Dalla scienza alla lotta
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Ne "Il carattere teorico dell'economia finanziaria", Antonio De Viti de Marco (1858-1943) fondava (contemporaneamente all'austriaco Emil Sax) la teoria pura della finanza pubblica. Tale teoria, attingendo alle idee marginaliste che De Viti de Marco - assieme a Maffeo Pantaleoni e Ugo Mazzola - contribuì a introdurre nel nostro Paese, divenne anche la base per una critica radicale dello Stato post-unitario.La crisi di fine secolo fu descritta da De Viti de Marco in primo luogo come una crisi fiscale. Consumatori e contribuenti si erano ribellati a un governo che, invece di garantire il libero gioco sociale, interveniva pesantemente condizionandone e alterandone il risultato. L'esito fu una politica economica pensata e messa in atto a beneficio di ristretti gruppi di pressione.Oltre a un'ampia selezione di brani tratti da "Il carattere teorico dell'economia finanziaria", in questo eBook vengono riproposte anche alcune delle "Cronache" che De Viti de Marco scrisse sul "Giornale degli economisti" nel biennio 1898-9. Il volume è completato da un saggio introduttivo di Luca Tedesco.Luca Tedesco è ricercatore confermato e insegna Storia contemporanea all'Università degli Studi Roma Tre. Sulla vicende economiche dell'Italia liberale, oltre a diversi saggi su riviste scientifiche, ha pubblicato "L'alternativa liberista. Crisi di fine secolo, antiprotezionismo e finanza democratica nei liberisti radicali (1898-1904)", Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003 e curato "Il canto del cigno del liberoscambismo: la Lega antiprotezionista e il suo primo convegno nazionale", Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2008.

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Informazioni

Editore
IBL Libri
Anno
2014
ISBN
9788864401850
Argomento
Economics

da Il carattere teorico dell’economia finanziaria

(Roma, Pasqualucci, 1888)
Capitolo II. L’attività economica e l’attività finanziaria come oggetto di scienze teoriche
1. Ambidue i criterj, coi quali gli economisti hanno distinta l’arte dalla teoria, si possono riconoscere in due momenti dello svolgimento storico, che la Finanza pubblica, come dottrina pratica, ha avuto.
Non può negarsi che presso A. Smith il compito del finanziere è circoscritto allo studio di quei provvedimenti più appropriati a costituire, nell’interesse economico dello Stato, il reddito necessario ai suoi bisogni. Oggi invece ed inoltre i finanzieri tendono ad assumersi il compito di additare al governo quali debbono essere le sue funzioni; e quindi un trattato di Finanza Pubblica non diventa più solo un sistema di norme per la più economica composizione del patrimonio pubblico; ma ancora una sistematica difesa di que’ provvedimenti atti ad imprimere una certa voluta direzione alla generale operosità legislativa ed amministrativa dello Stato.
La quale tendenza si manifesta nella esauriente trattazione che si concede alla parte delle spese pubbliche nei trattati di scienza finanziaria; si manifesta nel lato politico-sociale che a priori si assegna alle imposte come loro essenziale carattere e funzione; e nella materia delle tasse si manifesta quando, invece di spiegare perché, certi servigj danno luogo al fenomeno della tassa, e che cosa la tassa sia, discutono se lo Stato debba o no assumersi di produrre quei servigi, e in che modo e con quali criterj debba stabilirsi la tassa e via discorrendo.
Questa estensione di significato è una parziale, ma diretta conseguenza del più generale fenomeno, che da A. Smith in poi l’attività economico-sociale dello Stato si è venuta allargando, nel mentre che la Finanza ha conservato sempre il suo originario carattere di dottrina pratica.
Quindi nel momento, in cui la politica economico sociale dello Stato era improntata al principio assoluto dell’astensione, la Finanza non considerava che il puro lato fiscale de’ fenomeni e veniva considerata come “arte”, perché di quell’elemento o fattore non spiegava l’essere, ma indagava e propugnava il dover essere.
Ma quando lo Stato progressivamente aumentò le sue ingerenze nelle svariate manifestazioni economiche, morali, intellettuali della vita privata, la Finanza estese il campo della sua attività pratica, cooperandosi al raggiungimento di scopi complessi etici e non solamente patrimoniali dello Stato. È in questo momento che al primitivo carattere di disciplina che studia quel che deve essere, si aggiunge l’altro di disciplina che studia i fenomeni da tutti i lati. In altri termini, giunta a questo stadio di sviluppo, la Finanza Pubblica studia il dover essere dell’attività in genere dello Stato e non soltanto dell’attività fiscale di esso. Così acquista i due titoli, per essere considerata e trattata come scienza pratica e concreta per eccellenza.
