Il Federalista n. 10 e n. 51
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Il Federalista n. 10 e n. 51

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Il Federalista n. 10 e n. 51

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I due saggi del Federalista qui riuniti sono il contributo più importante dato da James Madison al dibattito politico americano nella fase che condurrà all'approvazione della Costituzione.Nel Federalista n. 10, apparso sul New York Packet il 23 novembre del 1787, Madison sostiene che un'unione ben realizzata avrebbe la possibilità di minimizzare lo spirito di fazione. Innanzi a cittadini che si organizzano per attività che minano i diritti altrui, è bene disporre di un ampio governo rappresentativo, invece che di democrazie popolari più facilmente destinate a farsi dominare da istinti demagogici e illiberali. Questo anche perché scelte economiche scellerate possono imporsi a livello locale, ma difficilmente saranno adottate su larga scala.Il Federalista n. 51, apparso sul medesimo giornale l'8 febbraio 1788, in parte riprende quei temi ma evidenzia soprattutto la necessità di tutelare la libertà grazie a un sistema di pesi e contrappesi, che limiti l'ambizione di alcuni con quella di altri e che, separando accuratamente i distinti poteri, eviti l'imporsi di logiche dispotiche.James Madison (1751-1836) è stato uno dei Padri fondatori della Costituzione americana e – dal 1809 al 1817 – è stato il quarto presidente degli Stati Uniti. Sul piano teorico il suo nome è associato ai suoi vari testi riuniti nel Federalista, che include pure scritti di Alexander Hamilton e John Jay. Insieme a Thomas Jefferson, nel 1792 diede vita al partito "democratico-repubblicano", che dominò la politica americana per circa tre decenni.

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Informazioni

Editore
IBL Libri
Anno
2013
ISBN
9788864401836
Argomento
Filosofia

Il Federalista n. 10

(Dal New York Packet, venerdì 23 novembre 1787)
Al popolo dello Stato di New York:
Tra i molti benefici offerti da un’Unione ben costruita, nessuno merita di essere ricercato più accuratamente della tendenza dell’Unione a controllare e a bloccare la violenza delle fazioni. I sostenitori dei governi popolari non si spaventano per l’indole e il destino di questi fino a quando non si rendono conto della loro propensione a questo vizio così pericoloso.
Di conseguenza, costoro non mancheranno di assegnare il dovuto valore a qualunque piano che – senza violare i principi cui sono così affezionati – rappresenti un antidoto appropriato a quel vizio.
L’instabilità, l’ingiustizia e la confusione introdotte nelle pubbliche assemblee sono state, veramente, le malattie mortali che hanno fatto perire ovunque i governi popolari; esse continuano poi a rappresentare i temi preferiti e fecondi da cui gli avversari della libertà traggono le loro declamazioni più speciose.
I preziosi miglioramenti apportati dalle costituzioni americane agli antichi e moderni modelli popolari non saranno mai lodati abbastanza, ma sarebbe di un’insostenibile parzialità sostenere che essi abbiano effettivamente eliminato il rischio di pericoli del genere, come invece ci si poteva aspettare.
I nostri cittadini più onesti e rispettati – persone che si preoccupano della comunità come di se stessi e della libertà di ognuno come della loro – non fanno altro che lamentarsi perché i nostri governi sono troppo instabili, il bene pubblico viene trascurato nei conflitti tra le diverse parti politiche e i provvedimenti vengono decisi troppo spesso in base alla forza numerica di maggioranze dispotiche e interessate invece che secondo norme di giustizia e nel rispetto dei diritti delle minoranze. E per quanto possiamo desiderare che queste critiche siano prive di fondamento, l’evidenza dei fatti non ci consente di negare che esse siano veritiere, almeno fino a un certo punto. A onor del vero, un’analisi obiettiva della nostra situazione dimostrerebbe come la responsabilità di alcune delle difficoltà che abbiamo dovuto sopportare sia stata attribuita solo erroneamente all’operato dei nostri governi; ma constateremmo, allo stesso tempo, che le altre cause non spiegherebbero da sole molte delle nostre sfortune peggiori; e ciò, in particolare, per la sfiducia nella politica che domina questi tempi e continua ad aumentare, e per la preoccupazione per i diritti dei singoli che si fa sentire da un estremo all’altro del continente. Questi sono principalmente, se non del tutto, effetti della pessima immagine di enti ingiusti e instabili che alcuni faziosi offrono delle nostre pubbliche amministrazioni.
Per fazione io intendo un insieme – maggioritario o minoritario – di cittadini accomunati per passione o per interesse da un qualche impulso in contrasto con i diritti degli altri cittadini o con l’interesse generale e permanente della comunità.
Ci sono due metodi per risolvere i danni causati da una fazione: eliminarne le cause scatenanti o controllarne gli effetti.
E ancora, ci sono due metodi per eliminare le cause scatenanti di una fazione: il primo è privarla della libertà necessaria alla sua esistenza; il secondo è trasmettere a ogni cittadino le stesse opinioni, le stesse passioni e gli stessi interessi.
Il primo metodo ci offre un perfetto esempio di rimedio peggiore del male. La libertà rappresenta per il dissenso quel che l’aria rappresenta per il fuoco: un alimento senza il quale essa viene senz’altro meno. Sopprimere la libertà – essenziale alla vita politica – perché può produrre dissenso non sarebbe meno folle che voler eliminare l’aria – essenziale alla vita – perché fornisce al fuoco la sua forza distruttiva.
Così come questo primo accorgimento è poco saggio, il secondo è impraticabile. Finché la ragione umana resterà fallibile e l’uomo sarà libero di metterla alla prova, si formeranno sempre opinioni diverse. E fino a quando esisterà una connessione tra la sua ragione e il suo amor proprio, le opinioni e le passioni dell’uomo si influenzeranno a vicenda. La differenza ...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. Sull’autore
  3. Il Federalista n. 10
  4. Il Federalista n. 51
  5. Date
  6. Vita e opere
  7. Bibliografia