria casa e di farsi cucinare da cuochi privati ricche pietanze. Ognuno doveva contribuire mensilmente con una certa quantità di viveri per il pasto pubblico e in cambio riceveva il vitto dallo Stato. Solitamente quindici persone mangiavano in ogni tavola, e ciascuno doveva ottenere il consenso di tutti gli altri per essere accolto a quella tavola. Nessuno poteva assentarsi senza una ragione valida. Questa regola fu osservata così rigidamente che perfino Agide, uno dei successivi re, quando tornò vittorioso a Sparta dopo una guerra, si vide rifiutare dagli efori la richiesta di mangiare da solo con la moglie. Il “brodetto nero” è celebre tra le pietanze degli Spartani, a merito del quale fu detto che agli Spartani veniva facile essere valorosi, poiché la morte non poteva essere un male peggiore che mangiare la loro minestra scura. Condivano i loro pasti con scherzi e allegria, dal momento che lo stesso Licurgo era a tal punto disposto verso la gioia comune da innalzare in casa sua un altare al dio del riso.
Introducendo questo pasto comune, Licurgo riuscì a trarre vantaggio per il suo fine. Poiché non era più concesso farne sfoggio, il lusso dei preziosi servizi da tavola cessò. Una tale sobrietà frenò per sempre la ghiottoneria ed ebbe come conseguenza corpi sani e forti. Da padri sani nacquero figli sani. Le mense comuni crearono uno spirito comunitario, i cittadini si consideravano membri dello stesso corpo statale, e la condivisione dello stesso stile di vita influì sull’uniformità degli animi.
Un’altra legge vietava che il tetto e la porta di casa p...