L’oppugnare tale indirizzo è per noi una logica conseguenza dell’avere già combattuta la distinzione scientifica fra teoria e pratica, e dell’avere in quella vece dimostrato, come, col metodo della progressiva complicazione del problema astratto si faccia entrare nel campo della teoria pura, qualunque fenomeno concreto.
Ora dobbiamo per l’appunto mostrare, come i problemi finanziarj hanno lo stesso carattere scientifico de’ problemi economici, e come la Finanza Pubblica sia una scienza teorica dell’economia.
Per procedere gradatamente, accettiamo per ora la limitazione per oggetto, che generalmente si fa, ed ammettiamo senz’altro, che la materia propria della indagine finanziaria sia formata dai fatti o fenomeni che si riferiscono al patrimonio pubblico, sia nel momento della sua costituzione, che in quello del suo impiego definitivo. Dato per ora che il patrimonio pubblico sia quella parte della ricchezza nazionale privata, la quale viene sottratta all’industria ed al consumo individuali ed affatto liberi del cittadino, per essere impiegata nella produzione dei servigj pubblici, nasce, che non tutti i fenomeni in genere del patrimonio pubblico formano l’oggetto della Finanza Pubblica, ma solamente quelli che si manifestano durante, ed hanno causa dall’attività che svolge lo Stato e dagli sforzi, che compie, per formare e spendere il patrimonio pubblico.
Né diversamente sorge l’indagine economica. Anche l’economista tratta que’ fenomeni della ricchezza privata, i quali sono il risultato dell’attività industriale che l’uomo esplica pel conseguimento dei beni esterni atti a soddisfare umani bisogni.
Fenomeni di ricchezza offrono la materia prima alle due discipline, ed il lato o l’aspetto dal quale vengono esaminate è pure lo stesso; la comune base economica è data dall’attività che esplica un subietto avente bisogni per l’acquisizione di utilità esterne atte a soddisfarli.
Né la differenza, che in un caso trattasi dello Stato e nell’altro dell’uomo, può ancora mutare quel sostanziale e più generale carattere scientifico delle due investigazioni; allo stesso modo che, nel campo della economia pura, il carattere della ricerca non muta, a seconda che si studiano fenomeni della economia individuale (interessi di singoli), oppure fenomeni della economia sociale (interessi della collettività), che si trovano spesso in conflitto. Ciò posto, il sistema ordinario di studiare i fenomeni della economia finanziaria – ricusando a questa il carattere di subietto economico, che opera per conseguire suoi proprj fini, ed esaminando i fenomeni stessi da tutti i loro lati, mentre il sistema dell’isolamento del fattore economico prevale nello studio della economia così individuale che sociale – si presenta come contradittorio, o almeno come bisognoso di una diretta speciale dimostrazione.
Certo non mancarono per l’addietro, né del tutto sono oggi scomparsi analoghi tentativi teorici per la stessa Economia, alla quale fu da taluni assegnato ora il compito di difendere una certa distribuzione della ricchezza,{82} ed ora quello di studiare e spiegare tutti i fenomeni sociali concepiti come un organismo o, – da coloro che non accettano il principio d’evoluzione – come un aggregato.{83}
Ma questa tendenza non ebbe successo, perché trovò ostacolo sia in una opposta tendenza teorica, già affermatasi, che concepiva ormai da lungo tempo la economia come scienza astratta, sia nella pratica difficoltà di abbracciare in una sola investigazione il fenomeno sociale per sé medesimo troppo complesso.
Nelle questioni finanziarie invece quell’indirizzo, non ostacolato dalle stesse forze, anzi favorito dalla tradizione dottrinale, che considerava la finanza come arte, e dalla circostanza, che lo Stato non aveva una vita così complessa come la vita sociale, finì per trionfare.
Di modo che, mentre l’Economia investiga le leggi di un solo fattore della vita sociale – pure prendendolo in tutte le sue combinazioni reali e concrete, ma rifuggendo, non pertanto, dal confondersi nella Sociologia – la Finanza tende indistintamente a penetrare in qualunque funzione della vita dello Stato. Diventa Statologia e il suo sviluppo quindi tende a procedere di conserva con la espansione dell’attività dello Stato.
Ora, a mio avviso, sarà questa la nuova circostanza di fatto, che, a guisa di una deductio ad absurdum, mostrerà la sempre crescente difficoltà di studiare i fenomeni finanziarj da tutti i loro aspetti, e metterà in evidenza il carattere teorico della ricerca, che la Finanza ha comune con la Economia.
Lo Stato, come la Società, ha una vita morale, una vita economica, una vita religiosa, una vita intellettuale ecc.; e come ogni singola manifestazione della vita sociale è già l’obbietto di una indipendente ricerca, così la Finanza Pubblica determinerà meglio il suo compito, scoprendo le leggi dell’attore finanziario.
Come abbiamo già lungamente discorso nel precedente capitolo, lo studio di un solo aspetto dei fenomeni è un metodo per arrivare gradatamente e più sicuramente alla conoscenza del mondo reale. L’economista studiando il fattore economico nelle combinazioni reali, in cui di fatto lo trova con altri elementi o fattori, può riuscire alla spiegazione di fenomeni concreti. La legge economica può di conseguenza essere una legge sociologica, quando in fatto e a posteriori si trova, che essa dà la completa spiegazione di un fenomeno sociale, perché gli elementi tutti di cui questo consiste furono calcolati nella combinazione del fattore economico. Similmente lo studio del solo fattore finanziario non vieta, ma agevola la conoscenza della vita economica dello Stato. Col metodo della complicazione del problema noi potremo studiare il lato finanziario in qualunque complessa combinazione, e quindi arrivare alla spiegazione di un fenomeno concreto. E se a un tale risultato in finanza si arriva, più spesso, che non succeda in economia, è questione posteriore, che si riferisce, come a suo tempo si vedrà, all’applicazione del principio economico o finanziario, non al carattere della indagine che precedentemente si fece, per scoprire così l’uno che l’altro. Il processo inverso, per cui il fenomeno dato lo si studia da tutti gli aspetti, tende a constatare, come si dimostrò, un caso della teoria. E questa considerazione vale per l’economia, come per la finanza.
È poi soltanto col metodo dell’isolamento dell’attore finanziario che si afferma la possibilità di un’indagine finanziaria dipendente, ma distinta, da una speciale indagine sull’indirizzo politico, che lo Stato è doveroso, giusto, equo, morale, opportuno che segua. Una tale separazione è consigliata da ragioni che la scienza finanziaria divide con l’economia.
2. “Bisogno” nell’uomo, e “utilità” nel mondo esteriore sono i due poli della ricerca, economica, e ne sono pure le due più generali premesse. Il fatto economico sorge nel momento, in cui chi ha un bisogno si muove alla conquista della cosa utile; ma né il bisogno in sé, né la utilità in sé offrono all’economista oggetto di speciale analisi.
Perché certe cose o certe qualità abbiano l’attitudine di soddisfare certi determinati bisogni, potrà essere ed è di regola un problema, di fisica e più spesso di chimica; – perché l’uomo abbia certi determinati bisogni animali e morali, o ancora se sia utile, opportuno, igienico che li abbia, potrà essere un problema volta a volta di fisiologia, di educazione, di igiene; – ma per l’economista bisogno e utilità non sono che due essenziali condizioni per la esistenza di un fenomeno e di un problema economico.
Il bisogno, determinato che sia in quantità e in qualità, diventa lo stimolo di un’attività propria, che chiamiamo economica.
Per quali caratteri questa attività vada distinta dall’attività umana in genere, è un fondamentale problema economico, non risolto ancora in modo sicuro.
Si è generalmente ritenuto, che per la scuola classica il movente determinante e caratteristico dell’attività economica umana era l’“egoismo”.
Questo generale convincimento ha dato occasione favorevole alla scuola storica di mostrare, che in fatto moventi altruistici hanno determinati e possono determinare fatti economici.
E questa constatazione ha ridata a sua volta propizia occasione ad una più giovane schiera di economisti, di riconstatare, che non “egoismo” od “altruismo”, ma il “supremo principio del minimo mezzo” sia la vera ultima premessa dei fatti economici.{84}
Noi accettando una tale conclusione, la riteniamo una corretta constatazione del principio, dal quale effettivamente, e nonostante le contrarie apparenze, le teorie della scuola economica dipendono.{85}
Gli scopi dell’attività umana sono stati e sono nel tempo e nello spazio variabili. È un postulato dell’etica, che i moventi della condotta umana si riferiscono: o alla conservazione dell’individuo, o alla conservazione della specie, o alla realizzazione di uno stato di pace e di ordine sociale, in cui diventi possibile la coesistenza di individui, che lottano per opposti interessi, o finalmente alla realizzazione di uno stato di mutua assistenza o di cooperazione pel raggiungimento di scopi comuni.
Sono quattro stadj che successivamente furono conquistati dall’uomo progressivo, e dei quali può inoltre osservarsi la gerarchia risalendo man mano dai moventi che spiegano la condotta degli esseri inferiori a quelli che spiegano la condotta degli esseri superiori. Sopra la duplice osservazione di questi fatti è fondato il principio della “Evoluzione della condotta”.{86}
Ora, dato che l’Etica studii la condotta umana, come si manifesta negli ultimi stadj della sua evoluzione, in cui moventi altruistici prevalgono, contestiamo che l’Economia trovi un campo di ricerche indipendente dall’Etica, confinandosi a studiare, come si esplichi la condotta umana nei primi stadj della sua evoluzione, sotto il predominio di sentimenti egoistici. Una divisione così stabilita, porta logicamente alla conclusione – secondo noi assurda – di negare un’Etica nei primi stadj e di negare un’Economia negli ultimi stadj della civiltà umana.{87}
L’Etica ha un ideale, verso il quale tendono gli atti dell’uomo etico, ed al quale il filosofo morale riferisce gli atti umani e li classifica, secondo che a quello più convengono, secondo che meglio lo potranno realizzare, indipendentemente dal sacrificio che costano all’individuo. L’Economia non ha altro compito che di studiare le manifestazioni della condotta umana riferendole al ‘principio economico’. L’economista non discute se l’atto convenga o no all’ideale morale; questo rapporto di convenienza è per lui una premessa di fatto. La sua ricerca comincia nel momento in cui calcola e mette in contrasto l’ammontare di sensazioni piacevoli, che il compimento dell’atto promette all’attore, con l’ammontare di sensazioni dolorose, che l’attore ha dovuto provare, per mettersi in condizione di compiere l’atto voluto.
Ciò posto, nasce che l’economista prescinde da ogni contenuto etico; la base del suo ragionamento è comune a tutte le azioni, da qualunque movente siano determinate, a qualunque meta sieno indirizzate.
La sola premessa economica è questa, che quando la quantità del piacere resta inferiore alla quantità del dolore, l’atto non seguirà. Ciò che, inteso in senso così lato, è assiomatico.
Con simile ragionamento si può distinguere l’economia dalla “tecnica” dalla “fisiologia” ecc.
Di qua segue, come sola limitazione, che l’atto economico non si riferisce all’ultimo momento della immediata soddisfazione del bisogno. L’economicità finisce quando l’uomo ha acquistati i “mezzi” di soddisfacimento o, più generalmente, quando l’uomo si è posto in condizione di soddisfare il bisogno. Ma il giudizio, secondo cui quei “mezzi” o quelle “condizioni” si reputano o sono realmente atti al soddisfacimento del detto bisogno, è per l’economista una premessa ipotetica, un postulato di altre discipline fisiche o psichiche.{88}
È qui ora che generalmente gli economisti introducono una maggiore limitazione per oggetto. Per essi non è attività economica se non che quella, la quale si dirige all’acquisto de’ mezzi materiali o ricchezza, intesa quest’ultima nel significato di beni materiali, esterni all’uomo, o anche di beni permutabili. Ma noi, pure riconoscendo che l’economia ha da far prevalentemente con beni materiali, e beni permutabili, non possiamo accettare una limitazione, fissata a priori, e in modo assoluto dall’apprezzamento subbiettivo di ogni scrittore, di modo che il ...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. Teoria pura della finanza e crisi di fine secolo in Antonio de Viti de Marco
  3. da Il carattere teorico dell’economia finanziaria
  4. Cronaca, Giornale degli economisti, maggio 1898
  5. Le recenti sommosse in Italia. Cause e riforme, Giornale degli economisti, giugno 1898
  6. Cronaca, Giornale degli economisti, agosto 1898
  7. Cronaca, Giornale degli economisti, dicembre 1898
  8. Cronaca, Giornale degli economisti, gennaio 1899
  9. Cronaca, Giornale degli economisti, giugno 1899
  10. Cronaca, Giornale degli economisti, luglio 1899
  11. Cronaca, Giornale degli economisti, agosto 1899
  12. Indice dei nomi